Il fumettòfilo è, abitualmente, anche un bibliofilo tout court. Capita quindi di entrare in una libreria in cui non si era mai entrati prima, colti da improvvisa vaghezza di rintracciare un libro che ci eravamo ripromessi di acquistare, senza poi averlo mai fatto. Si varca allora la soglia di una libreria della San Paolo per ottenere, pagando il giusto, l’edizione Einaudi dei Vangeli Apocrifi. Placata con un acquisto compulsivo la propria metà genericamente bibliofila, scatta la serendipità del fumettòfilo che si aggira in un ammasso di libri mai esplorato prima. Sarà forse l’olfatto a guidarci prima ancora dell’occhio, fatto sta che ci si imbatte sempre nell’unica mezza scansia riservata al fumetto presente in quella libreria. A volte non c’è nemmeno la mezza scansia, a volte i fumetti sono tre in tutto. O uno solo, nascosto tra i libri da colorare per i bimbi. Ma il fumettòfilo è abituato, e ha forse un talento da rabdomante ben allenato che lo porta dove ancora non sapeva di voler giungere, ovvero all’appuntamento con quella gemma seminascosta tra gli Harry Potter e i Giulio Coniglio. In questo caso “Il viaggio dei padri”, di David Ratte, il cui segno espressivo e pulito e la caratterizzazione fisica dei personaggi possono forse ricordare il più noto – almeno in Italia e Francia – Massimiliano Frezzato.
Si tratta di un bel cartonato che raccoglie e traduce i tre tomi dell’edizione originale francese, pubblicata da Editions Paquet. In Italia l’opera (che ha vinto tutti i premi possibili della letteratura e del fumetto cristiani, come veniamo a scoprire) è apparsa prima a puntate settimanali su “Il Giornalino”, poi qualche mese fa l’editore l’ha pubblicata integralmente in volume. Poiché la proprietà della casa editrice è la medesima della libreria (e del “Giornalino”), stupisce un po’ trovarne una sola copia vicino ai puzzle da 100 pezzi, anziché in qualche pila in bella mostra. Il giovane sacerdote in clergyman che ci batte lo scontrino spiega che sì, quella era l’ultima, adesso è in ristampa, tornerà disponibile immediampresto, poi ha venduto bene, per cui… Stranisce un po’, inoltre, scoprire che si tratta della prima e unica uscita della collana “La Biblioteca del Giornalino”, che si suppone nata per ristampare in formato de-luxe (ma il prezzo è contenuto: in questo caso 9,90 Euro per un cartonato a colori di 152 pagine) il meglio dei fumetti usciti sulla rivista. Il religioso ci conferma che la collana è ferma al palo, ma il motivo non lo sa. Per ora tocca accontentarsi di questo libro, conclude.

Dopo averlo letto, possiamo scrivere che è un bell’accontentarsi. L’autore riesce a sorprendere pur raccontando una storia che tutti conoscono, se non altro come mero portato del retaggio culturale, di italiani (o francesi, è lo stesso) che non possono non dirsi cristiani, per citare Croce: la predicazione di Cristo, la sua condanna a morte, la resurrezione. La bravura di Ratte sta nell’adottare un punto di vista laterale, così da raccontare ancora una volta la materia di per sé consunta dei vangeli canonici dandole una qualche nuova freschezza. Per farlo, erge a protagonisti della storia tre uomini toccati solo tangenzialmente dal passaggio del Nazareno. Sono i padri cui fa riferimento il titolo, e non sono padri qualunque, pur essendo persone comuni: i loro figli sono infatti alcuni degli Apostoli. Sono Giona, padre di Pietro e Andrea, Alfeo, genitore di Matteo, e Simone, che ha dato i natali a Giuda (sì, proprio “quel” Giuda, l’Iscariota, non Giuda Taddeo, se a qualcuno venisse il dubbio). Sono uniti dal destino: partiti ognuno per proprio conto alla ricerca dei figli andati via con Gesù, i tre si sono incontrati lungo la pista e hanno capito di avere un obiettivo comune. Soprattutto, Giona vuole scoprire chi mai sia questo tizio comparso dal nulla, che gli ha plagiato i ragazzi dopo averli guidati a una pesca semplicemente più abbondante del normale, e che prima di sparire gli ha pure guarito la suocera moribonda, come se non bastassero le bocche da sfamare.
Lo scetticismo dei protagonisti (Giona in primis) nei confronti del Cristo dà luogo a momenti di ben congegnata ilarità, uno per tutti l’approdo, in cerca di informazioni utili alla causa, alla “Associazione per l’aiuto alle vittime del Nazareno”; una delle sedicenti vittime è un uomo, cieco dalla nascita, al quale Gesù ha donato la vista, col solo risultato di fargli scoprire la spaventosa bruttezza della moglie, e l’ex-cieco da allora passa i giorni urlando maledizioni, rimpiangendo i tempi in cui non vedeva, partecipando ai gruppi di sostegno psicologico messi a disposizione dall’Associazione (nei quali ci si mette a nudo davanti agli altri, stile Alcolisti Anonimi: “Io ho creduto per due settimane”, Io per tre giorni”, “Io ho sbagliato perché ho creduto”).
Come si può capire già da questi pochi accenni, l’autore approccia il tema con una buona dose di ironia nella quale precipitano molte ansie e tic del nostro tempo, cosa che gli permette di evitare ogni possibile scivolamento nel quanto mai facile didascalismo agiografico. Non per questo il tono è irrispettoso, né limitato a un semplice susseguirsi di gag; la narrazione rimane anzi fedele al dettato evangelico. Semplicemente, Ratte affronta l’argomento con piglio moderno, supera d’un balzo la classica divisione in generi e a seconda del momento intervalla con bella efficacia parti comiche (giocate a volte su registri inusuali per un fumetto religioso), sequenze in cui esplode la tragedia, e tutte le possibili gradazioni intermedie.

In men che non si dica, ci si ritrova di fronte a dialoghi che rasentano lo humor nero, seguendo toni ben diversi dal quel che sarebbe lecito attendersi secondo un approccio da catechismo tradizionale: Giona si lamenta inizialmente con l’amico Zebedeo, i cui figli sono anch’essi partiti con Gesù, dicendogli che la moglie gli ha fatto una testa così per la scomparsa della prole, e concludendo: “Tu sei fortunato, tua moglie non brontola!”, per sentirsi rispondere: “Forse… Ma ti ricordo che è morta l’anno scorso”.
Non molte pagine dopo, ai tre padri si aggregano due prostitute fuggite da un bordello. Dopo avere sentito la parola di Gesù ed essere state toccate dal perdono divino, le ragazze si sono ammutinate e il macrò le ha riempite di botte, uccidendone una. Ratte rende credibili sia la caratterizzazione tragica delle due donne che il loro integrarsi nel trio di genitori, che avviene non senza resistenze e incomprensioni, soprattutto da parte del solito Giona (che stempera in commedia, anche agra, i momenti potenzialmente melodrammatici). A dialoghi acuti si alternano espressive sequenze mute, nelle quali risalta la bravura dell’autore nel far recitare i personaggi.
Merita una sottolineatura, inoltre, l’assoluta naturalezza con cui l’autore inserisce tra i protagonisti le due prostitute, dichiarandole come tali senza alcun giro di parole, e non edulcorandone nemmeno la fisicità, che viene anzi sottolineata persino in una gag in cui Giona, ubriaco, fa “pit pit” sui seni delle due ragazze addormentate, ricavandone ovviamente un sonoro ceffone. La totale assenza di pruderie con cui sono trattate le implicazioni sessuali del racconto (para-)evangelico va riconosciuta come una scelta editoriale non scontata, per una testata come “Il Giornalino”, che senza dubbio esprime la parte più mondana e pacificata dell’identità religiosa che lo caratterizza sin dalle origini. In fondo è un periodico cattolico, sì, ma guidato da paolini, non certo il più intransigente degli Ordini.
Il punto di vista eccentrico adottato da Ratte per ripercorrere la vita adulta di Gesù produce poi due risultati preziosi, tra loro legati da un vincolo di causa-effetto; da un lato, consente al lettore, che già conosce i Vangeli, di sapere che cosa sta accadendo meglio dei personaggi stessi; dall’altro, sfruttando questa superiorità informativa, l’autore è libero di rinarrare i momenti topici lasciandoli sullo sfondo o fuori campo, e concentrandosi così sulle reazioni dei protagonisti alla Storia che si compie intorno a loro. Tutto torna nuovo, perché inquadrato da una diversa prospettiva.
Ecco allora il discorso della montagna e il miracolo dei pani e dei pesci resi con vignette mute: dapprima inquadrature “totali” della folla oceanica intenta ad ascoltare la parola di Gesù, poi altre inquadrature stringono sul dettaglio di Alfeo, che ha abbandonato gli altri nottetempo pur di raggiungere il Cristo, e che ora vediamo rapito da quegli insegnamenti. Ecco il processo davanti a Ponzio Pilato, con la frenetica isteria del popolo urlante “Barabba!”, che si traduce in una serie di primi piani della folla, tra la quale si aggirano smarriti e impotenti i nostri protagonisti, gli unici a urlare il nome di Gesù (e proprio per questo uno di loro finirà male, ma non sveliamo chi e come, per non togliere il piacere della scoperta).


Ecco, infine, la scena della crocifissione, nella quale il Cristo non viene mai mostrato, e che è tutta lasciata a dettagli silenti: le facce indifferenti dei soldati, i volti in lacrime dei fedeli, la silhouette del centurione con il martello, infine l’ombra dell’uomo che vibra il colpo sul Golgota – la cui scena si staglia a tutta pagina – mentre attorno uomini e donne si disperano, si accasciano sgomenti, fuggono atterriti. Ecco infine la morte di Gesù, quando “il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto verso il basso, e la terra si scosse e le pietre si spaccarono e i sepolcri si aprirono” (Mt, 27, 51-52). La scena è ambientata in un cimitero e mette su carta esattamente quanto descritto dall’evangelista, ma è resa comica dalla presenza di Giona, ancora ignaro dei fatti appena accaduti; già stranito dal fatto che è calato il buio all’improvviso, si ritrova in mezzo alle mummie fuoriuscite dalle tombe scoperchiate, e fugge commentando: “Dicano quello che vogliono, ma oggi c’è qualcosa che non mi torna!”.
Quello di Ratte, in fin dei conti, è un ottimo esempio di riscrittura antiretorica e pop(olare) della storia più conosciuta al mondo, che mescola picaresco on the road e romanzo di formazione al contrario, in cui alla fine sono i genitori a imparare dai figli (anche Simone dal figlio Giuda, in una delle scene più commoventi del libro), e tutto nel rispetto assoluto del messaggio cristiano. Fossimo in papa Francesco (anzi, in Francesco, come ormai lo chiamano tutti), quasi quasi una telefonata di complimenti a Ratte la faremmo.