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Conversazioni silenziose intorno al mondo di Iela Mari

Lo scorso febbraio è scomparsa Iela Mari. È stata una delle più importanti disegnatrici italiane degli ultimi cinquant’anni, autrice di numerosi libri illustrati per bambini, particolarmente nota (e ampiamente tradotta) all’estero, moglie di Enzo Mari e madre dello scrittore Michele. Per ricordarla oggi, in coincidenza con il dibattito ‘Omaggio a Iela Mari’ svoltosi stamani presso la Bologna’Children Bookfair, abbiamo pensato di ripubblicare l’intervista realizzata da Giordana Piccinini e Ilaria Tontardini per la mostra Iela Mari. Il mondo attravero una lente a cura di Hamelin (Bologna, marzo 2010), e pubblicata nel catalogo omonimo (Babalibri).

il tondo iela mari

Incontrare Iela Mari è stata un’esperienza. Da anni non si sente parlare di lei. Dove fosse finita, cosa stesse facendo, ci siamo chieste spesso. Un po’ come Salinger, dietro le quinte da sempre. Niente è stato scritto, nelle nostre ricerche non siamo riusciti a trovare né un saggio né un’intervista, né una bibliografia; salvo qualche rapida biografia, una sola foto che gira nel web, una giovane donna presa quasi involontariamente di tre quarti. Iela Mari per la letteratura per ragazzi è un fantasma.

Una bibliotecaria, che ha appena esposto alcune tavole tratte da L’albero, ci racconta che Iela Mari è viva e che abita in assoluta solitudine a Milano. È bastata una telefonata per sentire una voce timida, ma decisa, che ci invitava a casa sua. Siamo partite, senza sapere esattamente cosa ci aspettasse. Fa parte del nostro lavoro conoscere di persona gli autori, ogni volta è un incontro importante: in questo caso si andava a scoprire qualcosa in più del passato e a incontrare una grande artista, percepita ormai da molti come lontana, assente.

Nel suo appartamento milanese “da bohémien”, come ci fa notare lei stessa, “un appartamento da studentessa, da ragazza”, all’ultimo piano di un palazzo senza ascensore, ci aspetta una affascinate e discreta signora. Il taglio dei capelli perfetto, un caschetto ordinatissimo di un grigio argento e lo sguardo luminoso ci hanno subito conquistate. Il suo parlare è lento, un altalenante dialogo tra ricordo che improvvisamente si fa nitido e una nebbia sul suo lavoro e sulla sua vita per il troppo tempo passato.

Il leitmotiv di Iela Mari è “Mah, è passato così tanto tempo che non ricordo più e forse, forse è stato così, forse ho insegnato un anno o forse due”. Le stanze sono piccole e basse nella soffitta francese-milanese, la sua voce ha i toni bassi di chi fuma da sempre molte sigarette, dalla piccola finestra un triangolo di luce e tetti milanesi, oltre, un pezzo di cortile da vecchia casa di ringhiera.

Siamo raccolte davanti a un tavolino con biscotti e caffè, intorno a noi una libreria con molti titoli in inglese – il suo secondo compagno è stato un pittore scozzese, Donald Mills -, le diverse edizioni dei suoi libri tradotti in molte lingue, segni del respiro internazionale del suo lavoro (i diritti mondiali appartengono a una casa editrice francese, L’école des loisirs) e dell’ampiezza del suo pubblico. Ci sono anche le copie dei libri del figlio scrittore, Michele Mari (“me ne manda sempre una”). Sulle pareti alcune foto appese: i nipoti di cui parla con affetto e il cespuglio di una camelia, regalo del fratello più giovane, morto di tumore al cervello e da lei molto amato. Il ricordo di quest’uomo le ammorbidisce il volto e la riporta in un passato di cui ha chiaro ogni particolare.

L’attenzione si ferma su piccoli oggetti, un Buddha ricordo del padre medico, un vasetto di fiori finti, infine, tutti i suoi originali: molti, conservati con ordine, numerati, impilati tavola per tavola e chiusi dentro scatole di cartone nei mobili, oppure estratti quasi per caso da dietro la libreria. A ogni appuntamento raccogliamo qualche pezzo in più, piccole aperture su un tempo che sembra essersi a un certo punto fermato. “Dovrei avere qui il disegno originale; ah sì, dovrei avere alcuni menabò del riccio….”; all’ultimo incontro Iela Mari srotola un enorme foglio di carta burro. Involontariamente, sta facendo, a noi che la guardiamo, un grande regalo. Si tratta di una stampa a grandezza naturale di un disegno realizzato per una pezza di stoffa. Sono alcuni animali su un prato, gli stessi di Animali nel prato, un libro uscito per la Emme Edizioni. Rosellina Archinto vide quel tessuto su alcuni cuscini prodotti da Iela Mari per la Rinascente e le propose di trasformarlo in una storia.

Tutte le sue opere, oggi, sono in questa casa. Sembrano farle una costante compagnia e ribadiscono la statura e lo spessore di chi le ha create. Ogni tanto confessa: “però ero brava”. Per noi è molto di più, ma la questione sembra sfiorarla appena, sorride e continua a fumare una delle tante sigarette.

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L’appartamento è silenzioso, ce lo fa notare anche lei, se non fosse per la stufa a gas e per una sveglia. La conversazione è fatta di lunghe pause, senza imbarazzo. Durante queste sospensioni rimaniamo in attesa: a volte qualche ricordo riemerge, altre no e va bene così. Incontrare Iela Mari è confrontarsi con una persona che, pur cosciente della propria eccezionalità, non ha bisogno di esternarlo, sono semmai le opere compiute a prendere la parola.

Quando le abbiamo annunciato che avremmo voluto dedicarle una mostra durante la Fiera del Libro di Bologna, lei ha acconsentito e si è resa disponibile, ma senza mostrare entusiasmo particolare. E probabilmente, se le avessimo proposto di fare una piccola mostra in un piccolo paese di provincia avrebbe reagito nello stesso modo. Dalle tracce dei nostri discorsi, capiamo bene che Iela Mari non ama i riflettori e la mondanità. Il mondo in cui ha lavorato e vissuto per anni, cioè l’editoria, la grafica e il design milanese, affiora solo per brevi cenni. Poche le persone che nomina: Enzo Mari, con cui ha condiviso dal 1955 al 1965 vita e lavoro; Bruno Danese e Jacqueline Vodoz; Aldo Carpi, suo insegnante all’Accademia di Belle Arti di Brera; Rosellina Archinto, che “era bella, proprio una contessa. Ho sempre avuto questa immagine, poteva andare in giro con i capelli tirati su con una corda e una camicia ed era proprio bella”.

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