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Menare è un gioco da ragazze: Last Man di Balak, Sanlaville e Vivès

Adrian Velba ha un sogno: vincere la Coppa dei Re al grande torneo di arti marziali. Una competizione leggendaria, dotata di un prestigio tale da richiamare tutti i lottatori più forti della Valle. Una parata di stelle dove un ragazzino come il Nostro non ha alcuna speranza di emergere. Sempre che, all’ultimo secondo, non si trovi un compagno di squadra davvero fuori dal comune. Un tipo tosto, poco interessato alla bellezza del gesto atletico quanto piuttosto a mettere l’avversario al tappeto il prima possibile. Un uomo di poche parole, ma di molti segreti. Guascone, affascinante, burbero e di buon cuore. Perfetto per colmare il vuoto di una figura paterna mai conosciuta. Accanto a lui Adrian pare destinato a toccare il cielo.

Leggi l’anteprima di Last Man vol. 3

last man vives bao

Siamo all’inizio del primo volume di Last Man e la storia pare già scritta. Capitiamo in pieno territorio maschile, quasi una sorta de I giorni dell’ira in chiave fantastica. Abbiamo lo scontato maschio alfa pronto a prendersi sotto l’ala protettrice il più debole della cucciolata. Forse perché gli ricorda lui stesso alla medesima età, prima che qualche tragedia lo sconvolgesse costringendolo a vestire – giorno dopo giorno – una metaforica armatura comportamentale. Da questo banale presupposto si dovrebbero dipanare pagine e pagine di botte, battute smargiasse, mosse segrete, astute strategie, risate e saggi consigli virili. Tutto perfetto, se non fosse che questo teatrino è destinato a crollare sotto gli implacabili colpi dell’improbabile trio di autori. Tanto consci di aver combinato un disastro da pensare bene di puntare sulle uniche, autentiche presenze forti di questa serie per rimetterlo in piedi: le donne. E lo si poteva intuire sin dal titolo dell’opera. Il Letztemensch (Ultimo uomo) di Nietszche non era certo un ideale da seguire. Pigro, indolente, stupido ed egoista. Un mediocre incapace di costruire alcunché. Nel mondo di Last Man l’aspetto maschile è costantemente tratteggiato come inadatto alla vita vera, ottuso, spesso in balia dei suoi istinti più bassi o della semplice vanità. Un bel ribaltone rispetto alle premesse così conservatrici, tipiche di una larga fetta della narrativa d’evasione.

Spesso si parla di questa serie come di manga alla francese solo perché la struttura potrebbe richiamare – e solo nel primo arco narrativo e riferendosi unicamente alla superficie del prodotto – quella del tipico shonen nipponico. In realtà l’operazione portata avanti dagli autori è molto più complessa. Anche se il giochino metalinguistico è ben presente (si parte da Dragonball, si passa a Ken il Guerriero – con un pizzico di Idiocracy – e dal quarto volume si cambia ulteriormente campo da gioco) non si sconfina mai nella rilettura kitsch di linguaggi maneggiati sicuramente meglio da altri artisti. Siamo più dalle parti di un sabotaggio dall’interno, capace di dare a questo lavoro uno spessore tutto autoriale.

LAST MAN bao vives

Piccola parentesi storiografica per capirci meglio. Quando, a inizio del 1700, si venne conformare una prima idea di buon gusto ci si affannò subito a trovare delle regole fisse per dividere la vera arte da tutta l’ondata di produzioni destinate all’emergente classe media (prima c’era solo il folk/popolare e l’élite culturale, nessun bisogno di dividere tra buono e cattivo). Uno dei punti su cui tutti risultarono immediatamente d’accordo fu la divisione tra opere generate dai sentimenti (basse) e quelle derivate dai principi (alte). Detto in altre parole: se scrivo un libro con l’intenzione che questo debba essere triste/romantico probabilmente sarà spazzatura alla Harmony. Se invece parto da un’idea “pura” arriverò a un risultato che susciterà diverse emozioni in base al grado di rielaborazione del fruitore. Prendete un’opera come la cappella Rothko (esatto, quella che si vuole comprare il protagonista nel romanzo Cosmopolis di Don DeLillo). C’è chi la interpreta come rasserenante e chi come severa e austera, senza che nessuno abbia torto o ragione. Questo perché è davvero un capolavoro, nato da un bisogno profondo dell’artista. Con la narrativa di genere, come abbiamo visto dall’esempio dei romanzetti rosa appena fatto, funziona più o meno allo stesso modo. Se parto con l’idea di scrivere – che ne so – un noir facile, il risultato sarà tecnicamente perfetto ma del tutto dimenticabile come contenuti. Se invece metto alla base un’intuizione e trovo il genere più adatto per sviscerarla, allora il risultato ha davvero grandi possibilità di essere memorabile. Penso al magnifico film del 2014 di Jennifer Kent, The Babadook, acuta e dolente riflessione sul lutto prima che semplice horror con i mostri dietro la porta. E anche l’intera opera di Alan Moore sprofonderebbe impietosamente nel baratro del cattivo gusto se non avesse delle elucubrazioni enormi (e geniali e inimitabili) alle spalle (super-eroi depressi? Universi popolati da personaggi di finzione dell’epoca vittoriana? Reinterpretazioni esoteriche della vita di un serial killer?).

Proprio partendo da questo assunto mi verrebbe da pensare come Last Man sia stato generato prima come un’idea e poi abbia trovato il suo compimento nel fumetto giapponese per adolescenti maschi. Non a caso gli autori non scelgono di scomparire dietro stilemi grafici che non gli appartengono, ma piuttosto infilano con arroganza un tratto tipicamente europeo dentro un formato del tutto atipico per il mercato francese. Come a smascherare tutta l’operazione. Loro sanno bene chi sono e non intendono fare la figura dei mestieranti.

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Il risultato è un po’ come il Planetary di Warren Ellis, solo incentrato sul fumetto nipponico per una fascia d’età piuttosto giovane e con connotazioni di ricerca ancora più spiccate. Una giostra metalinguistica, qui nobilitata da una costruzione dei personaggi femminili davvero straordinaria. Un universo a cui abbiamo il privilegio di accedere attraverso gli occhi del giovane Adrian. L’intelligenza dei tre autori sta nell’allontanarsi il più possibile dal femminismo militante di questi anni – del tutto giustificato e legittimo, seppur facilmente attaccabile nella sua mono dimensionalità – per concentrarsi sull’umanità delle loro protagoniste. Per quanto detestiate ogni opera che non grondi testosterone, non riuscirete a non adorarle. E non per chissà quale motivo astruso. Quelle di Last Man sono donne straordinarie, e questo basta.

Prendiamo la bellissima madre del protagonista, sempre presente al suo fianco nonostante il duro lavoro al mercato. Schiva e riservata seppure desiderata da molti. Prevedibile nel suo cedere ai richiami della carne, come farebbe una qualsiasi donna single della sua età in cerca di un minimo di svago. Una donna forte (anzi, fortissima), dalle mille risorse, recalcitrante a ogni forma di sopraffazione. Capace di calore e gentilezza anche con gli antagonisti. Non la solita tipa tosta dalle maniere rudi. Ne l’inguaribile romantica. O la piccola da difendere. La vittima degli eventi o la pazzerella sempre solare. E’ una fantastica donna reale. Con un fisico da modella magari, ma comunque tangibile come se fosse la vostra vicina di casa. Così come paiono esserlo tutte quelle che gravitano nel cosmo in costante espansione di Last Man. La piccola Élorna, così fragile eppure così talentuosa e attenta a chi gli sta accanto. O la disincantata Flora dal cuore d’oro. O la pragmatica Regina. Ogni importante svolta narrativa di Last Man passa dalle donne e dalla loro capacità risolutiva. Altro che ultimo uomo come strenuo difensore del suo stesso campo da gioco.

Per una volta l’influenza dell’autore “serio” (anche se Vivès è solo una delle tre teste al lavoro) sul fumetto popolare non è la solita devastante – ed egotrofica – voglia di nobilitare il basso. Il genere diventa terreno privilegiato dove coltivare l’evolversi di una vicenda, con l’afflato decisamente più vasto di quello che si avrebbe nel raccontare un pomeriggio in piscina (ammicco-ammicco). La voglia di leggere al più presto i volumi mancanti di questa serie è davvero molta, anche per riuscire ad arrivare a qualche conclusione un minimo più strutturata delle intuizioni avute fino a ora. Non male per un lavoro che in molti confondo ancora con un semplice manga in chiave francofona.

Last Man – 3 volumi (in corso)
di Balak, Sanlaville e Vivès
Bao Publishing, 2014-2015
200 pagine circa, 16.00 € cadauno

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