Ci si poteva aspettare un graphic novel, così da far contenti magazine generalisti e pubblico delle librerie. Oppure ci si poteva aspettare che “Optic Nerve” si trasformasse in una rivista-libro, sorte già toccata ad “Acme Novelty Library” di Chris Ware e a “Palookaville” di Seth. E invece, nel settembre del 2011, Adrian Tomine rispolverò la sua serie nel classico formato comic-book, stupendo tutti con una scelta coraggiosa per un autore ormai affermato, ospite fisso delle copertine del New Yorker.
Del nuovo corso sono al momento usciti due numeri, entrambi inediti in Italia e destinati a rimanere tali ancora per qualche tempo, dato che per raccoglierne i contenuti in volume la Drawn & Quarterly aspetterà almeno l’uscita di un nuovo albo, tutt’altro che prossima visti i tempi creativi di Tomine. Intanto i più curiosi possono leggere in lingua originale il dodicesimo e il tredicesimo numero di “Optic Nerve”, che segnano il ritorno alla storia breve, il mezzo espressivo preferito sin da quando Tomine era un giovanissimo autore di Berkley, California, che si autoproduceva mini-comics. Grazie a questi fumetti fu notato dall’editore canadese Drawn & Quarterly, che diede alle stampe il primo numero della sua serie nell’aprile del 1995. Seguirono altre tre uscite fatte di racconti alla Carver, spesso caratterizzati da un finale aperto e con protagonisti giovani malinconici e problematici, concludendo una fase creativa ben documentata dal volume Sleepwalk, pubblicato anche in Italia da Coconino Press con il titolo Sonnambulo e altre storie.
Dal quinto numero arrivò un sostanziale cambiamento: Tomine cominciò a confrontarsi con trame più strutturate, che occupavano l’intero albo, dando vita a una nuova quadrilogia poi raccolta in Summer Blonde, da noi ancora per Coconino. Dal punto di vista contenutistico l’atmosfera malinconica lasciò spazio a un tono aspro e distaccato, spesso critico nei confronti di personaggi che sicuramente nascondono elementi autobiografici. Il processo continuò con il nono numero, che diede inizio a quello che rimane a tutt’oggi il progetto più ambizioso dell’autore, cioè un graphic novel in tre parti, concluso nel marzo del 2007 e uscito in volume in italiano per 24/7-Rizzoli. Una lieve imperfezione è un’opera poco immediata ma senz’altro riuscita, in cui Tomine delinea con maestria la figura dell’antipaticissimo Ben Tanaka, un giovane americano di origini asiatiche (proprio come Tomine) che nonostante la fidanzata giapponese ha un’ossessione per le donne occidentali.

Arriviamo così, dopo la parentesi questa volta dichiaratamente autobiografica di Scene da un matrimonio imminente (Rizzoli Lizard), una serie di gag un po’ trite sulle sue nozze, al dodicesimo appuntamento con “Optic Nerve” e al ritorno al racconto breve. Una scelta spiegata dallo stesso cartoonist nelle due divertenti pagine che chiudono l’albo, in cui vengono raccontate disavventure e insicurezze legate alla decisione di riprendere il “fucking antiquated format” del comic-book. Nel primo fumetto di questo nuovo corso Tomine si allontana da quanto realizzato fino a quel momento e abbraccia lo stile delle strisce quotidiane con un’attitudine gustosamente retrò. Le vicissitudini del giardiniere Harold, autoproclamatosi inventore di una nuova forma d’arte chiamata “ortiscultura”, sono così scandite con sequenze in bianco e nero di quattro vignette ciascuna (le strisce giornaliere, appunto) intervallate da una pagina a colori (la pagina della domenica). Il risultato è perfetto, tutto funziona come un meccanismo a orologeria, le battute che chiudono ogni striscia a volte rimangono nella tradizione delle newspaper strip, facendo sorridere, e a volte la rompono, facendo ridere di cuore. Il protagonista è patetico ma la sua supponenza è questa volta trattata con ironia e leggerezza, non più con aspro cinisimo. Se dunque “A Brief History of the Art Form Known as Hortisculpture” è una ventata di novità e apre nuove interessantissime prospettive, “Amber Sweet” è un ritorno alle origini. La storia di una ragazza che non riesce a scrollarsi di dosso la somiglianza con una pornostar ci riporta ai toni del primo Tomine, con maggiore maestria dal punto di vista narrativo e con uno stile grafico più maturo, caratterizzato da un tratto morbido e stilizzato che si allontana definitivamente dalle spigolosità degli esordi e dal pesante modello iniziale di Daniel Clowes.
Il tredicesimo numero di “Optic Nerve”, uscito lo scorso luglio, segna purtroppo un leggero passo indietro rispetto alla prova precedente. Anche in questo caso la copertina è costituita da un cartoncino lungo due terzi di pagina, a rivelare però non la tradizionale illustrazione ma una tavola a fumetti in cui Tomine torna sulle sue scelte artistiche e sulla proria idiosincrasia per la tecnologia. La storia portante, Go Owls, vede il protagonista Barry, un altro dei personaggi patetici di Tomine, incontrare una ragazza più giovane di lui a una riunione degli alcolisti anonimi. Barry è un alter-ego dell’Harold del numero precedente, un uomo di mezza età capace soltanto di dire banalità e fare battute poco divertenti. Ma la sua esagerata autostima troverà una sorta di punizione divina proprio a una partita degli Owls, squadra di baseball di cui è tifosissimo.
Go Owls unisce le tematiche care all’autore al tono ironico di Hortisculpture, creando un mix gradevole ma che non appassiona. Di altro livello sono le otto bellissime pagine di Translated, from the Japanese, che declinano in forma epistolare il viaggio di una madre e del suo bambino dal Giappone agli Stati Uniti, sullo sfondo di una crisi familiare. Profondo, malinconico, introspettivo, il racconto non ci mostra mai i personaggi ma soltanto gli scenari in cui si muovono: non un esercizio di stile come si potrebbe pensare, ma la piena maturità raggiunta.
