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FocusOpinioniAncora su Charlie Hebdo e la libertà di satira

Ancora su Charlie Hebdo e la libertà di satira

Aggiungo qualcosa alle mie riflessioni di mercoledì su Charlie Hebdo. Quando ho scritto quelle righe non avevo ancora visto questa copertina:

Charlie Hebdo
Charlie Hebdo

Che cos’è che fa ridere qui? Un lettore medio occidentale non può non cogliere il riferimento a un luogo comune di film e racconti specialmente western, quella Bibbia portata nel taschino che intercetta la pallottola diretta al cuore del protagonista salvandogli la vita (il luogo comune di cui Woody Allen fa la parodia dicendo, più o meno, “portavo sempre una pallottola nel taschino; un giorno uno mi ha tirato una bibbia, e la pallottola mi ha salvato la vita”). Se si capisce il riferimento, si ride perché si capisce che il vero obiettivo satirico di questa vignetta non è il Corano, bensì la presunzione di salvezza da parte dei libri sacri, e della Bibbia in particolare. Si tratta, insomma, di una vignetta anticristiana, non antimusulmana, mostrando, parodisticamente, la Bibbia come superiore al Corano, un libro sacro che nemmeno ferma le pallottole.

Ma per un arabo che non conosca questo riferimento, né sia particolarmente interessato alle questioni interne della cultura occidentale, questa vignetta dice tutt’altro, e non fa nemmeno particolarmente ridere. Appare come un’offesa bella e buona, provocazione pura, di cui non si capisce bene la ragione, se non per un perverso desiderio di sfottere la religione islamica.

Mi pare che Gipi, in una trasmissione televisiva di qualche sera fa, dicesse che la satira dovrebbe essere qualcosa che i deboli fanno contro i forti, e non si può che essere d’accordo con lui. Questo è lo spirito con cui la satira è nata e si è sviluppata sui giornali occidentali. Di fronte a questa vignetta, se cogliete il riferimento alla Bibbia, potete ancora pensare che questa satira viva in quello spirito, perché la religione, in Occidente, è ancora un potere forte, su cui ha senso fare satira. Ma se non avete la possibilità di coglierlo, perché appartenete a una cultura diversa e non avete nemmeno letto Woody Allen, questa è satira fatta dai ricchi Occidentali contro il terzo mondo, certamente più povero e meno potente: la direzione è sbagliata, l’effetto è sgradevole come quando un potente prende in giro coloro che non lo sono.

Io credo che gli autori di Charlie Hebdo, con tutte le loro non piccole qualità, non cogliessero questa differenza; anzi, se ne fregassero proprio. Per loro, la satira è satira, e ha diritto di attaccare chiunque. Il che può essere vero e giusto se ti rivolgi a lettori che possono capire il tuo discorso (per esempio dei Francesi colti, quale era il pubblico medio della rivista). Ma quanto rimane vero quando il tuo discorso è costruito in maniera che per qualcun altro è pura provocazione offensiva?

A me, tutto sommato, gli autori di Charlie Hebdo sembrano un po’ dei dinosauri, sopravvissuti a un’epoca che non è più la loro. Forse si sentono ancora nel periodo glorioso in cui Hara Kiri veniva chiuso dalla magistratura francese perché faceva satira pesante su De Gaulle anche il giorno del suo funerale. A quel momento di Hara Kiri/Charlie Hebdo va tutta la mia ammirazione. E’ lo spirito della ragione illuminista in tutto il suo splendore; è il principio di égalité portato radicalmente sino in fondo. Ma quando quello che pubblichi finisce per essere per una parte dei tuoi lettori pura prevaricazione, fortemente offensiva, e non c’è niente da ridere (e le vignette umoristiche, proprio come le barzellette, ahimé, non si possono spiegare a latere), allora non stai più facendo la stessa cosa che facevi con De Gaulle, a dispetto delle apparenze.

Detto questo, è ugualmente importante fare una precisazione. Se ritengo moralmente condannabili certe vignette di Charlie Hebdo, non per questo le ritengo giuridicamente condannabili. In altre parole, la condanna morale di un’operazione di satira dovrebbe avere conseguenze di emarginazione culturale, ma non di sanzioni o addirittura prigione (per non parlare di una condanna a morte, come quella eseguita dai terroristi che hanno massacrato la redazione di Charlie). E questo dovrebbe valere in generale, non solo per la satira che ci piace.

Mi riferisco all’esempio a cui già accennavo nell’altro post del consigliere regionale leghista condannato a un anno e tre mesi di carcere per aver pubblicato un fotomontaggio in cui alla ex-ministra Kyenge viene applicato il viso di una scimmia. Satira povera, stupida, razzista: da leghista, insomma. Quanto di più becero e moralmente condannabile si possa immaginare. Tuttavia, queste schifezze andrebbero combattute mostrando quello che sono, o lasciandole al loro destino marginale. Non se ne dovrebbe occupare la magistratura. Non dovrebbero esistere reati di opinione, nemmeno (come accade in Francia) per l’antisemitismo o il negazionismo della strage armena. La calunnia è tale se si diffondono notizie false a scopo tendenzioso, non se si dice che il tale è uno stronzo – il che non è bello, e non è elegante, ma non per questo dovrebbe essere considerato un reato.

Dal punto di vista del fondamentalismo islamico, quello di Charlie Hebdo era un reato, passibile di pena di morte. E’ questo che ha fatto indignare tutti gli altri, compreso tutto l’Islam moderato (quello che comunque fa fatica a digerire che si dica che il Corano è merda – e non posso dar loro tutti i torti).

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