Applaudire per inerzia

Qualche settimana fa ho iniziato a collaborare con una trasmissione radiofonica che disquisisce su libri e letture. La trasmissione si chiama Flatlandia, è condotta da Kika Negroni, Erika Ruggeri, Elisa Masneri e Sancho Santoni e si inserisce nella programmazione di Radio Onda d’Urto di Brescia. Una volta al mese, in un intorno del secondo lunedì, mi collego con la radio e chiacchiero per una ventina di minuti di fumetti. Sono un uomo poco fantasioso e, quando Kika e Sancho mi hanno chiesto come chiamare la rubrica, ho simulato giorni di esitazioni e poi ho detto: “Spari d’inchiostro”. Mi tranquillizza che, in questo modo, ho una sigla bell’e pronta e posso ringraziare, ancora una volta, Luca Morino e i Mau Mau per il verso che ho rubato a una loro canzone.

Tra qualche giorno, la trasmissione finirà anche nel box dei podcast di Fumettologica, accanto ai “Tizzoni d’inferno” di Tito che – diciamocelo – non è particolarmente spaventato dalla concorrenza.
Matteo, il padrone di casa, mi ha chiamato dopo aver ascoltato la trasmissione e mi ha detto:

«Due cose: 1. usa un microfono ché la chiacchierata telefonica ha qualità pessima; 2. non fare inserti in cui spieghi cosa è stato il Miracolo italiano perché diventi terribilmente didascalico!»

Matteo è un amico carissimo cui perdono un sacco di cose, perfino alcune che non lascerei passare neppure a me stesso. Dice spesso che sono un massimalista e, per non deludere le sue aspettative, ho avuto una reazione netta:

1. hai assolutamente ragione, non è possibile fare una cosa con una qualità audio così disdicevole;
2. hai assolutamente torto, bisogna fornire un minimo di contesto agli eventi, se no – dovresti saperlo – si perdono le dimensioni storica e sociale.

Sono molto più propenso alla mediazione di quanto potrebbe sembrare. Quando mi dicono delle cose, le lascio a fermentare da qualche parte, tra gli interstizi rimasti liberi in seguito al naturale decesso dei miei neuroni. Poi ritorno a guardare il frutto del mio ozio e, di solito, ritrovo le mie posizioni un po’ ammorbidite.

Per esempio, un paio di giorni dopo la conversazione con Matteo, già ero convinto che la qualità della registrazione non fosse un problema così importante. In fondo è il podcast di uno che racconta una storia, mica un’incisione perduta delle Variazioni Golberg eseguite da Glenn Gould.

Sulla questione del didascalismo, invece…

Glenn Gould applaudire per inerzia

In questi giorni sto inscatolando libri. Mi preparo a un trasloco e, se mai te n’è capitato uno, sai quanto questa situazione possa essere fastidiosa. Mentre lo fai, sai che la metà di quelle scatole rimarrà chiusa per settimane, molte per mesi, qualcuna per anni e almeno un paio non le riaprirai mai più.

Per alleggerirmi il futuro mi sono dato una regola. Per ogni libro mi faccio tre domande: 1. Ho voglia di leggerlo adesso? 2. Lo rileggerò mai? 3. Mi servirà a qualcosa?
Se accumulo tre risposte negative, il libro va ad alimentare la virtuosa catena del riciclo.
Mentre sposto quintali di carta, mi capitano in mano frantumi di storia dell’immaginario, oggetti preziosissimi, se non economicamente, almeno per lo spirito. Ognuno di questi pezzetti racconta una storia (spesso privatissima) che mi commuove e si affastella nel mio personalissimo canone.

Il problema dei canoni personali, lo sai, è che tracciano traiettorie personali. Gli archi storici si perdono e le discontinuità che rendono raccontabile la freccia del tempo si macchiano di nostalgia. Insomma, quella roba non riesce a essere storia, diventa autobiografia.
Per fortuna, per conservare i libri che potrebbero aiutarmi a definire le vere storie del fumetto, non devo mai violare la regola delle tre domande. Di solito accumulo tre sì e passo oltre.

Di recente ho trovato tre racconti della storia del fumetto che mi hanno reso felice. Fortunatamente, in un periodo in cui sono molto attento alla quantità di carta che mi entra in casa, solo due hanno la forma di libro; il terzo è un sito internet.

Il primo libro è Valvoline Story. Curato da Igort ed edito da Coconino, omaggia il trentennale della storia del movimento bolognese fondato, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, da Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri, Igort stesso, Marcello Jori, Jerry Kramsky e Lorenzo Mattotti.

Il secondo libro è Il potere sovversivo della carta, curato da Sara Pavan per Agenzia X, che fa il punto sugli anni Zero e sui fumetti autoprodotti in Italia in quel decennio. Per farlo, infila una dozzina di interviste a protagonisti di quella storia, intervallandole con fumetti e illustrazioni.

Il sito invece è Znort, curato da Gianluca Costantini con Claudio Calia e Alberto Corradi. Si propone di raccontare “il fumetto underground italiano dal 1990 al 2005”, ammiccando a Stefano Tamburini e presentandosi con un approfondimento sul decennio dello H.I.U. al centro sociale Leoncavallo di Milano (1993-2003).

I tre progetti soffrono degli effetti del paradosso prodotto dalla storicizzazione del presente. Ingenuità, personalismi, memorie e affetto che diventano ancora più evidenti quando vengono ignorati gli strumenti della storiografia orale (se non avessi paura di indispettire Matteo, accennerei a Gianni Bosio, Danilo Montaldi, fino all’istituto Ernesto De Martino e al lavoro di Alessandro Portelli… Tu, per favore, da’ un’occhiata a questo libro). E questo – credo – principalmente perché i tre progetti sono stati pensati e curati da protagonisti del periodo raccontato.

Igort è un bravo autore di fumetti che, negli ultimi vent’anni, ha costruito innumerevoli progetti dediti a raccontare la propria carriera in divenire. Nel fumetto, forse solo Art Spiegelman ha spinto personalmente un numero di libri dedicati al proprio lavoro paragonabile a quello di Igort: That’s all folks! nel 1993, Storyteller nel 2006, Pagine nomadi nel 2012 e, ora, Valvoline Story. Quasi l’autore, in assenza di studiosi o intellettuali capaci di cogliere i momenti di rottura della storia, si debba spendere personalmente per indicare la proprio importanza, favorendo, pubblicando o curando libri dedicati alla storia e alle motivazioni del proprio lavoro. Anche chi, come me, ama i fumetti di Igort ed è interessato alla storia delle narrazioni che mescolano parole e immagini accoglie questi libri con la medesima assenza di stupore prodottagli dal nuovo disco dal vivo di De Gregori.

Sara Pavan è giovane e brava. Probabilmente, i fumetti, ama più leggerli che farli. È stata una delle anime più gioiose (e più evidenti a quelli sensibili alle grazie femminili) della Self Area lucchese, dove per anni ha gestito lo stand di Ernestvirgola, etichetta che ha fondato con Francesco Cattani e Vincenzo Filosa. Il suo libro è dedicato alle voci più interessanti della produzione indipendente, fotocopiata, microedita o addirittura invisibile del decennio che ha vissuto da autrice. Storicizzare il lavoro di autori che hanno da poco pubblicato i primi libri è impossibile e la foto che ne risulta è talmente mossa da fare girare la testa.

Infine c’è Gianluca Costantini, che si lancia in un’operazione anch’essa necessaria, ma lo fa spinto da una pulsione un po’ ambigua. A me, lettore ingenuo, pare che voglia retrodatare la produzione indie proprio rispetto al libro di Sara, quasi a marcare il territorio dello sguardo altro, alternativo, antagonista, andergraund… Enumera fumettisti non più giovani che, per una stagione, sono stati il fiore all’occhiello della produzione indie. Poi, molti di quegli individui ce li siamo dimenticati. Si tratta di memorie che rischiano di essere perdute, è vero, ma salvarle appuntandole in bacheca può essere rischioso. Per preparare il lavoro degli storici, serve l’accumulo, la scelta, l’archiviazione, la catalogazione…

Accennare al Miracolo italiano per parlare di “Diabolik”, evidenziando la concomitanza tra la congiuntura e l’uscita del primo numero della testata, è importante. Il contesto entro cui si muovono gli eventi non può essere dato per scontato, neanche nelle chiacchiere leggere alla radio. Se non lo si fa, tutto diventa indefinito. Memoria privata che non si ancora nel tempo e che lascia la sistematica sensazione che tutto oscilli tra le esibizioni di virilità del capobranco e la nostalgia appiccicosa di una gioventù che diventa piccola piccola, allontanandosi verso l’orizzonte.