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Graphic NovelLa vastità del resto. Il Celestiale Bibendum di Nicolas De Crécy

La vastità del resto. Il Celestiale Bibendum di Nicolas De Crécy

1.

Ancora non lo sa che tra undici anni esatti, dopo una sorprendente battaglia, la Grande Armée napoleonica passerà vittoriosa e inarrestabile sotto la sua finestra in Nansen Strasse a Jena, diretta a Berlino. Adesso è l’ottobre del 1795 (“vendemmiaio” lo chiamano i francesi, con geniale neologismo, da qualche anno). Parigi è infiammata dall’insurrezione dei montagnardi, dalla congiura degli eguali di Babeuf e dalla repressione militare guidata proprio da quel giovane generale Bonaparte che, tra 11 anni, passerà inarrestabile sotto la sua finestra diretto a Berlino. Mentre accade tutto questo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel si annoia nella placida e bigotta Berna, dove fa il precettore per una ricca famiglia borghese. Mentre si annoia, la struttura oligarchico-teologica in cui vive gli ispira alcune considerazioni sulla religione che approfondisce in uno scritto ispirato alla Vita di Gesù. In questo testo l’acerbo Hegel secolarizza, influenzato dall’etica Kantiana, la lezione dei vangeli, evidenziandone la necessità della legge morale, che sarebbe fondamento della religione, di farsi pragmatica di vita. Il problema, dice Hegel, è che in questo tentativo pragmatico la religione cristiana esaurisce se stessa come pure moralità. Questo la sottrae alla possibilità di diventare vera religione popolare, fatta cioè di fantasia, contraddittorietà del messaggio ed elementi sensibili (le immagini e le rappresentazioni), comportandone invece la positivizzazione in leggi e precetti dati e indiscutibili, e trasformandola in terreno fertile su cui fioriscono i regimi dispotici.

Piccolo inciso numero 1: a dispetto del nome e della descrizione iniziale, che richiama la Los Angeles del Blade Runner di Ridley Scott; a dispetto delle architetture, a metà strada tra il modernismo catalano e l’art-decò statunitense degli anni Trenta; New York-sur-Loire non è altro che Parigi. La si riconosce in ogni vignetta. Per fugare ogni dubbio basta guardarsi il prezioso volume New York-sur-Loire, lussuosamente ristampato da Casterman nel 2013, in cui De Crécy ha raccolto studi e vedute preparatorie della città.

Celestiale Bibendum Nicolas De Crecy eris fumetto

2.

Dunque. Mentre New York-sur-Loire è scossa dalla rivoluzione dei cani, il professor Lombax (che a differenza di Hegel sa già tutto ciò che accadrà; perché lo ha vissuto o perché se lo stia inventando non è rilevante)… anzi, quel che resta del professor Lombax – la testa e il cappello – dopo un incidente stradale dovuto a un cane randagio, vive tranquillo in una casa isolata tra boschi che potrebbero benissimo essere quelli del Giura. Dalla sua voce ascoltiamo una storia che somiglia molto a quella che Hegel scrive là, durante il suo soggiorno bernese: la storia di Diego. Come accade per il Gesù di Hegel che incarna l’imperativo etico kantiano, così il Diego raccontato da Lombax, attraverso la blasfema cristologia costruita da De Crécy, è, nelle intenzioni della classe pedagogica che lo manovra, manifestazione di puro amore, di assoluta purezza etica. Non a caso è lui il candidato favorito a vincere il Nobel dell’Amore, che viene attribuito ogni 100 anni. Ma ciò che sapeva Hegel, e che invece sembra sfuggire al professor Lombax e a tutti gli intellettuali al servizio del potere che devono preparare Diego a diventare docile strumento dell’autorità, è che l’amore, soprattutto quando è tale da vincere un Nobel, presuppone l’opposizione al male. E l’opposizione incrina sempre il pensiero e la prassi totalitari. Poi c’è un’altra complicazione. Diego è una foca.

Piccolo inciso numero 2: non c’è alcun dubbio che quella di Diego sia una cristologia laica. Dal battesimo nel Giordano (le tavole in cui, dopo il suo arrivo, l’aiutante del Diavolo lo ributta a mare e lui torna a nuoto), passando per la tentazione nel deserto (quando Diego viene posseduto dal Diavolo) alla crocifissione (le tavole in cui, sotto il controllo del Diavolo, legato a braccia tese come un burattino, tenta di convincere i cani rivoluzionari), fino alla resurrezione (le ultime splendide tavole, in cui gli omuncoli del capitale prendono il controllo di Diego al posto del Diavolo): le tappe essenziali di una Sacra Rappresentazione ci sono tutte. Appunto: la rappresentazione.

bibe

3.

Di molto più agevole lettura rispetto alla Fenomenologia dello Spirito è l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Opera in cui Hegel, tra il 1817 e il 1830, da definitiva compiutezza al suo pensiero. Proprio in queste pagine afferma che la filosofia è necessariamente sistema. Un sistema che si articola in tre parti fondamentali: la logica, la filosofia della natura, la filosofia dello spirito.

Il Celestiale Bibendum, seconda opera di Nicolas De Crécy (anche se dire seconda è un po’ una forzatura, visto che nei sette anni in cui lo realizza, dal 1994 al 2011, produce altre cose rilevantissime), è il suo capolavoro assoluto e il lavoro in cui da compiutezza a tutte i suoi temi iconici, narrativi e ideologici. Non lo afferma lui apertamente, ma possiamo dirlo noi, quello che esce prepotentemente da queste tavole è che il fumetto è necessariamente un sistema. Sistema che si articola in tre parti fondamentali, quanti sono i tomi che lo compongono. L’architettura della narrazione, la contrapposizione tra realtà e credibilità che la narrazione per immagini comporta, lo scioglimento di questa contrapposizione in un modo, come vedremo, originalissimamente eracliteo.

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4.

Nel 1889 Edouard e André Michelin, che da anni commerciano in gomma vulcanizzata, fondano una ditta di pneumatici per biciclette. Nel giro di nemmeno un decennio la Michelin diventa uno dei capisaldi del capitalismo industriale francese. Poco prima che inizi il XX secolo i due fratelli (sembra fosse Edouard, in particolare, il più sensibile alle lettere) scelgono come motto della loro impresa un verso di Orazio (Odi, 1, 37) Nunc est bibendum con chiaro riferimento al fatto che, come diceva la pubblicità, i pneumatici Michelin si bevevano ogni ostacolo. Nel 1898 i due fratelli (sembra però fosse André il più sensibile alle arti grafiche) scelgono per la loro compagna pubblicitaria un manifesto realizzato da Marius Rosillon (O’Galop) su un’idea che si rivelerà dirompente. Un uomo fatto di pneumatici solleva un calice di champagne, recitando il verso di Orazio diventato moto della società. Era nato quello che noi conosciamo come “l’omino Michelin”, ma che i francesi, in realtà, chiamano Bibendum.

Piccolo inciso numero 3: ottima la scelta degli editori italiani di tradurre con Il Celestiale Bibendum l’originale Le Bibendum Celeste. Il gerundivo bibendum della perifrastica passiva con cui si apriva l’ode oraziana, è divenuto storicamente il nome dell’omino Michelin, assumendo di conseguenza valore nominativo. Nel titolo originale di questo volume, De Crécy accostando al nome Bibendum l’aggettivo Celeste, gioca ad accordalo latinamente con esso in genere (neutro: l’omino di gomma non è né maschio né femmina) e caso (il nominativo neutro degli aggettivi della seconda classe esce in -e). Letteralmente, stando al gioco dell’autore, verrebbe Il Bibendum appartenente al cielo. Ovvio che, sia per funzionare in italiano sia per mantenerne il senso, non fosse traducibile che come ‘divino’ o ‘celestiale’.

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5.

Dicevo di come, nella scelta di fare della storia di Diego una cristologia meterialistica, ci fosse una complicazione: il fatto che Diego è una foca. In realtà Diego non è una foca. Diego è “L’omino Michelin”: Diego è Bibendum. Non voglio svelare il finale, ma il lettore resterà sorpreso quando ne scoprirà l’incredibile somiglianza con Peter Minuit, l’antico pioniere capostipite di tutti i capitalisti e fondatore di New York-sur-Loire. Nei piani del Presidente vestito di rosso (come i cardinali),  l’attuale amministratore delegato della città – e quindi dell’eredità capitalistica di Minuit/Michelin – Diego sarebbe, in quanto simbolo, l’incarnazione di quella morale religiosa – il bene e la bontà assolute – che costituisce le fondamenta del potere capitalistico. In questo senso Celestiale, Divino. Un divino però difettoso perché, come già ho fatto notare, Diego è un’immagine, una struttura cognitiva contraddittoria.

Piccolo inciso numero 4: ritengo ormai scontata, anche se c’è ancora qualcuno che afferma il contrario – in particolare nel mondo del fumetto, blaterando di cose come prima scritto e poi disegnato – l’idea che una storia non possa essere un oggetto ipostatizzato e separato dal sistema che la esprime. Quella di Diego è una storia a fumetti. Il fumetto è un sistema oppositivo, dove cioè, come ci spiega De Crécy (e adesso vedremo come) ogni cosa è quello che è solo perché si trova legata alle altre in un rapporto eracliteo (quindi in buon misura Hegeliano) di opposizione.

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6.

“Mi è impedito di attaccarmi alla realtà? Mi attaccherò al resto, sapessi quanto è vasto”

E andiamo a concludere.

Nel primo tomo di questa opera incredibile (incredibile nel senso che, a dimostrazione di quanto dicevo sulla inseparabilità di storia e sistema che la esprime, a raccontarne l’intreccio non ci si capisce niente; bisogna guardarla) si svolge una lotta senza quartiere tra Lombax e il Diavolo per il controllo della narrazione. Lotta che si conclude con Seraphin, lo sgherro di Belzebù che prende il controllo della testa di Lombax e conseguentemente della narrazione. Il diavolo resta padrone del campo, ma scopre, nel secondo tomo, che controllare la narrazione, quindi il mondo, non è affatto facile. Quando prende l’autobus per la realtà, quello che lo porterà a controllare il corpo di Diego [nota, o piccolo inciso numero 5: l’immagine simbolo del capitalismo, Bibendum, è sostanzialmente la realtà di quel mondo nel quale viviamo, quello in cui le sovrastrutture – i grattacieli, nel fumetto – sono fatte di merda di cane] scoprirà che entrare nella realtà ha un costo: la perdita di credibilità. La realtà non è verosimile. I cani che stanno facendo la rivoluzione (e non mi inoltro nel discorso che si potrebbe fare sulla critica ideologica che De Crécy muove marxianamente alla struttura, fatta appunto di merda, della società capitalistica) e che rapiscono Diego sono indifferenti alla sua esistenza. Perché quello che il Diavolo vuole fare è porsi come concetto. I cani non gli credono, perché sono alla ricerca (tutta l’opera non è che una quête) dell’arché. Dell’immagine iniziale. Quella che nel finale dimostrerà come Minuit non è altri che Diego.

Se per Hegel il compito della filosofia, alla fine, è quello di sostituire alle rappresentazioni i concetti, per De Crécy il compito del fumetto (e di ogni narrazione dell’epoca attuale, dal cinema ai video giochi) è esattamente l’opposto. Sostituire elementi univoci e totalitari come i concetti con la contraddittorietà delle rappresentazioni. In tutti i suoi lavori, quel che fa De Crécy è caricare il pensiero di immagini. Tutto nella realtà sociale (sì, sto pensando a Searle), come nelle immagini, è esattamente il proprio opposto. Il lavoro più duro per chi le fruisce è allora prendere il controllo della narrazione (fuor di metafora: il controllo della costruzione della realtà sociale), come fanno i cani nel terzo tomo (anche se il finale, dannazione, è decisamente aperto) e non lasciarla né a dio né al diavolo.

Insomma. C’è da fare un gran lavoro (e ben remunerato) a leggere (certi) fumetti.

Leggi anche:
Nicolas De Crécy, il fumetto come continua ricerca e sfida personale
“Prosopopus”, il noir fantastico di Nicolas de Crécy
De Crécy o la ricerca dell’umile (fumetto) nell’arte

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