Dopo Vittorio Giardino e Paolo Bacilieri, la nostra rubrica #tavolidadisegno ci porta nello studio di Giuseppe Palumbo, fresco vincitore del premio come miglior disegnatore a Lucca Comics & Games 2013.
Abbiamo notato un tavolo particolarmente pieno di nuove tavole. Cosa stai disegnando?
Come ogni anno sono alle prese con il nuovo Grande Diabolik di primavera. Quest’anno il personaggio oggetto di indagine, di scavo nel suo passato, è King. Come già in precedenza con Ginko o Altea, personaggi secondari nella serie rispetto a Diabolik e Eva, questa storia sembrerebbe trascurabile, di secondo piano, appunto. E invece. proprio come nei due casi citati, mi sto divertendo molto a disegnare la cattiveria granitica e allo stesso tempo la fragilità di questo personaggio. Gli scenari esotici poi stimolano sempre la mia immaginazione e dare un volto all’isola di King, a metà strada tra estremo oriente e mediterraneo, Thailandia e Corsica, non è una impresa facile. Quelle che mi divertono di più, da buon masochista… Ma temo di avere già rivelato troppo. Di più non saprete, per ora!
Raccontaci il tuo metodo di lavoro: quali strumenti e quali tecniche prediligi?
A seconda delle storia, scelgo la maniera di far muovere la china. Alle volte la diluisco per ottenere mezzetinte e velature, come nel caso di uno dei miei ultimi libri, Uno si distrae al bivio – La crudele scalmana di Rocco Scotellaro (Lavieri, 2013), adattamento a fumetti di un racconto dello scrittore lucano. Altre volte la faccio mordere dall’acqua, per renderla più cupa, espressionista quasi, come nel caso di AleaMetron – Il mistero del cambio (Comma22, 2013), una storia collegata a un mio precedente libro EternArtemisia, dove invece la china era usata in gestuali e cariche pennellate. Su Diabolik, invece l’inchiostro segue percorsi più dinamici e allo stesso tempo descrittivi, precisi, narrativamente il più esatti possibile, privi cioè di quell’alea di interpretazione che contraddistingue gli altri lavori citati.
Uso pennelli di martora, pennarelli-pennello Pentel e parallel-pen della Pilot. E china. Tanta china. Poi, intervengo a colorare, virare, impaginare con il computer e con madame Adobe CS. Insomma tecniche tradizionali e digitali insieme, per costruire un fumetto il più possibile espressivo e spettacolare.
Oltre allo stile, c’è l’atmosfera creativa in cui lavori. Esiste qualche – piccolo o grande – rituale necessario per favorire la tua ispirazione?
Credo di aver disegnato in ogni condizione ambientale possibile e immaginabile. Ricordo quando, essendo in ritardo sulle consegne con la Kodansha, inchiostrai mezza tavola, in studio e in diretta, durante la trasmissione di Red Ronnie, Roxy Bar, dove ero ospite per parlare di Lucca Comics. Ma la musica… quella sempre. Quando disegno sempre, mai quando scrivo. Allora attorno voglio il silenzio, perché in testa mi ronzino leggere voci e musiche diverse.
Quali sono i tuoi “maestri”, gli autori di riferimento o le grandi influenze della tua creatività?
Credo che l’elenco sarebbe troppo lungo. Ci provo con Magnus e Moebius e Breccia, che mi hanno insegnato a pensare al fumetto come un’opera assai complessa ma che può raggiungere il cuore di tantissima gente. A non fare distinzione tra fumetto popolare e fumetto d’autore, se non nel segno della qualità. Poi altri maestri, Borges, Cioran, Buzzati, Dick nella letteratura, per citare i primi che ricordo. Welles nel cinema, insieme a certo Coppola e certo Scorsese. Ma in sostanza trovo quasi impossibile rispondere a una domanda che riassume la mia intera vita di curioso…
Abbiamo visto delle misteriose tavole, in cui ci pare di riconoscere personaggi come Freud e Hitler.
Tutto comincia con Andrea Plazzi che mi fa conoscere questo simpatico folletto americano, Adam Mc Govern. Adam scrive una bella recensione di EternArtemisia e mi fregia su un sito di critica a cui collabora, un omologo del vostro, col titolo di miglior autore europeo. Lusingato, non posso che cedere a una sua proposta: disegnare una sua breve storia, una sorta di racconto distopico in cui Freud e Hitler si trovano faccia a faccia. Non potevo perdermela. E così è nato Underworld, primo di una possibile serie di storie brevi, utilizzato nell’ambito di una interessante e bizzarra kermesse teatrale al Brick Theatre di Brooklyn New York, il Comic Book Theater Festival, nel giugno 2011. Sul palco alcuni attori recitavano i dialoghi in una scenografia completata dai miei disegni proiettati in sequenza. Per adesso la storia rimane inedita nei miei cassetti… e sul vostro sito. Qui qualche notizia in più.
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Foto di Emanuele Rosso.