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FocusLa storia dei Fantastici Quattro in 6 cicli narrativi

La storia dei Fantastici Quattro in 6 cicli narrativi

Un viaggio tra i cicli di storie e gli autori che hanno contribuito a far entrare i Fantastici Quattro nella cultura popolare.

Stan Lee/Jack Kirby

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Fantastic Four #1-102, in Italia su Fantastici Quattro (Editoriale Corno) nn. 1-100 (o Marvel Masterworks nn. 2/13/16/21/31/38)

Fantastic Four è una delle testate che ha dato il via alla Silver Age. Creata per emulare il successo che la DC stava ottenendo con la Justice League of America, Fantastic Four è figlia del metodo Marvel, una modalità di produzione che vedeva lo sceneggiatore compilare una vaga sinossi del numero, elaborato nei dettagli dal disegnatore, che ripassava la palla allo sceneggiatore per l’aggiunta dei dialoghi. Lee ha sempre dichiarato che l’idea di base del quartetto era sua, cosa che Kirby ha negato fino alla morte, rivendicando la paternità del gruppo, a loro volta ispirato a un’altra creazione precedente di Kirby, gli Esploratori dell’Ignoto.

Nei cento e passa numeri creati dai due autori ci sono quasi tutte le tematiche e i personaggi che hanno modellato gli FQ e su cui tutti gli altri hanno costruito sopra. Inutile stare a disquisire sul perché e sul per come delle cose. E comunque, sì, Kirby ha fatto la gran parte del lavoro, compresa la creazione di Silver Surfer (e Lee a volte ha forzato di molto le immagini coi suoi dialoghi, come qui).

Roy Thomas/Disegnatori vari

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Fantastic Four #158-179, in Italia su Fantastici Quattro (Editoriale Corno) nn. 168-194

C’è questo buco nero nella memoria collettiva che impedisce a qualsiasi ricordo degli FQ negli anni Settanta di superare il bordo dell’infinito: i team creativi si alternano sul breve periodo, Stan Lee continua a scrivere la serie per un anno, poi cede il posto ad Archie Goodwin, Len Wein, Gerry Conway e Marv Wolfman, mentre John Buscema e Keith Pollard sono tra i disegnatori più rappresentativi. Dal gruppo si distingue Roy Thomas che, insieme a Buscema, George Pérez e altri, gestisce FF in due cicli (1972-73 e 1975-77). Complice il rinnovamento sociale del decennio, introduce Thundra, guerriera proveniente dalla Femizonia, società ad alto tasso di estrogeni, e si concede spesso allusioni shakespeariane nei titoli, nei dialoghi e nei meccanismi narrativi. Morte in un mondo solitario, per esempio, è il culmine di una saga in cui l’autore usa lo scambio di identità come punto di partenza per investigare la reale identità dei personaggi.

John Byrne

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Fantastic Four #232-294, in Italia su Fantastici Quattro (Star Comics) nn. 4-68 (o Marvel Omnibus nn. 30/37/42)

Nel 1981, con l’emblematico Ritorno alle origini, Byrne debutta alla guida di Fantastic Four. Avrebbe dovuto soltanto sceneggiare le storie, con Bill Sienkiewicz ai disegni, ma quando questi lascia per lavorare su Moon Knight, Byrne diventa autore unico della testata. È il ciclo più noto e acclamato del Quartetto. Byrne recupera un concetto che secondo lui era andato perso: i Fantastici Quattro sono prima di tutto una famiglia, poi esploratori, e solo alla fine supereroi. Nelle sue mani, gli FQ attraversano crisi profonde e accumulano spessore psicologico: Sue Storm viene manipolata da Psycho-Man e diventa una minaccia per la famiglia, si libera dal controllo e rinasce come Donna Invisibile, insieme a Reed affronta un aborto; la Cosa viene rimpiazzata da She-Hulk; viene introdotto il padre di Reed, Nathanial Richards. Byrne è talmente sul pezzo che si scrive da solo pure i fill-in, numeri già prodotti e usati per tamponare gli eventuali ritardi del team creativo. Cosa di cui la serie non ha bisogno, visto che la produzione non sgarra una scadenza. Anzi, a Byrne dispiace talmente tanto sprecare le tavole già inventariate di Kerry Gammill che le riutilizza per narrare lo scontro tra Sue e la Cosa.

L’artista termina la sua run nell’agosto 1986. «Il mio lavoro è stato elevato a un’opera che non rispetta il suo reale valore», ha dichiarato Byrne. «Certo, era quasi tutta roba buona, e certi numeri flirtavano con la grandezza, ma più che altro agisce il vecchio scenario Tiberio/Caligola: sembra così bello perché quello che fu pubblicato dopo era robaccia.» In effetti, dopo di lui, gli anni Ottanta sfornano storie di efferata ignoranza, tipo la Super-Cosa di Steve Englehart.

Mark Waid/Mike Wieringo

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Fantastic Four (vol. 3) #60-70, Fantastic Four #500-524, in Italia su Fantastici Quattro (Panini Comics) nn. 225-256

Nei caldi anni Novanta, gli FQ si rigirano nel loro letto editoriale alla ricerca di una posizione comoda e fresca, ma nessuna sembra quella giusta. Tom DeFalco, che copre i primi anni del decennio, è a fatica qualcosa di ricordabile. Il subappalto al gruppo di autori più fighetti del momento, la Wildstorm di Jim Lee, nell’ambito dell’iniziativa Il ritorno degli eroi, dura poco e non viene ripreso da altri (pur anticipando alcune delle idee dell’iterazione Ultimate). Con in mente un ciclo da 50 numeri, Scott Lobdell e Alan Davis abbandonano la serie dopo una manciata di uscite. L’approdo delle vecchie glorie fa anche peggio. Chris Claremont, l’uomo che ha messo la ‘X’ in ‘X-Men’, si trova a togliere il ‘fantastico’ dai Fantastici Quattro. Finito a scrivere gli FQ dopo un ripensamento del parco testate degli X-Men, Chris continua a inserire mutanti delle storie del Quartetto, mostrando poco attaccamento per i personaggi. Avrebbe persino voluto far diventare Kitty Pride un membro del gruppo. Ciononostante, a lui si deve la creazione di due parti importanti del cast: Alyssa Moy, l’ex-fidanzata di Reed, e Valeria, la secondogenita dei Richards.

Se proprio, il vero lascito degli anni Novanta potrebbe essere la caciarona run di Walt Simonson (1989-1991), con i FQ rimpiazzati da Wolverine, Hulk, Ghost Rider e Spider-Man. Una gestione financo avanguardistica, visto che nella storia Il mambo del Mesozoico (ma dove li trovate oggi titoli così?) disegna i dinosauri con le piume, molto prima che questa ipotesi fosse accettata dalla comunità scientifica.

All’alba del nuovo secolo, sono Mark Waid e Mike Wieringo gli artefici della svolta. Waid e Wieringo si erano fatti apprezzare per un ciclo su Flash negli anni Novanta, producendo storie lineari nelle cui vene pulsava un continuo rimando alla mitologia Silver Age del personaggio. I due prescrivono la stessa cura agli FQ: mantengono intatte le dinamiche del passato, ma evitano di appesantire la lettura con riferimenti alla continuity, bilanciano l’azione con storie urbane e concentrate sul lato famigliare della testata (più che altro, subissando Reed di sfighe e nemici mortali, tra cui la matematica).

Le storie entusiasmano i fan tanto quanto lasciano freddi i piani alti della Marvel. Bill Jemas tenta di convincere Waid a scrivere avventure «più terra terra, con Reed che diventa un professore matto e il vicino di casa scontroso come nuovo arcinemico». Waid si rifiuta, Joe Quesada assolda un nuovo team creativo (Roberto Aguirre-Sacasa e Steve McNiven), Waid ci ripensa, e intanto i fan urlano allo scandalo. La dirigenza riconsegna la testata a Waid, e il nuovo team a questo punto è dirottato su una testata delle linea ‘Marvel Knights’, 4, creata apposta per raccontare l’aspetto più mondano del fumetto.

Mark Millar/Bryan Hitch

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Fantastic Four #554-569, in Italia su Fantastici Quattro nn 290-305 (o Fantastici Quattro: Mark Millar Collection voll. 1-2)

Dopo il ciclo di Waid, la testata del quartetto fu gestita prima da J. Michael Straczynski e poi da Dwayne McDuffie, con Mike McKone a disegnare gran parte delle loro storie. Pur tentando di sgangherare i cardini della testata (la Cosa diventa ricco, Pantera Nera e Tempesta entrano negli FQ), le storie non raccolgono grandi plausi. Gli editor così si giocano l’asso di coppe, mettendo al timone Mark Millar e Bryan Hitch.

Idee più grandi del concetto stesso di ‘grande’ (la costruzione di un nuovo pianeta Terra! La morte di Sue Storm! Il ritorno del Dottor Destino!), messe su carta nel modo più bombastico possibile. Con una prima saga che si intitola I più grandi del mondo, la gestione è tutta all’insegna del movimento continuo, non c’è stasi, non c’è un attimo di dubbio, qualsiasi asperità intellettualoide è liquidata nello spazio di tempo tra una splash page e l’altra. Non ci sono grandi carcasse da spolpare per i lettori più accaniti, e tutta la gestione è un po’ un greatest hits che, come tale, si limita a presentare i piatti forti della casa ai non avvezzi.

Jonathan Hickman/Disegnatori vari

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Fantastic Four #570-611, FF #1-24, in Italia su Fantastici Quattro (Panini Comics) nn. 307-344

Quella di Jonathan Hickman è una delle ultime lunghe gestioni e una di quelle più caratterizzate dallo stile dell’autore. Siccome se non scrive una storiona non è contento, Hickman si approccia alla serie con storie singole o in tre-quattro parti, legandole sulla lunga distanza a sottotrame che gli necessitano diversi numeri di decompressione sul finale per essere risolte.

Lavora su Reed, figura che aveva ormai fagocitato il resto del gruppo. Tenta di stabile un nuovo equilibrio tra le parti del Quartetto, iniziando con l’idea 101, risolvere tutto. Un concetto ripreso da Civil War, in cui Reed, Tony Stark e Hank Pym avevano ideato cento idee (tra cui la prigione nella Zona Negativa) e che consegna al lettore il nucleo del personaggio di Reed, come scrive Alex Pappademas su Grantland: «Reed Richards ha famiglia ma la trascura per poter provvedere alla loro sicurezza. […] Sfatto nel suo laboratorio, troppo intelligente per non capire che la situazione è senza speranze, troppo disperato per mollare.» Che è anche una grande metafora per il lavoro di Hickman stesso, chiamato a reinventare i Fantastici Quattro dopo la tiepida accoglienza ricevuta nel periodo precedente. Hickman, come un novello Reed Richards, un po’ pedante e con in mente grandi piani, vuole risolvere tutto: progetta nei dettagli (riempie di simmetrie i numeri, collega le trame all’altra serie che aveva in mano, S.H.I.E.L.D.), continua a gettarci addosso idee e concetti. Lo fa per il nostro divertimento, ma a volte perde di vista l’immediatezza delle cose. È una gestione dura, non nei toni – che comunque si tengono ben distanti dal fare giocoso di Waid o Straczynski – ma nell’uso del bagaglio storico della serie: compaiono personaggi di seconda fascia o elementi delle precedenti run (l’autore ha ammesso di non aver mai amato molto gli FQ ma di averne letto ogni numero prima di accettare il lavoro) e tutta la gestione è densissima di eventi, dal ritorno in scena del padre di Reed, Nathaniel, al gioco con i piani temporali, fino alla nascita della Fondazione Futuro – con conseguente serie ancillare dedicata.

Il ciclo manca di coesione grafica – Dale Eaglesham, Steve Epting, Nick Dragotta, Ryan Stegman sono solo alcuni dei nomi coinvolti – e, arrivati a questo punto, molti lettori potrebbero aver espresso questo pensiero in qualche forma, ma è innegabile che il lavoro di Hickman sia uno dei più importanti edifici narrativi costruiti sulla serie.

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