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“A” come Ignoranza (e come Evil Dead – La Casa, di Sam Raimi)

Per parlare di “A” come ignoranza, l’ultimo nato tra i bimestrali comici italiani di Panini Comics (qui la nostra anteprima), secondo me bisogna partire dal 1981. In quel momento Davide Berardi aka Daw, il creatore della serie, ha appena un anno di vita. Però è in quell’anno che Sam Raimi, giovanissimo regista americano semi-esordiente, realizza il suo primo lungometraggio, un caposaldo del New Horror degli anni Ottanta: The Evil Dead. Il film viene proiettato inizialmente nei soli cinema americani e solo due anni dopo anche in quelli inglesi, sulla scia di un crescente successo di pubblico e in seguito anche di critica. In Italia il film arriva nel 1984, con il titolo La casa. La storia è ormai celeberrima: “un gruppo di studenti si reca in un cottage sperduto nei boschi, infestato dalla forze del Male  [e mal gliene incoglie]: un lunapark […] grezzo e irrefrenabile [nel quale] l’ipertrofia fa parte del gioco, e gli interpreti sono pupazzi da manovrare e distruggere a piacimento” (riassumo dal Mereghetti).

Leggi anche: intervista a Daw

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Nel 1987 Raimi, giunto al terzo lungometraggio, decide di dare un seguito al suo fortunato film d’esordio. Ecco allora Evil Dead II: Dead by Dawn, che in Italia diventa La casa 2. Grazie anche ai soldi messi a disposizione dalla produzione di Dino De Laurentiis, il regista “spinge il pedale dell’umorismo e del demenziale, riuscendo ad amalgamare benissimo i registri: […] mai come in questo caso il cartoon è stato così vicino e intercambiabile con il gore” (sempre dal Mereghetti).

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Ma c’è una cosa davvero curiosa. Il secondo capitolo della saga orrorifica non è davvero il sequel che pretende di essere, quanto piuttosto un remake, almeno in parte. Infatti, il primo quarto d’ora del secondo film è in sostanza un compendio, una riscrittura accelerata di quello che è avvenuto nel primo episodio. Ma tutto ciò cosa c’entra con Daw? È bene innanzitutto chiarire che “A” come ignoranza fu pubblicato per la prima volta nell’ottobre 2007 dalla piccola (e mai abbastanza lodata) ProGlo Edizioni, giusto in tempo per essere presentato al Salone Lucca Comics&Games. Anche io lo acquistai in quella sede, ma solo l’anno successivo, attirato dalle deliranti locandine pubblicitarie su fogli A4, disseminate in giro per i padiglioni fieristici.

Per inciso: di fronte a quei disegnetti autopromozionali mi balenò lo stesso pensiero già avuto leggendo il supplemento “Spot” della gloriosa rivista L’Eternauta, quello che ospitava l’esordio di Rat-Man nel 1989. Giusto per intenderci, gli strilli erano di questo tenore: “’A’ come ignoranza. Un sacco di persone non l’hanno preso. Un sacco di persone sono morte. Coincidenze?”. A questa domanda seguiva la chiosa “Io non rischierebbi…”, pronunciata da una specie di Sherlock Holmes deficiente con la pipa conficcata in un occhio. Slogan terminale: “Compralo con timore” (e “timore” era scritto in caratteri giganteschi e tremolanti).

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Due tra le tante pubblicità autoprodotte (tratte da “A” come Ignoranza, ed. ProGlo, volume quarto e mezzo). Notare la scritta in piccolo.
Due tra le tante pubblicità autoprodotte (tratte da “A” come Ignoranza, ed. ProGlo, volume quarto e mezzo). Notare la scritta in piccolo.

Il vero inizio di tutto è però da ricercarsi addirittura nel 2004, sul blog – purtroppo ora inattivo – di un folle dottore di ricerca in biofisica delle proteine, divenuto in seguito uno dei personaggi principali dei deliri comici di “A” come ignoranza: Brullonulla. Nel demenziale universo narrativo di Daw egli è infatti colui che “detiene il dottorato” e perciò ha poteri semidivini, usati sostanzialmente per bullarsi e giacere con femmine procaci. Pare assurdo? Lo è.

Per inciso, il blog di Brullonulla era caratterizzato (anche) da un umorismo sicuramente in linea con quello di Daw, e l’autore vi si presentava così: “nasce alla fine del XX secolo e muore (probabilmente) durante il XXI secolo, […] affermato nazimaoista, […] oncofago incallito, docente di pittura a sperma su pelle, Brullonulla ne sa troppe e tu invece mi sa proprio di no”. Nel primo numero edito da ProGlo, il buon Brullonulla, contemporaneamente autore dell’introduzione e protagonista di una delle storie contenute nel volumetto (!), oltre a prodursi in diverse facezie politically incorrect raccontava come tutto era iniziato: “sul mio blog […] pubblicai un fumettino di pochi riquadri che [Daw] mi aveva mandato via mail, quale commento grafico al post precedente. Il tema? Una mamma che spiega a un bambino cosa sono la decapitazione, l’omicidio, la coprofagia. E il fatto è che codesta mamma spiega – da brava pedagòga! – usando esempi pratici e immediati (decapitando, uccidendo ecc.) con giustissima soddisfazione del bambino.” È una storiellina atroce, ma esilarante, che mescola in modo sorprendente cartoon e gore (ricorda qualcosa?), con un finale che trae le perfette conseguenze delle sue premesse narrative.

La stoffa già si vedeva, insomma, anche se in una sola pagina.

Il primissimo fumetto di Daw.
Il primissimo fumetto di Daw.

Da lì in poi è tutta discesa, ma ricordando che a guardarla dall’altra parte la discesa sembra proprio una salita. Tra il 2007 e il 2012 Daw pubblica con ProGlo ben sette brossurati, quasi tutti usciti in concomitanza con il Salone lucchese, più uno spillatino che raccoglie gli strilli pubblicitari di cui sopra, ché lasciarli cadere nell’oblio sarebbe stato un criminale sciupio.

Arriviamo così al presente, con l’approdo in Panini, dove si chiarisce ancor meglio il paragone con Evil Dead. Innanzitutto per la struttura. L’albo appena uscito per la casa modenese inizia infatti come un parziale remake del primo numero ProGlo, per poi passare a presentare materiale semi-inedito (ovvero pubblicato finora solo sul web), e infine una storia lunga completamente nuova, che approfondisce le esilaranti trovate metanarrative e autoironiche già esplorate con successo nei vecchi albi. Poi, come nel caso di Raimi, gli anni passati dall’esordio non sono passati invano. Questione di casa editrice, perché passare da una piccola etichetta indipendente a Panini è obiettivamente come fare il salto dall’autoproduzione del primo Evil Dead al Dino De Laurentiis Entertainment Group del secondo. Ma soprattutto di accresciute capacità tecniche e di maggiore consapevolezza nell’uso degli strumenti: il segno si è fatto più corposo e capace di modulazioni diverse dove un tempo era già efficace ma ancora terribilmente piatto. E se c’è stata un’età in cui Daw sapeva quasi solo tenere in mano il pennarello e poi andar giù di brutali campiture nere, ora si vede che ha imparato, e come, a usare anche il pennello, i retini, le ombreggiature.

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Il finale de “I barbieri (o parrucchieri) sono il male”, nella versione del 2007 e in quella attuale.
Il finale de “I barbieri (o parrucchieri) sono il male”, nella versione del 2007 e in quella attuale.

Ma anche a gestire gli spazi sulla pagina. Basta prendere una qualunque delle quattro storie di cui Daw ha realizzato il remake, e confrontare la versione del 2014 con quella del 2007. In origine le vignette riempivano quanto più possibile la pagina, organizzate spesso su quattro strisce, magari quattro per striscia, e quasi per horror vacui il testo aveva spesso la tendenza a occupare ogni spazio libero, soprattutto per ovviare all’inconsistenza degli sfondi. Adesso, quel che allora stava compresso in quattro tavole viene reso in sei (come avviene per “I barbieri (o parrucchieri) sono il male”), oppure da una pagina si passa a due (“Un uomo poco interessante”). Ma senza allungare il brodo, senza perdere freschezza e divertimento. È solo la conseguenza della avvenuta maturazione di Daw come disegnatore in primis, e poi come autore tout court.

Se prima rischiava la frenesia verbale e visiva, adesso invece il ritmo è perfetto.

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“Un uomo veramente interessante” nel 2007 occupava una tavola, adesso si allarga su due. Notare che la settima vignetta della versione originale (abbastanza puerile), nella versione attuale, viene sostituita dalle prime due vignette (molto migliori) della seconda tavola.
“Un uomo veramente interessante” nel 2007 occupava una tavola, adesso si allarga su due. Notare che la settima vignetta della versione originale (abbastanza puerile), nella versione attuale, viene sostituita dalle prime due vignette (molto migliori) della seconda tavola.

Anche il registro linguistico si è perfezionato, e il cozzare di scurrilità infantili e incongrue forbitezze, di voli pindarici e repentine picchiate nel prosaico per smascherare ogni retorica pseudo-poetica (e non solo), si è quasi fatto scienza. Resterebbe da dire dell’assurdo mondo creato dall’autore, impregnato di intelligentissima demenza. A parte il titolo stesso della serie, che è già una battuta auto-consistente e fonde umorismo del significato e umorismo del significante in tre parole, basti pensare a personaggi come P.I., “così insignificante da non valere una vignetta intera” (vedi sopra). Oppure Sbranzo, che di P.I. sarebbe l’amico immaginario; peccato che Sbranzo non creda all’esistenza di P.I. (!) e finisca sempre per rubargli completamente la scena (vedi nuovamente sopra). E ancora: il già citato Brullonulla. La granguignolesca famiglia Dodio, per la quale si può tranquillamente ripetere quanto già scritto (da Mereghetti) per La casa: “gli interpreti sono pupazzi da manovrare e distruggere a piacimento”.

Il misterioso papero del Giappone, che non parla mai, ma in compenso dà un sacco di mazzate. I laidi e/o violenti Troppolino, Coso e Sorsetto, dall’aspetto incongruamente tenero e cartoonesco, forse cugini del disturbante Mr. Wiggles di Neil Swaab, forse figliastri degli efferati Happy Tree Friends, che a loro volta discendono dagli Itchy & Scratchy che appaiono nei Simpson, e quindi alla fine degni nipoti di Squeak the Mouse di Massimo Mattioli. E molti altri che facevano bella mostra di sé nei volumi ProGlo e ancora non sono riapparsi, ma forse lo faranno in futuro. Personalmente, spero di rivedere presto il più deficiente di tutti: Mr. Zippi Zappi, il personaggio scartato (perché sbaglia sempre i tempi comici). E ovviamente finisce per essere esilarante. L’ulteriore prova, se ancora ce ne fosse bisogno, dell’esuberante talento di Daw. daw 9

Le due gag di Mr. Zippi Zappi che aprivano e chiudevano il quinto volume dell’edizione ProGlo. Se qualcuno l’avesse dimenticato, la vuvuzela era la temibile trombetta che frantumò senza sosta le gonadi degli spettatori del mondiale di calcio 2010, disputato in Sudafrica.
Le due gag di Mr. Zippi Zappi che aprivano e chiudevano il quinto volume dell’edizione ProGlo. Se qualcuno l’avesse dimenticato, la vuvuzela era la temibile trombetta che frantumò senza sosta le gonadi degli spettatori del mondiale di calcio 2010, disputato in Sudafrica.

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