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Grandi ombre

Prendersi cura, prestare attenzione, riconosce la fragilità, negli altri e in se. Non si può dire certo che questi decenni di solipsismo e edonismo abbiamo messo in luce queste caratteristiche dell’essere umano. Tanto rifuggite quanto emergenti, tanto nascoste quanto potentemente reali.

COVER

L’uomo forzuto e la donna gigante sono due abitanti del bosco. Sono giganti, alla stirpe dei giganti appartengono e come essi sono enormi. Un muscoloso culturista dal viso corrucciato e una donna, con un costume verde: uno di quelli antichi, che copre le gambe fino al ginocchio. Sono grandissimi e fanno una gran paura, perché la loro fisicità è talmente imponente che non sta su un unico foglio; i loro movimenti da danzatori, gli fanno attraversare le pagine come se fossero pronti ad invadere lo spazio in tutte le dimensioni. A discapito di questa mole (o forse propri per questa) i due giganti sono due veri buoni. Al gigante piacciono gli uccelli e si prende cura di quelli malati, per rimetterli in cielo capaci di volare da soli. La gigantessa invece, ha paura di calpestare le formiche e il suo incedere nel bosco è scandito dall’attenzione continua a ciò che le passa davanti.

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La foresta è un luogo di brulicare di vite, di intrecci, di confusione fertile, ma Cho Won Hee, autrice de I giganti e le formiche, appena uscita per i tipi di orecchio acerbo, lo trasforma in una entità metafisico di assoluta concentrazione. Ci sono solo i grandissimi e questo universo minuto che sembra antitetico al molosso – mondo dei due giganti. I giganti e le formiche è un libro attento. Un libro che mette in primo piano un valore assolutamente marginale nel contesto contemporaneo. Quello della delicatezza e della tenerezza. Nella letteratura illustrata soprattutto quella diretta ai più piccoli queste due parole si confondono spesso con profusione di vezzeggiativi e melensaggini, che i due giganti sbaragliano da subito. La fragilità è ciò che ci rende umani sembra dire Cho Won hee.

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Il rigore e l’estrema capacità di sintesi con cui la giovane artista coreana traduce questi concetti mi ha immediatamente ricordato una grande maestra di tenerezza: Gabrielle Vincent. L’autrice belga ha condiviso con i suoi lettori, con il suo inconfondibile tratto sempre abbozzato, in movimento, vigile come il suo occhio, la potenza che c’è nel descrivere i piccoli riti, la forza narrativa delle storie da nulla, dai gesti quotidiani degli avvocati nel foro, alla giornata di un cane dopo essere stato abbandonato, alla storia “d’amore” far un orso e un topo. Ernesto è un orso, Celestina e un cucciolo di topo. Non ci poniamo il problema del legame parentale che c’è fra i due. Sono indubitabilmente un nucleo famigliare. Ernesto e Celestina, come il gigante e la gigantessa sono quello che sono grazie ai loro corpi, che così fortemente li plasmano. Ma proprio nel riconoscimento di queste identità e nell’abbattimento dello stereotipo che questa comporta che Vincent costruisce il senso della meraviglia e dell’attenzione.

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Belga è anche Melanie Rutten, autrice de L’ombre de chacun (éditions Memo, 2013). Ognuno ha un’ombra che veglia su di se. Spesso, nonostante ciò che si crede, non ci somiglia nella fisionomia fisica, perchè non la proiettiamo da soli, ma qualcuno la proietta su di noi. L’hombre de chacun racconta il percorso di formazione di sei personaggi, che si incontrano sulla strada appunto. Non conosciamo la loro storia, ma solo dei frammenti che troviamo per strada come le briciole di Pollicino. Ma questo basta per trovare il coraggio per affrontare la proprie paure. Un coniglio che si è separato dal suo padre cervo, un soldato trincerato sotto un elmo, un libro che vuole sapere di più, un gatto che fa sempre lo stesso sogno, un cervo inquieto e un ombra. Un gruppo stranamente assortito, dissonante, poco conforme agli schemi. A differenza della Vincent nella storia della Rutten è il gioco continuo di contrasto e rincorsa fra immagine e parola che conduce la narrazione. I personaggi s’incontrano e inconsciamente si cercano nel desiderio di non essere soli. Le parole sono limpide, chiare e avvolgenti. “Un giorno tu morirai?” “Non ora” “ Ma un giorno…” “Un giorno, è normale.” Nel bosco (questa volta presente, colorato, da superare, un protagonista non enunciato, un’ombra che abbraccia tutti) le domande escono dalla bocca dei personaggi naturalmente. Si fa un cerchio che diventa casa e si trovano sempre, piano piano le risposte.

Ilaria Tontardini // Hamelin Associazione Culturale

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