The Dark Side Of The Sun, il film animato da LRNZ arriva al cinema [Intervista]

Il 19 giugno uscirà finalmente al cinema The Dark Side of the Sun. Più che un semplice film, potremmo dire che si tratta di due film in uno. Infatti, la regia è divisa tra la parte documentaristica girata da Carlo Shalom Hintermann e quella di animazione diretta da Lorenzo Ceccotti, alternate senza soluzione di continuità nel racconto. Tema del film è la testimonianza, straziante e poetica, di un campo estivo per bambini vittime dello Xeroderma Pigmentosum, una rarissima malattia, che gli impedisce di essere esposti alla luce del sole senza devastanti conseguenze sulla salute.

Presentato già nel 2011 in concorso nella sezione Extra del Festival del Cinema di Roma (dove ha vinto il premio Enel Cuore), il film ora è finalmente offerto alla visione del grande pubblico. Abbiamo incontrato per voi Lorenzo Ceccotti, meglio conosciuto col nome d’arte di LRNZ, per approfondire nel dettaglio l’origine e lo sviluppo del progetto.

Guarda anche: i disegni di LRNZ per The Dark Side of The Sun

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Puoi parlarci di come è nato il progetto?

The Dark Side of the Sun è nato come un progetto di Carlo Hintermann che lesse su un quotidiano americano la storia del Camp Sundown. Si tratta di un campo estivo nello stato di New York dove si incontrano i ragazzi malati di Xeroderma Pigmentosum, e di altre malattie correlate a quella che potremmo rozzamente, e soprattutto eufemisticamente definire “intolleranza al sole”. La dura realtà è che si tratta di una serie di patologie per cui la luce solare è letale, con effetti devastanti e repentini, una bassissima aspettativa di vita. All’inizio, verso il 2008/9, mi contattò solo per discutere della mia disponibilità a realizzare eventualmente il titolo e delle grafiche per il film. Già avevamo collaborato in tal senso per il suo documentario “Chatzer”, per il quale avevo realizzato i titoli animati e delle grafiche di supporto. In questo caso, lui mi aveva suggerito di investire maggiormente nelle mie capacità come disegnatore, al che fui incoscientemente a proporre di realizzare una vera e propria parte narrativa di animazione tradizionale all’interno del documentario. L’immaginario rovesciato nel quale sono costretti a vivere questi bambini si prestava ad una trasfigurazione grafica e simbolica molto potente. In quel periodo, poi, ero reduce da una attività molto serrata nel campo del video, specie dall’esperienza Studio Brutus in poi, e considerata la mia passione per il disegno e la narrazione sequenziale, mi sembrava una ottima occasione per provare a mettere insieme le cose. Chi mi conosce sa i miei usuali ritmi di lavoro massacranti e quanto sia follemente fitto il mio calendario di impegni, ma il momento in cui proposi l’idea a Carlo ero un rarissimo momento in cui ero surrealmente libero.

Il punto è che, con i tempi siderali delle produzioni cinematografiche, il progetto si è potuto concretizzare solo molto tempo dopo, ovviamente un momento in cui ero oberatissimo. A essere onesti mi ero proprio dimenticato della cosa. Parliamo di anni di silenzio. Oltretutto avevo pure deciso una buona volta di misurarmi con un lavoro da dipendente (scelta combattutissima, ma si vive una volta sola e volevo provare!):  ero appena diventato uno dei direttori creativi di una agenzia di comunicazione, fichissima per altro, quando mi arriva la telefonata di Carlo che ormai non mi aspettavo più: “Abbiamo una parte dei fondi per fare il film, si parte”. A quel punto mi sono dovuto licenziare, rinunciando a un ruolo molto ben retribuito (facendo una figuraccia tremenda e comprendendo che almeno per i prossimi 20 anni sarà difficile che io possa lavorare come impiegato, qualunque sia la struttura, qualunque le condizioni: sono decisamente un creativo selvatico), per un progetto in cui il totale del mio compenso l’ho devoluto al budget per fare un film migliore possibile, e per il quale sono stato anche coproduttore.

Il progetto originario, di Carlo, l’abbiamo integrato assieme della parte fiction animata, cogliendo quanti più spunti possibili dalle testimonianze dei bambini del campo estivo.

Infatti, un aspetto meraviglioso e commovente del film è che il tuo cortometraggio animato è in realtà la trasposizione a cartoni animati delle storie che si inventano i bambini del campo mentre giocano fra di loro

Esattamente. Noi abbiamo fatto un adattamento a quattro mani di queste fiabe spontanee, documentando oltre al reale anche i loro sogni, quindi. Il tutto doveva essere compatibile con un documentario girato in condizioni pressoché uniche. Gli “attori” del film ovviamente non sono tali, sono i bambini reali del campo, i quali, oltre alla sciagura esistenziale con cui convivono, soffrono una condizione di precarietà assoluta, costantemente sull’orlo del baratro. Un protagonista del documentario, quello che avrebbe dovuto essere il fulcro del racconto secondo i piani iniziali, è morto durante le riprese. Carlo, assieme al montatore, Piero Lassandro, aveva già una situazione estremamente delicata da gestire: valutare centinaia e centinaia ore di girato, e se già in un documentario è difficile stabilire una linea narrativa, in questo caso era praticamente impossibile. Considerando soprattutto che è un film corale, i protagonisti sono moltissimi, poiché è vero che la malattia è rarissima, ma il campo ospita bambini da tutto il mondo. Ognuna con una storia unica e commovente da raccontare.  Carlo e Daniele sono stati oltretutto lucidissimi e onesti nel gestire la situazione anche da un altro punto di vista: nessuno si mostrava disponibile a finanziare il progetto, gli unici che si mostravano interessati erano sedotti morbosamente solo dal potenziale macabro, dall’aspetto vampiresco della vicenda. Hanno sempre fermamente rifiutato. Per noi l’obiettivo era invece esaltare come queste persone abbiano, nonostante la malattia, una straordinaria voglia di vivere e una grande positività, mostrare la bellezza unica della loro vita “rovesciata”.

Questo modo di affrontare la cosa alla lunga ha pagato, e NHK, la TV di stato Giapponese si è innamorata del progetto, fornendo una grande credibilità al progetto assieme a Rai per il reclutamento di altri coproduttori, come Rainbow.

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Qual è la tua reazione alla notizia che finalmente The Dark Side of the Sun arriverà nelle sale cinematografiche?

E’ chiaro che mi da una grande gioia sapere che a questo film venga riconosciuta una dignità anche al di fuori di una nicchia per addetti ai lavori, per il lavoro IMMENSO di Carlo Hintermann e Daniele Villa, di tutti i membri della Citrullo International, ma soprattutto per I ragazzi di Camp Sundown, che avranno modo di poter portare la loro storia agli occhi di quante più persone possibile. Ad essere onestissimo però, sono più sorpreso che contento. E’ inusuale un lieto fine del genere, specie con un progetto così ambizioso: al cinema, in Italia, con un tema difficilissimo e con l’animazione di mezzo, oltretutto.

Parlando specificamente del mio lavoro per il film, per essere partita come una missione impossibile, una roba tipo l’Armata Brancaleone contro l’esercito di Serse al completo, fa senza dubbio molta impressione. Ancora più intimamente: da un lato è un sogno che si avvera, dall’altro significa assumersi davvero una serie di responsabilità che fino ad adesso erano solo latenti, visto che il film ora un pubblico ce l’avrà.

Sono felicissimo di aver realizzato quel film perché ha dato gioia a quei  bambini, è una soddisfazione completamente fuori scala.  Quando abbiamo fatto la prima alla Festa del Cinema, con un parterre prestigioso, francamente non ero molto preoccupato dei giudizi del pubblico. La vera emozione, e il vero tremore, è stato quando lo hanno proiettato a Camp Sundown, davanti ai veri protagonisti del film. Sarebbe stato imperdonabile realizzare una cosa che non fosse di loro gradimento, e il rischio era alto. Essendo stati tutti molto contenti del risultato, per me quello vale più di qualunque Oscar sulla faccia della terra, più di qualunque giudizio critico autorevole (che pure c’è stato, da alcuni tra i più grandi e influenti critici nostrani, fino a selezioni in festival internazionali di tutto riguardo). Missione compiuta. Non avere urtato o ferito la loro sensibilità, andando a toccare l’argomento più delicato possibile, dopo essermi dedicato corpo e anima al progetto, quella è senza dubbio l’unica ricompensa che cercavo.

Dal punto di vista del risultato artistico, quindi, non ho nessun rimpianto. Abbiamo dato veramente tutto quello che avevamo da dare. Vedere che dopo tutto questo tempo è tutto andato a buon fine, beh: direi che è una immensa soddisfazione. Di quelle che ti spingono ad andare avanti. Infine, colgo l’occasione per ringraziare ancora Carlo Hinterman, Daniele Villa  e Citrullo International per avermi coinvolto in questa bellissima esperienza.

La branda dove LRNZ ha dormito gli ultimi 3 mesi di produzione
La branda dove LRNZ ha dormito gli ultimi 3 mesi di produzione

Ci puoi parlare anche di come hai allestito rocambolescamente lo studio di animazione che ti ha supportato?

Quello è l’aspetto di cui sono forse più fiero. Siamo partiti all’improvviso e ho dovuto allestire lo studio da zero, facendo anche il direttore tecnico. Ho messo in piedi lo studio in ogni minimo dettaglio, comprese le macchine, la configurazione degli strumenti, dei software, della pipeline tecnica etc. per mettere in piedi un sistema che garantisse con un numero esiguo di persone e in tempi strettissimi la realizzazione del progetto. Le persone coinvolte, oltre a me che ho operato direttamente in tutti i reparti, erano: Mariachiara Di Giorgio, che si è occupata degli sfondi, Pamela Poltronieri, Fabio Ramiro Rossin, Giorgia Lucrezia Velluso (che hanno fatto gli animatori) più tre volontari kamikaze, Francesco Leonzi e Dario De Marinis come coloristi, e  Irene Piccinato che animava le ombre dei personaggi. Roberto Calcaterra si è occupato della post. Queste persone si sono eroicamente prestate ad un lavoro mostruoso: realizzare tutta quella mole di disegni in sei mesi, circa 40 minuti di animazione spesso a passo 2, ovvero a dodici fotogrammi al secondo, completamente colorati.

In quel momento gli animatori, Fabio, Pamela e Giorgia, erano appena usciti dalla scuola di Torino e potevano scegliere se andare a lavorare in grandi produzioni, come il “Pinocchio” di Mattotti e D’alò in Belgio. Hanno creduto nella bellezza di questo progetto, ed è la cosa di cui sono loro più grato in assoluto. Non dimenticherò mai l’emozione di quando ognuno di loro ha accettato la sfida. Per non parlare dei volontari.

Credo che anche la soddisfazione di aver lavorato a un film in cui il proprio nome non sparisca in un fiume di migliaia di collaboratori non sia proprio una cosa da poco, ha sicuramente aiutato!

Come accenavo poco prima lavoravo in tutti i reparti, tutti. Da un lato perché avevo impostato una pipeline non tradizionale. Utilizzavamo Photoshop, fotogramma per fotogramma, invece degli abituali software di animazione. Questo mi garantiva di lavorare con un programma direttamente integrabile con After Effects: potevo quindi tagliare numerose procedure di messa in scena dei disegni, per ottenere degli sfondi simil tridimensionali, delle quinte parallattiche.

Oltretutto, in questo modo potevo utilizzare dei pennelli speciali, che avevo messo a punto ad hoc per il film, che hanno un tipo di resa non così fredda come i pennelli vettoriali che si usano con i programmi tradizionali dell’animazione, vettoriali, come Flash (che ancora anadava forte!), ad esempio. Utilizzando questo tipo di configurazione con delle Cintiq, che consentono di disegnare direttamente sullo schermo, abbiamo di fatto lavorato con animatori tradizionali. Sia Rossin che Poltronieri che Velluso venivano dalla Scuola di Animazione di Torino. Avevano una formazione da animatori classici, cosa che io non ho. L’aspetto paradossale è che io ero il loro mentore sul progetto ma rispetto a loro ero completamente incapace come animatore, ero un istintivo autodidatta della peggiore specie.

Il fatto di avere uno staff di persone più preparate di me mi ha fatto ovviamente crescere molto dal punto di vista tecnico.

I ritmi erano impossibili, il mio standard medio erano al massimo tre ore di sonno al giorno, non sono più tornato a casa per 3 mesi (e lo studio era a Roma, dove vivo). Non credo ci siano molti precedenti di un lavoro del genere in Italia, con questa distribuzione, realizzato in così poche persone (pagate, mai abbastanza per la dedizione sovrumana, ma pagate) con degli standard produttivi di questo tipo. Per i miei specifici limiti, ci sono moltissimi difetti, ma dal punto di vista dell’impegno non credo che fisicamente si sarebbe potuto fare di più. DI SICURO non rifarei mai più un film in quelle condizioni.

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The Dark Side Of The Sun è un caso praticamente isolato di film con animazione per il cinema, realizzato a basso budget nella storia recente Italiana. Come mai da noi non ci sono altre realtà simili?

DSS è un’opera al limite: realizzata in tempi sovrumani (per non dire sbagliati) con un budget incerto prima, punitivo poi. E’ un caso isolato proprio per questo, credo: semplicemente i film di animazione in queste condizioni è meglio non farli se non si vuole morire giovani. A parte gli scherzi: è veramente molto difficile.

Quando ho scritto e storyboardato tutto, infatti, il budget era tutt’altro che noto, quindi mi sono basato su delle ipotesi plausibili, immaginando un certo tipo di staff. Questo film è stato prodotto con una tecnica particolare che è quella delle prevendite televisive. Il film è stato scritto e varie TV hanno avuto l’occasione di preacquistare il film finanziandolo, di fatto, e inserendolo nei loro palinsesti grazie a delle clausole precise sui tempi di lavorazione.

Le prevendite non sono una cosa facile ne certa e quindi il budget non era affatto noto, mentre le deadline, imposte dai primi attori (nhk in primis) erano abbastanza scolpite nella pietra (2 mesi di margine ho avuto, e basta). In soldoni: io ho fatto storyboard e animatic con un budget ottimale in testa formatosi sulle aspettative di vendita confermate da interesse manifesto di alcune realtà, ma con un muro che si avvicinava a 200kmh.

Ci sono stati contratti di produzione firmati e poi stracciati all’ultimo secondo. Il budget potenziale in alcuni casi si è anche dimezzato. A quel punto puoi solo metterti i paraocchi e andare avanti, ritornare in scrittura sarebbe stato pazzia. Il tutto cercando di tenere lo standard più alto possibile.

Solo che se ho un obiettivo narrativo devo fare di tutto per portarlo alla luce. Questo era un punto fermo che che mi ha aiutato a definire la tecnica con cui avrei realizzato tutto, ha guidato ogni singola scelta, mi ha portato ad accettare serenamente i limiti produttivi che avevo.

Mi reputo in grado di capire quindi la differenza che passa fra i miei idoli e me.

Ed è un baratro invalicabile, chiaro, quindi non ho neanche paura di sporcarmi le mani facendo magari qualche brutalità qui e li, magari omettendo, se serve a far esistere un film che a mio insindacabile giudizio (il bello dell’arte è che decidi te) andava fatto così, con tutte le sue pretese sbandierate ai quattro venti.

Mi pare triste affrontare un lavoro con lo spirito di volare bassi per non esporsi a qualche critica: ogni sorriso che abbiamo regalato ai ragazzi del campo passa per questo livello di esposizione che ci siamo sobbarcati. Un livello di esposizione che fino a prova contraria non si sobbarca quasi nessuno, e a fare le cose facili sono veramente capaci tutti, per questo esistono degli standard qualitativi.

Porto un esempio illuminante. All’inizio del progetto ho provato a consultare e coinvolgere diversi studi di animazione già esistenti per interrogarli sulla effettiva fattibilità del progetto (i miei ultimi barlumi di lucidità). La risposta era sempre la stessa: un animatore professionista, bravo, in un mese realizza fra i 30 e i 60 secondi, standard TV. dai 12 ai 15 secondi per il cinema. Non si può fare.

Citando uno dei pareri più autorevoli: “…soprattutto con quel budget, in una produzione normale, ci copri al massimo le cocacole per tutti i disegnatori. Sei pazzo.”

uno dei volontari coloristi, Dario De Marinis veniva a lavoro vestito da ufficiale dell'impero austro ungarico, tutti i giorni
Uno dei volontari coloristi, Dario De Marinis veniva a lavoro vestito da ufficiale dell’Impero Austro Ungarico, tutti i giorni

Nel film è esplicito come non mai l’omaggio a Miyazaki come costante punto di riferimento.

Miyazaki l’ho studiato perché per me era il simbolo del miglior uso dell’animazione limitata televisiva giapponese utilizzata con lo sguardo del cinema di animazione. Pensiamo a Conan, ha la stessa potenza narrativa di un lungometraggio, con un’animazione ridotta al minimo, un segno molto espressivo, un uso straordinario degli sfondi. Lui e Makoto Shinkai sono stati i riferimenti per il mio lavoro. The Dark Side of the Sun è ben oltre un tributo, è proprio un ringraziamento sfacciato fatto da un povero mortale a due divinità che gli hanno cambiato la vita.

Del resto, da sempre, accanto a Moebius, è dichiaratamente uno dei tuoi autori prediletti.

I due maestri si amavano alla follia, basti pensare a Nausicaa, unico film di Miyazaki tratto da un fumetto (ci sarebbe pure Porco Rosso che in realtà è ispirato a un libro con dei maiali che guidano mezzi da guerra – una raccolta di materiali prodotti per una rivista di modellismo se non ricordo male – ma la storia del film dovrebbe essere originale).

A proposito, per legarmi al discorso precedente, vorrei raccontare un episodio forse poco noto. Su Amazon ho trovato un libro sui break-down dei piani di produzione di Miyazaki. Una descrizione tecnica di come sono stati realizzati i suoi film. Li scoprii che, forse non tutti lo sanno, Miyazaki (già con Takahata), fu contattato, come poi anche Moebius, per prendere parte alla realizzazione del film di Little Nemo, che uscirà qualche anno dopo come Adventures in Slumberland. (Ne esiste anche un videogioco della Capcom, Arcade (ne esiste anche una versione casalinga per Famicom), “Nemo” –  パジャマヒーロー NEMO Pajama Hīrō Nīmō, peraltro brutto, a mio avviso, nonostante la santa trinità Moebius, Miyazaki, Mccay).

Miyazaki è stato qualcosa come un anno su questo progetto, in attesa che si sbloccassero i finanziamenti e cercando un accordo sulla creatività che proprio non arrivava. Stanco dell’attesa (definirà quest’esperienza lavorativa LA PEGGIORE che ha mai avuto), è tornato in Giappone e ha realizzato “Nausicaa”, mi piace pensare come atto liberatorio dalla lentezza pachidermica della produzione di Nemo,

Un film tratto da un fumetto quindi che oltretutto è senza dubbio anche un omaggio all’Arzack di Moebius: Nausicaa stessa gli è evidentemente simile; invece di volare su un uccello vola su un’ala meccanica che ricorda fortemente il volatile di Arzack. Oltretutto, mi pare ci sia una teoria (della quale non trovo più la fonte, onestamente, forse me la sono sognata) che sostiene che il nome stesso del personaggio sia un adattamento di una traslitterazione fantasiosa di Nazca, anche quello in perfetta sintonia con i viaggi iniziatici di Moebius in Messico e la sua passione per le civiltà precolombiane. Ma tornando al film: la sfida di Miyazaki fu di farlo con l’equivalente di un miliardo di lire, pagando tutto, dagli animatori a Joe Hisaishi, in un solo anno, con uno studio di disegnatori piuttosto contenuto.

Dopo aver letto non stavo nella pelle. SI PUO’ FARE mi sono detto. Pensa che idiota.

Forti di questa cazzata che ho pensato abbiamo realizzato più di mezz’ora in sei mesi, con un budget inferiore a un decimo e si vede. Mi sento molto responsabile e mi vergogno un po’, ma va bene così dai.

Una scelta molto interessante, considerando che dovevi raccontare un mondo rovesciato, è l’utilizzo invertito degli archetipi dell’iconografia tradizionale (Sole-Donna, Luna-Uomo).

Certo. C’è una simbologia molto precisa per tutto il film. Mi piace ragionare sugli archetipi piuttosto che lavorare sulla superficie dei personaggi. Desidero approfondire le radici dei personaggi, anche per avere dei punti di riferimento narrativi molto forti. E’ un rovesciamento inteso come omaggio alla visione del mondo completamente nuova e meravigliosa che mi hanno offerto i ragazzi di Camp Sundown. Se abitualmente i bambini disegnano la casetta  sulla collinetta e con il gatto nel giardino, loro disegnano istrici e falene, case immerse nella luce lunare, costellazioni, e hanno una visione della notte rigogliosa e vitale. C’è una scena nel documentario in cui un addestratore di uccelli rapaci notturni che dice ai bambini una frase chiave: la gente non si rende conto che l’80% delle specie animali sono notturne, quindi voi siete molto più in sintonia con la Natura degli altri.


I primi draft realizzati da LRNZ che hanno assicurato la produzione del film

Personalmente, adoro la rappresentazione di Morning Glory,  che evoca rappresentazioni simboliche delle Dee Madri orientali. La capigliatura compone il simbolo dell’infinito dove nell’iconografia indiana c’è il simbolo dell’Om. Sono riferimenti pertinenti?

Assolutamente, si. Tutti i simboli, a partire da quelli che hanno una evidenza grafica, ovvero quelli che hanno letteralemente addosso i personaggi, soprattutto Father Night e Morning Glory (creati da me e Carlo all’interno delle storie dei ragazzi), sono legati a delle referenze molto precise. La simbologia è solo uno dei tanti strumenti a nostra disposizione per raccontare una storia nel miglior modo possibile. Ma tanto, prima o poi, dall’opera ci si separa e a quel punto è tutto affidato all’interpretazione dello spettatore.

Incrociamo le dita quindi e speriamo che piaccia!

Ci vediamo al cinema!