Nello studio di Marco Galli

Questa settimana, per la rubrica #tavolidadisegno, abbiamo intervistato Marco Galli e, oltre alle consuete domande, vi offriamo un ampio reportage fotografico realizzato direttamente dall’autore.

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A cosa stai lavorando in questo periodo?

Sto finendo di disegnare un nuovo fumetto. Non saprei incasellarlo in un genere, diciamo che è una specie di noir dei rapporti umani, sul mio blog, si possono vedere alcune immagini. E’ una storia a colori, vagamente anni ottanta nello stile, che si svolge in un futuro molto prossimo o forse in un presente alternativo, ma molto simile al nostro.
Ci sono altri progetti, ma sono tutti a livello embrionale, perciò non ne parlo per ora.

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Quali sono gli strumenti che utilizzi per disegnare?

Quelli fissi sono la carta e la matita (quasi sempre la micromina 0.5). Per il resto non ho grandi preferenze, cerco di usare la cosa che al momento mi ispira di più, tenendo conto del tipo di storia che sto raccontando, l’ho già detto da altre parti che ogni storia ha bisogno del suo segno per vivere e di conseguenza dello strumento migliore per produrre quel risultato.
Uso Photoshop per correggere o migliorare alcune cose, scansionando le tavole. A volte, come nel caso di Oceania Boulevard e del lavoro di cui ti parlavo sopra, uso Photoshop per colorare direttamente.

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Hai qualche piccola abitudine prima di metterti a disegnare?

Non in particolare, non sono ne superstizioso ne dipendente da feticci o roba simile. Diciamo che l’unica cosa che non può mancare quando disegno è la musica, che spesso scelgo a seconda di che tipo di atmosfere attraversano il mio lavoro quel giorno.

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Ci sono fumetti o libri che devono essere per forza a portata di mano?

Gli unici due libri che devo avere sempre a portata di mano, almeno nella fase di scrittura, sono il vocabolario di italiano e il dizionario dei sinonimi e dei contrari. Per le referenze visive o storiche uso il web, che ormai risolve quasi tutti i problemi di ricerca.

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La tua libreria conferma la vivacità intellettuale che si rivela nella tua opera, intessuta di colti riferimenti letterari e cinematografici. Qual è per te la peculiarità del medium fumetto rispetto alla narrazione o al cinema?

Il fumetto è interattivo, permette al lettore di essere padrone della storia, di esserne il protagonista. E’ lui che detta i ritmi di lettura, può saltare le pagine, può vedere subito il finale. Il libro cambia a seconda dell’utilizzo che il lettore ne fa: cambia non solo in senso metafisico, cambia la sua natura attraverso chi lo fruisce. Questo può succedere anche con la scrittura, ma senza le immagini che danno questa magia della terza dimensione su un supporto piatto. Direi che la scrittura “pura” crea un universo mentale, con il fumetto questo universo si schiude agli occhi del lettore, diventando fisico. Poi dettando tu (lettore) i tempi di “visione”, è come poter stare seduto davanti a un quadro per tutto il tempo che si vuole, senza che nessuno ti dica che è orario di chiusura. Un fumetto può essere un intero museo di arte contemporanea, tutto nostro, per sempre, per cifre veramente popolari. Il cinema e la musica hanno sicuramente altre magie, ma hanno il limite di dover essere subite: se interrompete un brano o un film, mettiamo per un breve ragionamento, il flusso creativo delle opere perde la sua efficacia. Con la scrittura e il fumetto non è così. Diciamo che i libri sono più democratici, mentre il cinema e la musica sono più autoritari. L’arte visiva è una cosa talmente soggettiva, che non esprimo opinioni.
Per finire credo che il fumetto in questo momento, sia lo strumento più adatto per indagare l’umanità in tutti i suoi aspetti, può sicuramente raccogliere l’eredità di quello che fu la letteratura tra gli anni ’30 e gli anni ’60 e soprattutto quello che fu il cinema tra i ’60 e i ’70, con la sua carica anarchico introspettiva. Adesso il cinema è veramente ha livelli deprimenti, dove si scambiano per grandi registi bravi operatori di macchina che riprendono pupazzoni che se le danno… siamo nell’era della tecnica, dell’accademia, il nuovo vittoriano, ahimè.
Forse, come i cattivi scolari, sono uscito dal tema, perciò ti saluto e ringrazio per lo spazio concessomi.

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