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FocusProfiliDormire nel Fango. Intervista a Michelangelo Setola e Edo Chieregato

Dormire nel Fango. Intervista a Michelangelo Setola e Edo Chieregato

A Edo, come partecipi al processo creativo di Michelangelo? Come lo vivi?

EC: Da “non disegnatore” che ammira e invidia i disegnatori di talento, mi chiedo e mi sono chiesto da sempre da dove arrivano i loro disegni. Una cosa che mi impressiona ancor prima e di più è come sia possibile riuscire a dominare il gesto nervoso che parte dal cervello, o non so da dove, e poi piegarlo in immagini così vivide e precise, con segno e disegno. Come sia possibile trasformarsi in uno strumento di espressione così raffinato e complesso. Ci sono alcuni disegnatori che, quando disegnano, vanno leggermente in trance, i visi si tirano e si deformano un po’. Michelangelo disegna come io vorrei disegnare, e credo che dentro a quello che lui dice “copiare” si scateni invece una inclinazione impressionante, una propensione a stare sempre un po’ di scarto ma attento, a rielaborare la visione con una stortura nel segno, nelle fisionomie, nelle forme, che di fatto rivelano una elaborazione narrativa e personale fortissima. Credo che gli artisti del disegno siano una cartina di tornasole costante di ciò che vedono e provano.

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Come iniziate a lavorare su un fumetto? Comincia con Edo che racconta una storia a Michelangelo? E poi che cosa succede?

EC: Il modo di lavorare si è evoluto nel tempo. La prima storia, Isole, ha avuto una gestazione estremamente naif e molto eccitante, perché entrambi non avevamo alcuna esperienza significativa di narrazione. Credo che il racconto abbia la sua forza proprio in questa sgangheratezza di disegno e parole che stabilisce due livelli di narrato. A quei tempi Michelangelo aveva fatto per lo più disegni, centinaia di disegni di cui io e altri siamo stati fan meravigliati della prima ora. Un mondo personalissimo fatto di situazioni inquietanti, visioni autistiche di un disegnatore puro alle prese con una realtà che non comprende e non vuole comprendere. In Isole siamo partiti da un aneddoto (un ragazzo che si butta dentro a un fiume e colpisce un pesce con una pietra) per raccontare un mondo legato al mio vissuto e via via, almeno nelle mie intenzioni, spostarci verso atmosfere grevi, iniziare a raccontare la paura e, in profondità, il dolore del lutto. Tutto questo Michelangelo lo ha reso attraverso un disegno quasi inciso che poi ha abbandonato. Isole aveva una sceneggiatura aperta e l’abbiamo costruita vignetta per vignetta, Michelangelo è intervenuto sul testo io ho fatto editing sul disegno, tutto con spontaneità ma forte concentrazione. Dalla storia successiva il metodo si è sviluppato lentamente verso una modalità più “professionale”, ma sempre a partire da un mio racconto e dal confronto con Michelangelo. Ho scritto delle sceneggiature sempre più definitive ma che rimangono aperte: la regia, tranne qualche perno del racconto, è sempre stata di Michelangelo. Io scrivo per scene, mi spingo al modulo pagina con accenni alle singole vignette, ma non definisco le immagini. Un caso a sé è il racconto Dormire nel fango, che nel libro ha una sua autonomia, è il racconto in cui Michelangelo ha determinato l’incedere della narrazione. La storia era stata realizzata per la rivista tedesca Orang e doveva riguardare il tema dell’interiorità. Io avevo avuto qualche spunto, avevo fatto anche qualche piccolo disegno, si trattava di una situazione dal dentista, una cosa un po’ concettuale sull’interno e l’esterno della bocca che non ricordo nemmeno tanto bene. Ho passato queste cose a Michelangelo, che, a pochi giorni dalla scadenza, mi ha presentato le prime tavole del racconto: c’era un uomo va da un amico dentista che abita su di una casa sopra un albero, e da lì non è molto chiaro quello che succede… in qualche ora di confronto abbiamo definito la storia, che è nata dai primi disegni… la storia di una fuga da un luogo poco felice, dove forse c’era una guerra, una spinta verso una nuova vita che abbiamo deciso di non raccontare e di lasciare all’immaginazione del lettore. Anche qui come in Isole il testo in didascalia segue una sua strada ma potrebbe benissimo non esserci.

MS: Non so esattamente come nascano le storie di Edo, ma per lo più in questi anni ha funzionato così: lui ha un’idea che in parte ha già scritto o forse no, non è importante, me ne parla, me la racconta, io individuo gli elementi che mi colpiscono maggiormente, quelli appunto che mi danno uno stimolo maggiore nella direzione del disegno e ne discutiamo. Sulla base di questo primo scambio, Edo comincia a scrivere e in seguito mi gira ciò che ha scritto, modificandolo nel corso della produzione per esigenze grafiche, narrative, per la mia lentezza a volte abbiamo dovuto accorciare… Edo, Liliana e in parte anche Andrea [Bruno] seguono la produzione grafica passo passo. Sulla base della prima sceneggiatura disegno una, due, tre tavole e gliele sottopongo, anche questo processo fa si che la storia cambi, a volte le tavole suggeriscono variazioni al testo, a volte si interviene sui disegni, è uno svolgimento molto flessibile e organico, con una libertà quasi totale da parte di entrambi sul mezzo dell’altro, e come se ognuno dei due avesse a disposizione uno strumento di cui per natura non è dotato da utilizzare come meglio crede.

Michelangelo, tra un racconto e l’altro ci sono disegni a doppia pagina che ne riprendono i personaggi e gli ambienti e che fanno deviare le situazioni in una direzione delirante, ma rimanendo in armonia con il clima della storia. In un certo senso, ne fanno deflagrare le tensioni nascoste. Che significato hanno per te? Quando le hai disegnate?

MS: Sono stati fatti dopo aver disegnato le storie, sono come delle finestre su quello che accade in uno spazio/tempo che non appartiene alle storie ma che le storie potrebbero contenere, altre possibili direzioni che avrebbero potuto prendere, o che forse prenderanno al di fuori di ciò che viene mostrato nelle vignette. E poi è una specie di esplosione del gioco che mi piace fare, intrecciare personaggi di storie diverse. Mi piace il fatto che alcuni personaggi, che sono protagonisti in alcune storie, siano semplicemente di passaggio o sullo sfondo in altre, semplicemente perché immagino abitino quello spazio in quel momento, che non ci debba essere per forza un confine invalicabile tra storie diverse. È una cosa che mi affascina e che vorrei sviluppare più concretamente, facendo sì che a volte, personaggi provenienti da storie diverse, in maniera casuale, da semplici comparse, improvvisamente possano diventare parte integrante del racconto, e magari esplorare nuovamente ma da prospettive diverse ciò che era avvenuto in storie disegnate precedentemente.

Ci sono molti animali, in questi disegni. È diverso dal disegnare le persone?

MS: Disegnare gli animali è più difficile. Disegnare un viso o un corpo umano mi risulta più immediato, se ho una matita e un foglio sottomano quasi di riflesso disegno volti, facce, persone; per gli animali è un processo più elaborato, ma è una cosa che mi piace moltissimo fare, non so spiegarne consciamente il motivo. Mi piace soprattutto ritrarre le interazioni fra vari animali e fra uomo e animale; indagare gli aspetti e i comportamenti che li dividono e che li accomunano, disegnare i comportamenti apparentemente contrastanti tipici dei primi, che possono passare repentinamente da momenti di calma a brutale ferocia, o ritrarre ciò che di orrendo e brutale possano fare gli uni agli altri, in maniera istintiva i primi, spesso premeditata e sleale i secondi.

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Veniamo ai dialoghi che, in sintonia coi disegni, mantengono un senso d’imprevisto e di non prevedibile. Le parole escono a fiotti e rimangano sulla pagina un po’ come concrezioni, sedimenti. Edo, ti va di raccontare che cos’è per te la scrittura, la scrittura dei fumetti, in particolare?

EC: Per me scrivere è un grande piacere. Ho iniziato per caso con Michelangelo, perché quando lavoravamo al primo numero di Canicola non aveva una storia. Raccontare o esprimere qualcosa attraverso la scrittura creativa è una sensazione molto forte, se si riesce a trovare uno spiraglio libero e diretto tra vissuto, finzione e un po’ di mestiere. Non è un caso che la maggior parte delle idee per le storie mi siano venute quando vado in moto o nuoto in piscina, sono due momenti infatti in cui la mia testa va da un’altra parte e sto molto bene. Riesco allora a recuperare qualcosina su cui credo possa aver senso mettersi a costruire. Si tratta di spunti, per lo più nessi o immagini a cui dare forma e sviluppo. Per me la scrittura è molto legata al piacere, qualcosa di fisico e intellettuale sia in andata che in ritorno.

Nel racconto Io sono pianto parli dello speedway, una disciplina motociclistica estrema e marginale che forse può far capire qualcosa della tua poetica e probabilmente anche dell’etica di Canicola. Parlaci di quelle moto e di quei motociclisti.

EC: In Io sono pianto la molla è stata il tentativo di raccontare la paura e la sua relatività. Mi piaceva l’idea di un motociclista di speedway – uno che corre con una moto leggera, potentissima e senza freni, su una pista di terra buttandosi in derapata nelle curve a oltre centoventiallora – che incontra un bullo di paese con la sua R4 e si spaventa a morte per come guida. Sì lo speedway è davvero una disciplina estrema, soprattutto nel suo essere ai margini dei clamori del motociclismo mainstream dei Rossi, Lorenzo, Pedrosa, ecc. I piloti di cui racconto erano per lo più operai che a loro spese correvano, spesso essendo essi stessi anche meccanici e tutto il resto. Mi ha sempre affascinato la purezza di questo sport e di quelli che ai miei occhi di bambino erano veri e propri eroi. L’immaginario delle produzioni Canicola gravita spesso attorno ai margini, ma per lo più credo si tratti di opere che nascono da esigenze narrative importanti. Espressioni che definiscono con forza chi le fa. Anche per questo credo che Omobono Tenni, il pilota di velocità ripreso dal nostro logo (realizzato da Vincenzo Filosa), incarni bene questo spirito. Tenni era un uomo timido e taciturno che dava il meglio di sé con la moto. Fu il primo “non inglese” a vincere nel 1937, su una Guzzi 250, il Tourist Trophy, una gara infernale sull’Isola di Man che si trasforma in pista per l’occasione. La stampa dell’epoca soprannominò Tenni “the black devil” per lo stile e la caparbietà con cui correva. Tenni morì in moto, naturalmente.

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*Articolo tratto da «Lo Straniero» anno XVII, n. 162/163, dicembre 2013 – gennaio 2014 

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