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NewsIl crowdfunding continuativo, e i fumettisti stipendiati dalla rete

Il crowdfunding continuativo, e i fumettisti stipendiati dalla rete

I mestieri del fumettista e dell’illustratore, ci dicono le cronache, sono sempre più spesso lavori part time. Un male, secondo alcuni (in primis, gli autori più motivati a “vivere di solo disegno”); un bene, secondo chi ritiene che il lavoro creativo non debba essere necessariamente praticato secondo le regole della produzione industriale.

Quale che sia l’opinione, tuttavia, pare che internet stia offrendo una via per sciogliere, almeno in parte, questo nodo. Si tratta del crowdfunding. Ma non per come viene comunemente inteso. Il modello dei più noti siti di crowdfunding – da Kickstarter a Indiegogo – è infatti fondato su una progettualità ‘puntuale’: ogni campagna riguarda un singolo manufatto o creazione. Accanto a questo modello, che si è imposto come mainstream in questo settore, esistono però altre forme. E quella di Patreon è la più nota fra queste (non in Italia, pare: cercando la parola *Patreon* su Repubblica, Corriere, LaStampa, Wired.it, Il Post e Linkiesta, ho ottenuto zero risultati). Come funziona? Invece di andare a un’opera o a un prodotto, il finanziamento è ad personam, ovvero serve a finanziare la creatività di un singolo individuo. E questo attraverso una modalità di pagamento che consenta la continuità, cioè con un contributo accreditato regolarmente sul conto del finanziatore, secondo due possibilità: ad ogni release, o una volta al mese. In parole povere, Patreon – da patron, ‘mecenate’ – permette a ciascun fruitore di attivare un abbonamento a vita alle creazioni del proprio artista o maker preferito.

Una ottima soluzione per finanziare non un singolo film, libro, dispositivo tecnologico, ma tutte le prossime produzioni musicali di gente come Jack Conte & Nataly Dawn, le clip di band come i Pentatonix, i video di youtuber cinefili come Red Letter Media o geek come Nixie, le recensioni di videogames come quelle di Critical Distance. E parecchi fumettisti.

Fino ad ora, gli autori di fumetto che hanno tentato questa nuova formula sono tutti nordamericani. Non pochi, peraltro: una settantina. Anche se coloro che sono riusciti a racimolare somme comparabili con uno *stipendio* – tra i 1.000 e 9.000 dollari al mese – sono meno di venti, se ho fatto bene i conti (qui i primi 15):

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Naturalmente non ho la più pallida idea di come suonino/parlino/scrivano o girino video Conte (peraltro fondatore di Patreon), i Pentatonix o Nikie. Di certo non sono celebrità paragonabili a quelle presenti su Kickstarter. E tra i fumettisti verrebbe da pensare che sia altrettanto, con in più la tara della scarsa notorietà media dei fumettisti rispetto ad altri creativi. Eppure, i due più ricchi fumettisti stipendiati dal proprio pubblico attraverso Patreon, per quanto sconosciuti in Europa, nel fumetto americano sono delle (web)star. Jeph Jacques è l’autore del webcomic Questionable Content, mentre Zach Weiner è l’autore di Saturday Morning Breakfast Cereal (di costui Fumettologica ha segnalato questo, e quest’altro progetto insieme al francese Boulet). Vi basterà un giro su Wikipedia per cogliere le dimensioni del loro successo. Ma oltre a Jacques e Weiner, Patreon ha reso possibile stipendiare altri protagonisti della scena dei webcomics americani, in gran parte di estrazione geek – dal Jonathan Rosenberg del celebre Goats al sarcastico Drew di Married to the Sea. E guardando un po’ oltre gli autori di gag comics, alcuni ‘mecenati’ hanno iniziato a finanziare – sebbene con somme più basse – anche fumettisti come Meredith Gran o il sempre notevole Asaf Hanuka, e persino la giornalista/blogger di ComicsBeat Heidi MacDonald.

Le domande e le riflessioni che suscita un simile caso sono numerose. Provo a condividerne alcune, in forma di (non molto ordinati) appunti.

La prima: la continuità della donazione. In realtà, nemmeno Patreon, dal punto di vista di un autore, può essere considerato un contributo “per sempre”. Per due ragioni. La prima, assai prosaica, è che il finanziamento è associato a una carta di credito, che dopo alcuni anni (in genere tre anni) scade, o a un conto PayPal, anch’esso associato a una carta o ricaricabile con bonifico. E qui c’è un primo imbuto: al momento di reinserire i propri nuovi dati di pagamento nei vari canali della vita online di ciascuno, siamo certi che tutti gli abbonati vorranno sempre rinnovare il proprio contributo? Ma la vera sostanza della questione è che un utente può naturalmente staccare la spina volontariamente, e interrompere l’addebito su carta o PayPal quando vuole. La continuità dello stipendio è quindi ridefinita mese dopo mese, con continui arrivi e partenze, che pongono il maker di fronte alla più nitida delle sfide: guadagnarsi ogni mese il proprio, sapendo che la stabilità dipende da quanto riuscirà a soddisfare le aspettative dei propri mecenati. Con la conseguenza che la continuità delle risorse sarà ancora meno sicura, per esempio, di tradizionali formule come l’abbonamento (annuale o biennale) a periodici cartacei.

Una seconda domanda più operativa: un modello simile sarebbe in grado di rinnovare il mercato e/o la cultura del fumetto in Italia? Esercitando l’immaginazione, potremmo anche pensare che alcuni autori italiani potrebbero trovare in Patreon un certo riscontro: oggi come oggi certamente Zerocalcare, o Gipi, o Makkox, ma non solo. La conseguenza sarebbe un balzo in avanti nella crisi del ruolo degli editori, in un contesto in cui l’offerta è ancorata a pochi modelli, e in cui lo spazio per l’innovazione è ancora ridotto non solo rispetto ai mercati più ampi (Francia, USA), ma anche a mercati minori (penso alla Spagna) tuttavia meno irrigiditi dal peso di leader che tendono a ripetere le proprie formule consolidate. Ne avremmo un guadagno, perché si libererebbero energie nuove (esempio: cosa potrebbero offrire Leo Ortolani o Giorgio Cavazzano, se andassero oltre i modelli Rat-Man e Disney, forti del supporto dei loro patrons?)? O ne avremmo un danno, frutto dell’indebolimento di un settore che, pur con tanti limiti, è in grado di fare sistema influenzando prezzi, distribuzione, visibilità e la crescita di un organico ambiente culturale intorno al medium?

C’è poi una seconda domanda, meno sulla meccanica e più sulla filosofia della relazione tra creatore e donatore. Quale relazione economica è mai, infatti, quella diretta tra autore e pubblico? Insieme imprenditore di sé stesso e impiegato al soldo dei suoi finanziatori, come vivrà ciascun maker la propria condizione di “stipendiato dalla (propria) folla”? Probabilmente, alcuni autori si troveranno stimolati dal contesto competitivo (anche con se stessi), e faranno del nuovo modello un’esperienza di affinamento e crescita personale; altri, rafforzati nella condizione di one-man-band senza ulteriori mediatori e interpreti del pubblico (esempio: gli editori), non faranno che adeguarsi ai comportamenti più prevedibili (click, likes, condivisioni) della folla; altri ancora – chissà – potrebbero non sopportare troppo a lungo proprio la sfida continua o la condizione para-impiegatizia; e ci sarà chi investirà il proprio guadagno nel costruire una squadra (coloristi, scrittori, guest), chi nell’aumentare i contenuti e chi nell’aumentare i prodotti collaterali, chi gettandosi a capofitto e chi destinando una quota alla ‘ricerca&sviluppo’ di nuovi progetti. Quel che è evidente, al di là della declinazione individuale sul tipo di output, è che l’autore si troverà inserito in una relazione il cui imperativo è comunque produttivistico: creare, creare, creare, e per un pubblico pagante e dichiarato. Una specie di versione aggiornata e migliorativa del modello syndication, come ha scritto Jean-noël Lafargue. Eppure, dato il suo statuto democratico e online, Patreon rappresenta plasticamente ben altro: la radicale condizione consumeristica cui è arrivata l’industria culturale all’epoca della digitalizzazione. Un’epoca in cui anche il mecenatismo si fa mercato, e si esprime secondo regole di un marketplace con dinamiche quasi finanziarie, con autori che salgono o scendono nel listino dei “più stipendiati”. Il denaro implicato nella relazione mecenatistica, diventando elemento visibile e pubblico, sovrappone un discorso economico alla relazione autore/fruitore. Dove tutto ciò ci condurrà non ne ho idea, ma di certo Patreon mi pare un caso limite interessante da seguire, per capire meglio quanto la rete stia cambiando il rapporto tra creatività e valore, enfatizzando la dimensione economica di quest’ultimo.

La quarta riflessione, tra il serio e il faceto: se quello di Patreon è un modello imperfetto, ma comunque efficace e fertile per alcune forme di creatività, il pubblico riuscirà finalmente a decretare successi senza che ci sia di mezzo qualche intermediario (leggi: critico) a discuterne la qualità o la legittimità? La smetteremo finalmente di accapigliarci, lasciando “parlare i dati” su chi è il fumettista più pagato e bona lì? No. Per niente. Perché il crowdfunding, progettuale o continuativo che sia, è solo un mezzo, e il pubblico è sempre il pubblico: un agglomerato capace di azioni straordinarie, ma talvolta anche straordinariamnete stupide. Lo dimostra il recente successo del progetto crowdfunding di un utente che ha chiesto fondi per una semplice ragione: “Voglio cuocere una torta di mele per mia madre, ma non ho i soldi per farlo”. Dopo pochi giorni, si è ritrovato con 49.000 dollari, regalati da una incredibile massa di donatori reattivi su un progetto di notevole futilità. Un esempio strepitoso per dimostrare il lato oscuro del crowdfunding: la stupidità della folla, che Will Self, in antitesi alla teoria di James Surowiecki sulla saggezza della folla, ha definito “L’idiozia della torta di mele da 49.000$”, in uno splendido articolo sul New Statesman. Jeph Jacques e Zach Weiner ci sanno fare, insomma, ma se nei prossimi anni Patreon sarà uno strumento per stipendiare fumettisti stupidi, forse, insieme a una possibile soluzione, avremo anche un nuovo problema.

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