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Lo Chiamavano Jeeg Robot, la recensione

di Tina G. Neri

Siamo nella periferia di Roma, precisamente a Tor Bella Monaca, il quartiere dei casermoni, dello spaccio, delle case-bunker identificate da numeri e sigle. Marginale, protagonista di cronaca nera, ambientazione per racconti di criminalità organizzata (anche, va detto, meno noto luogo di storie di riscatto e interventi sul territorio).

Una specie di Bronx, potremmo dire, usando il termine che dagli anni ottanta fino ad oggi, quando il Bronx è ormai quartiere riqualificato, rappresenta iconicamente IL quartiere della criminalità per eccellenza. Doveva essere così, vista la pervasività della cultura popolare e della fiction americana che ha condizionato e influenzato tutto il mondo occidentale.

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L’Italia non ha purtroppo molto da invidiare a nessuno per quanto riguarda la storia della criminalità organizzata. Anche il cinema di genere ha avuto il suo periodo. Gli anni Settanta erano anni di piombo e il cinema poliziesco/crime era molto vitale, fino al suo stop negli anni Ottanta. Rinasce nel nuovo millennio, quando il terrorismo (interno prima che internazionale) e la criminalità tornano a galla e riempiono di nuovo i giornali, partendo dagli anni novanta.

I nostri anni sono cupi ma sono anche gli anni della contaminazione e di un mondo sempre più piccolo, globalizzato e accessibile. Sono i giorni in cui, lo abbiamo già raccontato, quelli che sono nati negli anni Settanta e cresciuti negli Ottanta, bevendo con gli occhi e il cuore le produzioni americane e giapponesi, sono finalmente arrivati dove le storie si producono. Guarda caso anche con costi contenuti e grande possibilità di visibilità (per chi riesce ad emergere dal mare del rumore generale).

Tor Bella Monaca. Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladruncolo che si barcamena in attesa di un futuro non futuro, tirando a campare, guardando porno e mangiando dolci da discount. Non è certo Hell’s Kitchen, non è il Queens, non è Brooklyn, ma da quando i supereroi sono scesi tra noi i temi che caratterizzano “gli uomini con i poteri” sono transnazionali.

La Storia, quella con la S maiuscola, non è più quella in cui sono nati i supereroi che rappresentavano l’America, il Sogno Americano, il culto dell’iniziativa privata e dell’individuo. Negli anni ottanta il supereroe è cresciuto assieme a tutto il mondo. Si è autocriticato, riletto, è diventato riflessione sul potere e sul suo uso. I temi dell’identità, della responsabilità del potere, del rischio che da esso deriva sono molto più globali, esportabili. La periferia è livida, la fotografia usa i colori freddi ma non solo. Se Romanzo Criminale, sia la serie che il film, mantenevano un’estetica retrò, chiaro richiamo al poliziesco nostrano, le nuove narrazioni (Gomorra, Suburra) modernizzano luci e colori, si tingono anche di note pop, acide. Qui il colore deve supportare anche l’elemento fantastico ed entrano in gioco i colori dei neon, luci sintetiche rosse, i blu, gli esterni notturni.

Iniziamo con una panoramica aerea solare di Roma, un inseguimento nel centro storico da manuale. Poi una fuga verso la notte, la periferia e i suoi colori, a raccontarci che stiamo entrando in un territorio nuovo e poco usuale. Enzo Ceccotti, piccolo criminale, cattivo tra i cattivi in un mondo senza redenzione, incappa in qualcosa più grande di lui, i superpoteri. Come di prassi nella genesi dei supereroi, per un incidente. Come di consuetudine nella “origin story” di qualunque supereroe si troverà di fronte alla scelta di cosa fare dei suoi superpoteri: il tema dell’identità, dell’azione tra il bene e il male, il dubbio morale e pratico. A quel punto poco importa che sia Tor Bella Monaca o Hell’s Kitchen. Che i suoi nemici siano gangster o una banda di criminali capeggiati dallo Zingaro (Luca Marinelli), piccolo boss deciso a fare il botto e a lasciare il segno.

Tutti ossessionati da qualcosa, come la nostra generazione di narratori (registi, sceneggiatori, fumettisti, musicisti), i personaggi di Lo Chiamavano Jeeg Robot sono credibili nel loro essere tutti l’incarnazione di una caratteristica: la follia, la sete di potere e di successo mediatico, l’ingenua fiducia nel bene. Sono credibili perché caratterizzati e riconoscibili e perché gli autori, gli sceneggiatori e il regista, sono riusciti in un compito molto difficile: li hanno immersi in un mondo folle, violento, dove i superpoteri ci sembrano quasi la parte meno anomala, surreale, incomprensibile. Un mondo dove non c’è molta differenza tra Enzo, che i poteri li ha davvero e deve capire come usarli, e Alessia (Ilenia Pastorelli) la sua disturbata vicina, talmente sopraffatta dalla vita da aver trovato rifugio nel mondo magico dei cartoni animati giapponesi. La forza, l’invulnerabilità, sono quasi poca cosa quando il mondo intero intorno a te si regge su regole feroci, anzi, sulla ragione del più spregiudicato.

Il cast degli attori è vincente. Parliamo di Claudio Santamaria e dell’ormai lanciatissimo Luca Marinelli a cui il regista ha mostrato il Joker di Azzarello, per sua stessa dichiarazione. Cinquanta per cento Joker (o almeno aspirante tale) e cinquanta per cento puro cafone: lo Zingaro di Marinelli è un Tony Montana nostrano appassionato di musica pop italiana anni ottanta e camicie di raso.

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Con un’operazione alla Tarantino, la musica fonde Anna Oxa, Loredana Bertè e le note elettroniche della colonna sonora originale, firmata dallo stesso Mainetti con Michele Braga. A salvarci dalla crudezza del mondo la parte comica è affidata alla romanità dei personaggi, all’ironia citazionista, ai rimandi a film e fumetti, a dialoghi brillanti e surreali: sì, il mondo è corrotto, la città è in mano alla criminalità, ma in fondo ironia e senso del gioco ci salveranno.

Un buon lavoro nasce da un buon team: la scrittura (Nicola Guaglianone e Menotti) convince, soprattutto nella già citata gestione equilibrata dell’aspetto fantastico. Nel narrare un mondo in cui, se scoppia una bomba, possiamo anche dimenticarci di aver visto poco prima un supereroe in azione. Recitazione, musica, fotografia, costumi, i reparti lavorano assieme alla regia di Gabriele Mainetti che la gestisce al servizio del racconto.

Ci sono le panoramiche che ci portano dentro Roma, le inquadrature strette che raccontano tutti i dettagli fino alle texture degli oggetti, le scene action e i combattimenti dinamici, le citazioni visive. Ci sono scene di massa gestite con mano sicura a raccontarci di quanto l’impegno produttivo sia serio. Abbiamo visto Enzo Ceccotti nei trailer svettare solitario sulla cima del Colosseo, mentre guarda la città sotto di lui, corrotta e in cerca di protezione. Ricorda nulla agli appassionati lettori di fumetti?

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