Certe cose le hai davanti agli occhi e non te ne accorgi. Sono lì, grandi, scritte a chiare (e magari colorate) lettere. Come il titolo di un fumetto. Sono in una parola o una frase che leggi magari di sfuggita, pronunciandole nel modo più immediato e spontaneo possibile, per buttarti a capofitto nella lettura. Poi, quando hai finito di leggere, riecco lì quel titolo che torna a fare capolino, magari dalla quarta di copertina. E tu, ormai saziato dalla lettura, ti soffermi su quell’unica parola o frase e ti rendi conto che c’è qualcosa che stona, che non ti torna, che non hai capito. E allora ricominci a leggere. Alla ricerca di qualcosa…
È ciò che mi è accaduto durante la lettura del primo numero di Historiē (Ed. J-Pop) di Hitoshi Iwāki, già autore della serie horror/fantascientifica Kiseiju (Parassita), edita solo parzialmente in Italia – otto volumi su dieci complessivi – prima da Phoenix e poi da Magic Press, col titolo L’Ospite indesiderato. Se in quel caso l’autore aveva creato un’interessante serie seinen che esplorava il genere horror/fantascientifico, questa volta Iwāki opta per il manga storico, e decide di ambientarlo nel IV secolo a. C. all’epoca della conquista macedonica della Grecia e dell’Asia Minore da parte di Filippo II e di suo figlio Alessandro.
La serie, giunta in Giappone all’ottavo tankōbon, arriva finalmente in Italia, a distanza di dieci anni dalla sua prima apparizione, accompagnata da un’acclamazione praticamente unanime e da riconoscimenti prestigiosi (vincitore del Japan Media Art Festival nel 2010 e dell’Osamu Tezuka Cultural Award nel 2012) in patria.
Sicuramente il motivo di tanto successo sta innanzi tutto nella tematica prescelta da Iwaaki, che sorprende non tanto per il repentino passaggio di genere rispetto al suo precedente lavoro (fatto abbastanza normale anche per i mangaka più noti: basti pensare a Takehiko Inoue, autore di Slam Dunk ma anche di Vagabond), né tantomeno per lo scenario storico (la storia greco-romana ha solleticato spesso l’interesse degli autori del Sol Levante, come nel recente Thermae Romae di Mari Yamazaki), bensì per la volontà di non incentrare il proprio racconto su quelli che noi potremmo a ragion veduta considerare i ‘grandi personaggi’ di quell’epoca.
Il protagonista, nonché voce narrante, di Historiē è infatti Eumene di Cardia. Un personaggio realmente esistito e che sicuramente ebbe un ruolo importante, tanto da essere ricordato fra i massimi condottieri dell’antichità sia da Plutarco che da Cornelio Nepote, ma che tuttavia non può essere certamente definito una figura di prima grandezza sul palcoscenico della storia. Probabilmente, molti di voi non lo ricordano neppure.
Eumene era un greco della colonia ateniese di Cardia, città situata all’estremità dello stretto dei Dardanelli. Stando a quanto ci dice di lui Cornelio Nepote, Eumene, nato attorno al 360, era di origini nobilissime, e divenne in giovane età amico di Filippo II il Macedone che lo apprezzò a tal punto per le sue virtù – nello specifico: diligenza, perseveranza, sagacia e prontezza di spirito – da assegnare proprio a lui, unico greco in una corte di macedoni, la prestigiosa carica di grammatéus (una sorta di ‘segretario di stato’), che Eumene mantenne anche sotto Alessandro Magno, fino alla morte di questi nel 323. A partire da questo momento, tutte le fonti in nostro possesso si dilungano nella descrizione degli ultimi anni di vita di Eumene, che lo videro partecipare alle lotte feroci fra i diadochi per la suddivisione dell’impero macedone, dimostrando eccellenti doti strategiche e militari, fino alla morte nel 316 a C. per mano dell’acerrimo rivale Antigono Monoftalmo.
Nonostante sia proprio sulla sua giovinezza prima dell’ingresso a corte, sulla sua famiglia d’origine, sulla sua educazione e sulla sua indole che la figura di Eumene appare avvolta dal mistero, è proprio da lì che Iwāki decide di far partire la propria narrazione. E la sua pare proprio essere una scelta consapevole e mirata. Sembra, infatti, che le scarse notizie sul proprio protagonista rappresentino un incentivo alla creazione artistica, piuttosto che un deterrente: al mangaka, infatti, questi misteri concedono la libertà non tanto di dare la propria interpretazione di un personaggio storico, quanto di ‘inventarne’ uno, pur sempre rimanendo all’interno di una cornice storica verosimile.
Un esempio: le prime pagine del primo volume raccontano dell’incontro di un Eumene diciannovenne con il celebre filosofo Aristotele, in fuga dalla città di Asso, sulle coste della Troade. Il giovane, dopo aver attraversato lo stretto dei Dardanelli assieme ad Aristotele, si recherà a Cardia, che scoprirà essere assediata dalle truppe di Filippo II.
A quanto ci è noto, è vero che Filippo assediò Cardia nel 343; ed è altrettanto vero che Aristotele si allontanò dalla città di Asso, se non proprio in quell’anno, quantomeno in quel periodo. A parte alcune piccole invenzioni su cui non mi dilungo, l’incontro di Eumene con Aristotele è un falso. Ma è un’invenzione utilissima, perché, posta com’è all’inizio del volume, contribuisce a dare al lettore una precisa impressione sulla intelligenza e sulla personalità del protagonista.
Questa soluzione rappresenta bene il metodo di Iwāki: all’interno di una cornice storico-geografica plausibile o che comunque è basata su delle accurate letture, l’autore opera delle connessioni arbitrarie, degli innesti originali al fine di creare la propria versione della giovinezza di Eumene. Talvolta, forse, nel prendersi tali libertà forse calca un po’ la mano: per esempio quando ad Aristotele, che sta spiegando la sua teoria sulla sfericità della Terra al giovane di Cardia, mette in mano un globo – o mappamondo se volete – oggetto la cui invenzione risale alla fine del Quattrocento! Tuttavia appare subito chiaro, anche da questi particolari, come la sua non sia un’opera didattica, non vuole insomma insegnare nulla. Se fosse così, peraltro, non avrebbe scelto un personaggio di cui sappiamo così poco. Sebbene l’accuratezza nella ricostruzione storico-culturale non possa essere considerata uno dei maggior pregi di questo volume, non ritengo che sia su questo campo che il lavoro di Iwāki vada giudicato. Probabilmente anche nel seguito della serie ci troveremo di fronte a invenzioni che sono il frutto dell’interpretazione personale di un autore che ha letto le fonti e si è documentato, ma ha poi ricreato in modo assolutamente personale, senza porsi il problema di eventuali intenti didattici e incentrando il suo racconto su un personaggio e sul suo mondo. Un mondo che, in virtù di un tratto realistico e d’effetto, anche se non sempre esatto, e di una narrazione fluida e sicura, ci appare subito coinvolgente e misterioso.
E com’è, allora, l’Eumene di Iwāki?
È un giovane intelligente, ma non arrogante. Silenzioso, riflessivo, intuitivo, curioso, brillante, ma anche comprensivo, umano e rispettoso del diverso. Eumene ha una famiglia e degli amici con cui genera rapporti, relazioni, sentimenti: quanto serve, insomma, per farne una personalità ben definita in cui tantissimi adolescenti possono identificarsi.
A questo proposito, mi è capitato di leggere un commento su un sito web statunitense che criticava aspramente Iwāki per aver creato un personaggio le cui vicende potrebbero benissimo essere ambientate ai giorni nostri, tanto è evidente la volontà di creare un character più vicino alla sensibilità dei moderni, piuttosto che alla verità o verisimiglianza storica. Ho trovato questa critica assolutamente illuminante: è vero, infatti, che l’autore mira a una quanto più possibile totale immedesimazione del lettore in un personaggio che è al contempo normale e straordinario. Tuttavia le caratteristiche che permettono a Iwāki di rendere eccezionale e moderno Eumene non vengono da modelli a noi contemporanei, bensì da un’epoca ancora più lontana di quella di Filippo II e di Alessandro Magno. Provo a spiegarmi.
Fra le caratteristiche di Eumene, forse quella che risalta di più è la sua grande passione per la lettura: il suo autore preferito è Erodoto, le cui narrazioni delle guerre persiane racconta ai suoi amici, affascinati dalla sapienza e dalle doti di affabulatore del loro amico.
Erodoto, vissuto cento anni prima di Eumene, è considerato tradizionalmente il padre della Storia, anche perché fu lui il primo a usare questa parola, historía appunto, che in greco antico significa ‘ricerca, indagine’, per definire il proprio lavoro. Tuttavia le Storie di Erodoto sono assai lontane dal concetto di scienza storica come la intendiamo noi oggi. Esse contengono, infatti, una enorme quantità di digressioni sugli aspetti naturali e umani dei paesi conosciuti, di racconti folklorici, di leggende, di descrizioni di sogni, di oracoli che poco hanno a che fare con la Storia (e molto più con l’antropologia, l’etologia e l’etnografia) e che sono il frutto della sua enorme curiosità, che egli riuscì peraltro a soddisfare girando per tutto il mondo allora conosciuto. Non a torto, il grande giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski, nello splendido libro In viaggio con Erodoto, rimane a tal punto ammirato dall’attualità di quest’antico autore da definirlo ‘il primo reporter della storia’.
La passione di Eumene per lo storico greco è in realtà quella di Iwāki, che fa del proprio protagonista un piccolo Erodoto, dalla mentalità aperta e curiosa, dalle acute capacità di osservazione, ma soprattutto dall’animo sensibile e rispettoso delle diversità. In una parola: moderno.
Così, rileggendo la lunga sezione in cui Eumene, per spiegare la tempra del popolo degli Sciiti, racconta alcuni episodi che sono attinti da tre diversi passi delle Storie di Erodoto, ho risolto quella piccola empasse cui accennavo all’inizio riguardo al titolo. In un primo momento, infatti, avevo pensato a un errore: l’autore forse voleva scrivere historiae col plurale alla latina, anche perché in greco antico, historía al plurale fa historíai… Insomma, quella ē, col diacritico della vocale lunga sopra, non mi tornava.
È allora che mi è venuto in soccorso Erodoto, la cui opera è scritta in greco, ovviamente, ma nella variante dialettale ionica, nella quale historía al singolare si presenta con una desinenza in -η (eta), cioè una e allungata, che normalmente viene traslitterata con ē: pertanto ecco svelatami l’origine del titolo. Historíē (Ricerca o Indagine) non può che essere un omaggio al padre della Storia, e alla sua concezione della stessa così diversa dalla nostra. Un tributo alla sua indagine sulle meraviglie della natura e sulle miserie dell’uomo, e alla sua opera frutto di uno spirito curioso e aperto – al contempo antico e modernissimo – che Iwāki coglie pienamente, infondendolo con successo nello spirito del suo protagonista, così come dell’intera sua narrazione.