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Davide Toffolo: Venti anni da allegro ragazzo morto tra fumetti e musica. Intervista

Davide Toffolo

E’ inedito il fatto che in questo libro parli in modo esplicito di un tuo lato intimo, personale, quando per vent’anni sei stato bene attento che la gente conoscesse a malapena il tuo nome e cognome.

Se fai un’autobiografia devi essere sincero. Non avevo intenzione di fingere. Ma ho scelto la commedia per rendere la cosa più possibile. Insomma il rapporto con mio padre è stato un rapporto importante per me, lui è venuto a mancare da poco, da qualche anno e io ero in pieno tour e quando è morto la ragione di quello che stavo facendo si è persa. E’ stato molto evidente subito che quello che ho fatto, le scelte della mia vita, dipendevano dal mio rapporto con lui. Allora in questo libro mio padre non poteva mancare. Quando Pasolini nelle interviste dice “gran parte delle cose che ho fatto sono legate al rapporto con mio padre”, ecco io questo concetto l’ho trasformato in alcune tavole a fumetti ironiche e leggere. Ma il contenuti che ho usato per questo lavoro sono profondi.

Ma questo libro è vero o finto?

E’ tutto vero perché è disegnato,  tutto finto perché è disegnato.

Davide Toffolo

Ti va di tornare ai “Cinque allegri ragazzi morti”? Quest’anno lavori anche allo spettacolo “Cinque Allegri ragazzi morti IL MUSICAL LO FI”, con Eleonora Pippo.

Mi sono commosso vedendo una storia scritta 15 anni fa che prende vita in un’altra forma sui corpi di ragazzi veri… La storia dei “Cinque allegri ragazzi morti” è la mia più luminosa invenzione. Un lavoro corposo, sono più di cinquecento pagine. Il musical Lo-Fi è stato una sorpresa bellissima. Avevo già lavorato con Eleonora Pippo e la sua idea di drammaturgia mi ha convinto. Sono anche in scena con quattro attori e musicisti e ballerini strepitosi: Libero Stelluti, Mimosa Campironi, Maria Roveran, Mattero Vignati. Una nuova vita per me.

Beh, più veri di voi che le suonate da vent’anni!

(ride,ndr)

Tre allegri ragazzi morti

Ma in tutti questi anni c’è stato un periodo in cui non hai disegnato?

Si. Gli ultimi anni è stato molto difficile lavorare per me. Perché ero molto impegnato con la musica e perché comunque , come ti dicevo , quando faccio i fumetti io spendo tutte le mie energie intellettuali e perciò devo avere delle motivazioni forti per farlo. E poi il fumetto, comunque – nonostante io sia un autore conosciuto, che ha lavorato tanto – rimane comunque un’arte povera, nel senso che è difficile mettere in moto delle economie attraverso i fumetti, soprattutto per un indipendente come me. Perché alla fine io non ho mai fatto dei fumetti autoprodotti – nel senso stretto del termine – ma sono sempre stato un fumettista indipendente, sono proprietario praticamente di tutti i miei libri, anche per fortuna, nel senso ad esempio le cose che ho fatto con Marvel/Panini avrebbe potuto avere un’altra vita.

Ho mantenuto la proprietà dei miei diritti e ho potuto ripubblicare quei fumetti varie volte, questa è una una cosa che ho imparato anche con la musica – ed è importante anche nella musica – se uno è proprietario con i suoi lavori è meglio. Il mercato comunque non fa i conti con le persone – fa i conti con delle merci – ma la merce che io offro è molto legata alla mia persona e anche alla mia economia personale, perciò il fatto di essere ancora oggi proprietario di quasi tutto quello che ho fatto mi mette in una condizione diversa, mi rende più forte rispetto ad altri che magari hanno lavorato tutta la vita “a servizio” diciamo. Allora se ancora molti disegnatori fanno i conti con i pagamenti “a tavola”, io invece faccio dei ragionamenti a lungo termine. Ho anche la fortuna che i miei libri sono diventati quasi tutti dei long seller, diciamo così, o comunque dei codalunga ( cfr. la teoria della coda luga di Chris Anderson, ndr) perché avere un libro che rimane in libreria per più di dieci anni non è una cosa automatica. Questo dipende da tante cose, dipende dalla qualità di quello che fai ma anche dalla possibilità di gestire quello che fai.

Come hai ritrovato l’ispirazione?

Quando ho ricominciato a disegnare, intendi? Beh ma non ho mai smesso completamente di disegnare. Però per fare un libro ci vuole una determinazione e un’ispirazione molto forte. E come ti dicevo quest’anno è stato un anno molto particolare nel quale la riflessione sulla mia identità di personaggio pubblico è stata più profonda e comunque avrebbe fatto un salto nuovo, avrebbe subito un nuovo step e volevo raccontare questo nuovo step. E’ stata questa l’ispirazione più forte che ho avuto. Con il gruppo abbiamo fatto delle cose molto forti quest’anno, siamo andati a suonare negli stadi (con Jovanotti, ndr) abbiamo aperto diciamo così la nostra possibilità di incontro con altre persone e questo volevo raccontarlo, volevo diventare cos’ero in questo momento qua. Sempre in questa idea iniziale di avere come obbiettivo l’indagine sulla trasformazione dell’uomo in merce, che poi è il mio tema di tutta la mia opera.

C’è qualcosa che il linguaggio del fumetto di dà e che la musica non riesce a darti e viceversa?

Io del fumetto ho sempre amato questa cosa: la possibilità di ragionare su quello che si fa, che per esempio sulla musica è più difficile. La musica ha una vitalità così alta e si porta via pezzi di vita in modo così veloce per il quale il tempo per ragionare è molto più basso, è molto più difficile e invece da parte del fumetto io l’ho sempre vissuta come un luogo ad alta possibilità di ragionamento e per questo motivo sono anche stato fortunato perché da tanti anni ho sempre trovato nel fumetto la possibilità di farla questa cosa. I musicisti vivono, l’azione, la performance dell’azione è la loro modalità di fare arte, è quella lì, esistere.

C’è un mio amico che dice che niente della musica contemporanea – sopratutto della musica pop rock ,quella che viviamo noi – rimarrà se non la performance di quello che si fa. E penso che sia vero. Non è detto che la scrittura di quello che si fa oggi rimarrà in giro per tanto tempo però è vero che l’azione poetica di vivere in un certo modo, di spendere la propria esistenza in un certo modo direttamente sul campo, come fanno i musicisti, per i fumettisti è una cosa diversa, ha dei tempi differenti. Perciò il ragionamento secondo me rimane una delle cose interessanti che il fumetto ha ancora. Il ragionamento sul linguaggio, quella è la cosa che a me interessa. Mi è sempre interessata, continua a interessarmi, quando sento dei disegnatori di fumetti che parlano di numeri di vendite e robe del genere mi passa la voglia di parlarci ecco, invece quando mi raccontano di come prendono gli appunti, di cosa sono.

Davide Toffolo

Ti ho spesso sentito parlare del tuo linguaggio a fumetti come un linguaggio poetico, che vuol dire?

Una volta discutevo su cos’è il mio fumetto. E c’era Paolo Interdonato e altri che mi dicevano più o meno che le cose che stavo facendo, come Pasolini o Il Gorilla Bianco, erano dentro questa cosa del fumetto quasi giornalistico, storico. Invece io penso che la chiave per capire il mio fumetto sia una lettura poetica, cioè nel senso che le cose che faccio io sono più vicine alla poesia. Ma non per immaginare la poesia come un linguaggio alto e quello giornalistico un linguaggio basso, intendo proprio come natura. Come natura di quello che faccio. La mia scelta di esistenza è poetica e noi contemporanei non possiamo staccarci dalla performance dell’esistere.

Ultima cosa, il tour di promozione del libro sarà piuttosto originale se ho capito bene, giusto?

Lo spettacolo è di musica e… risate. Non è una presentazione del libro ma è uno spettacolo dove racconto alcune cose che ci sono dentro il libro e canto le canzoni che sono riferite ad alcuni momenti del libro: un po’ musicale e un po’ comico. Dentro lo spettacolo e ci sarà Andy Kaufmann – il mio oracolo – con me e quello che spero di riuscire a fare è di regalare qualche sorpresa.

Davide Toffolo

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