Per la rubrica #tavolidadisegno, siamo entrati nello studio di Massimo Giacon. Al solito, abbiamo fatto cinque domande e scattato parecchie foto.
A cosa stai lavorando? Ad alcune copertine?
Sto lavorando al mio nuovo graphic novel per Rizzoli Lizard, scritta dall’ex premio Strega Tiziano Scarpa. E’ una storia molto particolare, piena di sorprese grafiche, per la quale sto usando anche molti materiali eterogenei. Alcune di queste pagine richiedono di lavorare su singole parti che poi vengono assemblate ad altre al computer: in una certa fase del lavoro può sembrare che io stia lavorando a delle copertine, ma non è così.
Qual è la tua giornata tipo?
Dipende da dove sono. Se sono nello studio di Milano, per me è di rito pranzare almeno una volta alla settimana all’osteria alle Vigne, sui Navigli. Se invece sono nella casa di Padova, devo assolutamente vedere Futurama e i Simpsons dopo pranzo, altrimenti lavoro di cattivo umore! Al mattino ascolto Il Ruggito del Coniglio mentre faccio colazione. Diciamo che quindi non ho rituali particolari: sono nella media, no?
Nel tuo studio si nota una strana ceramica, meravigliosa e inquietante, di un coniglio viola.
E’ una delle tante ceramiche della serie “The Pop Will Eat Himself”, che disegno per Superego Editions da ormai 5 anni. Quest’anno sono state esposte nella loro completezza (insieme a disegni preparatori e progetti relativi) alla Triennale di Milano, poi sono andate in Ottobre a Mosca, durante il Moscow Design Week.
Sono andato a Mosca, invitato dagli organizzatori della manifestazione e scelto da Gregorio Spini, curatore della sezione culturale. Sono andato lì con le mie ceramiche, che sono state molto apprezzate, ma in soli 5 giorni di full immersion moscovita sono tornato in Italia abbastanza rintronato. E’ un paese molto complesso, e naturalmente se avete letto i vari Quaderni russi di Igort avrete capito che Mosca non rappresenta fedelmente la Russia, ma ne rappresenta il versante più moderno e benestante. Posso dire una sola cosa: i giovani con cui ho conversato hanno una luce diversa negli occhi rispetto ai nostri, una luce che dice “ho delle aspettative e farò di tutto per realizzarle”.
Nel tuo loft non abbiamo trovato traccia della tua libreria (che sarà sicuramente altrove). Siamo dunque costretti a chiederti: quali sono i tuoi autori prediletti, le opere di cui non potresti fare a meno?
La mia libreria lì non c’è perché si tratta del classico spazio lavorativo in condivisione con altre persone, per cui tengo lì giusto l’essenziale per lavorare a Milano: un tavolo e un enorme computer a 27 pollici. La mia libreria monstre sta a Padova, nella mia casa: 10 metri lineari di libreria per 3 metri di altezza, ed è tutta piena! Poi ne ho altre 6 più piccole nei piani alti…
Per la letteratura mi sono formato con 3 scrittori che ritengo (per la mia sensibilità), fondamentali: Burroughs, Ballard e Dick. Tra l’altro tra di loro ci sono intrecci e assonanze che ne fanno secondo me una specie di blocco unico, una sorta di Frankenstein letterario. Per il fumetto sono onnivoro. Leggo da sempre le produzioni supereroistiche, anche se dopo 45 anni (più o meno) di lettura mi hanno un po’ stancato. Amo il fumetto underground americano da Crumb fino all’evoluzione moderna di autori come Clowes e Ware. Amo il lavoro di molti amici italiani, dal sempreverde Mattioli fino ai giovani Tuono Pettinato, Maicol e Mirco e Ratigher. E poi ci sono gli amici amici: Squaz, Diavù, Alberto Corradi, Ale Giorgini, Alberto Ponticelli. Naturalmente seguo sempre con interesse quello che fanno Igort, Mattotti e un ben ritornato Carpinteri. Ma l’elenco sarebbe lunghissimo, Bacilieri, Gipi, Ausonia, Akab, le straordinarie Francesca Ghermandi e Gabriella Giandelli. Per fortuna, in Italia, i talenti non mancano.
Una domanda su una illustrazione particolare: una raffigurazione di Hitler, icona scandalosa…
Hitler l’ho raffigurato in più occasioni. Fa anche una comparsata ridicola nel graphic novel Boy Rocket, scritto da Mimì Colucci. In quel caso ebbi una conversazione articolata con un critico d’arte che mi disse che con Hitler non ci si poteva scherzare, anche se è stato materia di satira e comicità (pure da parte di registi di cultura ebraica come Lubitsch, Brooks e Allen) per moltissimi film, libri e fumetti.
Hitler è un po’ un ultimo tabù, resta un’icona fortissima che crea disagio, come se la sua stessa rappresentazione fosse materia innominabile. Pensa solo al fatto che il suo modo di tagliare i baffi (taglio abbastanza popolare, in Germania, prima della demonizzazione di Adolf H.), dopo la sua morte è andato quasi completamente in disuso, come se lo stesso baffo rimandasse direttamente all’orrore supremo, una veto che l’intera cultura occidentale ha scritto nel proprio DNA dopo l’Olocausto. Hitler e la sua raffigurazione appartengono a uno dei pochi tabù rimasti nella nostra società, come la pedofilia, il cannibalismo, l’incesto, la coprofagia e la necrofilia – ma per quanto tempo ancora? Già con sgomento ascolto giovani che non sanno quasi nulla della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, e altri che fanno paragoni fuori luogo tra Hitler e Stalin, come se i crimini dell’uno annullassero quelli dell’altro e viceversa, fino ad arrivare ad un lavacro della coscienza in cui tutti sono uguali e colpevoli e di conseguenza tutti innocenti. Ma non è proprio così che vanno le cose.
Foto di Daniela Mazza.
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