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Sam Zabel e la penna magica: Dylan Horrocks e la celebrazione del fumetto

Dylan Horrocks è l’autore di uno dei graphic novel più importanti degli ultimi vent’anni, Hicksville, pubblicato nel 1998 (in Italia nel 2003, per Black Velvet). Con esso, Horrocks celebrava il fumetto con un fumetto; raccontando le meraviglie di leggerli e di farli, i fumetti, senza usare alcun didascalismo, ma con buone dosi di sana nostalgia e padronanza del mezzo.

Sam Zabel e la penna magica – la sua attesa opera lunga successiva a Hicksville – prosegue sulla stessa riga. È di nuovo un fumetto sul fumetto, sulla meraviglia di leggerli e la magia di crearli.

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«Sam Zabel è un fumettista», però, «Sam non disegna un fumetto da molti anni. […] Si siede davanti a un foglio di carta bianco», ma non riesce a produrre. Cito dalle prime pagine del libro; e se in queste frasi, al posto del nome del protagonista si sostituisce il nome dell’autore, poco cambia. Perché dopo aver realizzato Hicksville, un fumetto sui fumetti (serve ribadirlo) di fumetti di pura fiction Horrocks non è praticamente riuscito a crearne più, e questo deve averlo abbattuto parecchio. Ha scritto testi per Batgirl, per titoli DC Vertigo, ma senza troppo successo o soddisfazione; mentre di suo ha realizzato l’incompleto Atlas.

Dunque, Sam Zabel è Dylan Horrocks stesso, c’è poco da girarci intorno; solo che, Horrocks non può certo spassarsela come fa Zabel in queste pagine, scappando dalla realtà. Per lui, la realtà nuda e cruda è che vuole fare fumetti, ma a piegarsi al mercato non ce la fa proprio. E da lì la crisi creativa, il blocco dello scrittore (nello specifico, qui, del fumettista), e i conseguenti ragionamenti intorno al ruolo, nelle nostre vite, del narratore e della narrazione.

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Le avventure per Zabel hanno inizio quando scopre un vecchio albo a fumetti che dà la possibilità di tuffarsi in mondi alternativi, di entrare in quei mondi di finzione rappresentati nell’albo stesso. I suoi viaggi cominciano come una forma di evasione dalla realtà e da quella che viene descritta seriamente, ma in modo piuttosto leggero, come una vera e propria depressione; e diventano poi un modo per esplorare quasi filosoficamente le possibilità del medium fumetto.

Sfruttando topoi tradizionali dello storytelling – come il ritrovamento di testi leggendari dalle grandi potenzialità o il viaggio in mondi fantastici e casuali – Horrocks si ritrae nei panni di Zabel, come un nuovo Gulliver fumettistico in viaggio per mondi immaginari, immaginati da un suo collega – immaginario pure lui – di nome Evan Rice. Rice è dotato della “penna magica”, che permette di dare letteralmente vita a mondi ricchi di vita e personalità; ed è delineato ispirandosi chiaramente alla figura di un autore ormai venerato – da Horrocks, come si vedeva dalle citazioni di Hicksville, e da un po’ tutto il mondo del fumetto.

Un po’ come il Randolph Carter di H.P. Lovecraft, che fuggiva alla realtà viaggiando nel mondo dei sogni, anche Zabel una volta assaporate le gioie del mondo dell’immaginazione non ne vuole più uscire, e cerca nuovi fumetti, storie e universi in cui catapultarsi.

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Mantenendo toni leggeri, divertenti – grazie anche all’aiuto delle sue due giovani compagne di viaggio – il protagonista riesce a fuggire dalla quotidianità e dalla frustrazione del lavoro grazie a ciò che ama, e allo stesso tempo riesce a riflettere sul lavoro che fa, ma anche sul valore e la responsabilità che ha chi racconta storie. Come quando arriva a dire: «siamo moralmente responsabili della nostra fantasia». Ma la sua riflessione non si ferma a questo primo assunto, e aggiunge dopo: «e se il senso stesso della fantasia fosse proprio andare oltre i confini del reale, del possibile, dell’accettabile?»

Sono parole ora più che mai attuali – in questo anno iniziato con l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo – sono parole che escono da un fumetto che pensa all’intrattenimento più puro in maniera molto consapevole e matura, senza porsi limiti e confini di azione.

Quello di Sam Zabel è un racconto assai più leggero e meno stratificato rispetto a Hicksville. Quest’ultima è senza dubbio un’opera per appassionati, studiosi del fumetto e fumettisti; difficile sarebbe consigliarlo con successo a un novizio della narrazione moderna a fumetti, per comprenderlo e apprezzarlo serve senza dubbio del background. Sam Zabel è, invece, una lettura più leggera, per molteplici aspetti. Primo: il disegno. Horrocks ha senza dubbio ripulito il proprio segno, lo ha reso più morbido e chiaro, più cartoonesco piuttosto che di ispirazione indie-underground. Secondo: l’asciuttezza del racconto. Horrocks sfrutta sia topoi narrativi classici che elementi e personaggi moderni (le due ragazze e i loro riferimenti ai webcomic e al manga sono fondamentali da questo punto di vista).

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Sam Zabel e la penna magica ha comunque il difetto di rimanere comunque una storia sulle storie. Si ha sempre la consapevolezza di non stare leggendo un racconto del tutto “nuovo”, ma una rivisitazione di idee e soprattutto una celebrazione del mezzo stesso usato per narrare. Niente di male in tutto questo, intendiamoci. Horrocks esplora nuovamente questo suo ibrido tra fiction e saggio, pecca parlandosi spesso addosso, ma sono innegabili in questa opera la modernità e l’equilibrio tra le tematiche e i toni.

Horrocks è uno strenuo difensore dell’arte, dell’immaginazione e del fumetto. Con Sam Zabel afferma con forza che credendo nei propri obiettivi, e servendosi della fantasia – e magari del fumetto – si può arrivare ovunque, o perlomeno, si può efficacemente fuggire alle pene della vita quotidiana

Sam Zabel e la penna magica
di Dylan Horrocks
Bao Publishing, 2014
207 pagine, 21€

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