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FocusOpinioni5110: La fine del tempo

5110: La fine del tempo

Nulla è eterno

«Vogliono vivere in eterno.
Quando capiscono che ciò non è possibile, sentono che la fama sopravvivrà loro.
Come se rimanere al centro delle conversazioni dopo la loro morte li facesse esistere più degli altri.
E infine, si rendono conto, ben prima di morire, che li dimenticheremo.
Li consideravamo speranze, poi eroi, poi saggi e, alla fine, non li consideriamo più.
C’era questa costruzione che rivestiva una grande importanza perché qui avevano una famiglia, degli amici.
Verranno altre persone e per loro questo luogo non significherà niente.
Gli eroi hanno perso per KO il loro incontro con il tempo
Le gesta coraggiose hanno senso solo quando si compiono e quando ci si ricorda degli eroi.
Nulla dura in eterno.»

La saga di Donjon, dopo 36 volumi che hanno trascinato i lettori avanti e indietro lungo la freccia del tempo si conclude così.
Leggere quella storia, avendo diluito gli episodi lungo i quindici anni della sua vicenda editoriale, ha dato ai lettori fremiti su diversi piani: avvinti dalla solidità narrativa, estasiati dall’alternarsi di grandi disegnatori, divertiti dalla comicità dirompente, stupiti dagli incastri temporali, consolati dalla struttura fantasy, disambientati dalla irrequietezza della cronologia.

Una serie di volumi che cresce, lentamente, sulla mensola, diventa, agli occhi del lettore, ambiente. Ha fisicità, perché occupa uno spazio tangibile, e concretezza, perché mostra la propria continua presenza in casa.
Joann Sfar e Lewis Trondheim hanno giocato con il tempo e con lo spazio. Il mondo del Donjon ha una storia, a volte semplice e prevedibile, che appassiona il lettore non solo con le sorprese continue, che sono così tante da essere grati per la generosità mostrata dagli autori. Il mondo del Donjon non appassiona solo con l’avventura, con la ricerca dei sette oggetti del destino, con creature sempre più selvagge, con un inventore cibernetico mosso da una fiamma demoniaca, con un imprenditore triste e innamorato che decide di essere un custode, con un re polveroso e analfabeta, con un papero così pronto al sacrificio da poter distruggere il mondo, con un coniglio rosso ed erotomane, con una gatta innamorata e decisa…

La Fin Du Donjon

Quelli sono, solo, divertentissimi ingranaggi narrativi. Tarocchi appoggiati sul tavolo perché lettori esperti degli arcani, maggiori e minori, facciano il loro gioco di interpretazione, cooperazione, aggiornamento, prosecuzione e riscrittura attraverso la lettura.

Donjon, con i suoi 36 volumi, è uno straordinario saggio sul fumetto. Parla di tempo e di spazio. Accompagna il lettore in una passeggiata per le vie di Tralfamadore. Proprio come nell’universo creato da Kurt Vonnegut (e da Kilgore Trout) il lettore scopre che il tempo è un illusione. Lo spiega chiaramente Billy Pilgrim in Mattatoio n.5, un romanzo che puoi chiamare anche con uno dei suoi due altri titoli: La crociata dei bambini o Danza obbligata con la morte.

«La cosa più importante che ho imparato a Tralfamadore è che quando una persona muore, muore solo in apparenza. Nel passato essa è ancora viva, per cui è molto sciocco che la gente pianga ai suoi funerali. Passato, presente e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno. I tralfamadoriani possono guardare ai diversi momenti come noi guardiamo un tratto delle Montagne Rocciose. Possono vedere come siano permanenti i vari momenti, e guardare ogni momento che loro interessi. È solo una nostra illusione di terrestri quella di credere che a un momento ne segue un altro, come nodi su una corda, e che una volta che un istante è trascorso è trascorso per sempre. Quando un tralfamadoriano vede un cadavere, tutto quel che pensa è che il morto è, in quel particolare momento, in cattive condizioni, ma che la stessa persona sta benissimo in una quantità di altri momenti. Ora, quando io sento che qualcuno è morto, alzo le spalle e dico quel che dicono i tralfamadoriani dei morti, e cioè “Così va la vita.”»

Il tempo del Donjon ha proprio questa forma. È percorribile, in lungo e in largo, senza una freccia che te ne indichi univocamente la direzione. Certo, avere una mappa rende l’attraversamento molto più semplice. Ed è per questo (e per nostra fortuna) che esiste il fumetto.

Il fumetto è una mappa. Cartografa un racconto e consente allo sguardo di indagarlo muovendosi lungo la superficie della pagina e delle pagine.
Joann Sfar e Lewis Trondheim sanno fare fumetti: si muovono a loro agio nella mappatura della storia e sanno che la cartografia è una macchina imprecisa costruita con arte, segni convenzionali, approssimazioni di realtà e metafore.

In chiusura dell’ultimo volume, quello intitolato per non lasciare dubbi La fin du Donjon, mostrano gli eroi accanto alle macerie della Fortezza. Guardano, per l’ultima volta, quel luogo tanto amato e si allontanano. La storia della Fortezza, del papero Herbert e del drago Marvin, potrebbe concludersi lì. Invece, mancano ancora due pagine alla fine del volume. Due pagine scandite da una cinque vignette orizzontali l’una che raccontano lo scorrere inesorabile del tempo e il rifiorire della vita.

La fine del Tempo

Proprio come nella Breve Storia dell’America di Robert Crumb.

Proprio come nella Casa del Tempo di Roberto Innocenti.

Proprio come in Here di Richard McGuire.

Nulla dura in eterno.

Così va la vita.

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