Giochi per l’estate: “Liar Game”

Arriva l’estate e con essa, per prima cosa, i suggerimenti dei media contro la calura. È ormai una coazione a ripetere: nelle redazioni del grande circo mediatico si annidano numerosi guerriglieri anti-afa, pronti a saltar fuori appena arriva la fine di giugno, per raccomandare di sostare preferibilmente all’ombra, evitare di mettersi nudi sotto il solleone senza essersi prima immersi in una vasca di lozione solare protezione 60, rinunciare al tuffo nel mare gelato subito dopo essersi ingozzati di lardo fritto nello strutto, anzi abbandonare del tutto la prediletta struttata in favore di una sana centrifuga di carote e pompelmo.

Ma la fine di giugno, per fortuna, porta invariabilmente con sé anche colonie e campi estivi, al mare o in montagna, che si riempiono di giovani ambosessi, pronti alle scarpinate in compagnia, a passare la notte in tenda, a vivere i primi amoretti o amorazzi, e soprattutto a fare giochi di gruppo, senza i quali un campo estivo semplicemente non è tale.

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C’è un manga, pubblicato in Italia da J-Pop, che potrebbe fornire ai suoi lettori in età da campo estivo non pochi spunti per quei giochi di squadra: si chiama Liar Game, ed è firmata da Shinobu Kaitani. Non si tratta certo di un capolavoro, e ha qualche limite nella costruzione di alcuni personaggi, a tratti così topici da sfiorare il ridicolo – effetto emotivo ‘telefonato’, diciamo. Ma le idee non mancano.

Il titolo è indicativo, visto che letteralmente significa “gioco del bugiardo”. Alla base della trama c’è un’organizzazione misteriosa, che ti fa entrare nel gioco semplicemente mandandoti a casa una valigia contenente lo spropositato capitale iniziale di 100 milioni di Yen (al cambio attuale, oltre 700mila Euro).

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Nao riceve la convocazione. “Non è possibile cancellare la propria iscrizione”

La prima manche in realtà è un uno-contro-uno, e dura 30 giorni. L’altro giocatore, di cui ti viene comunicato il nome, può tentare qualunque raggiro per portarti via tutta la somma. E tu puoi fare lo stesso per accaparrarti i suoi 100 milioni. Al termine del periodo di gioco, devi però restituire quanto ricevuto all’inizio a un incaricato dell’organizzazione. Se sei riuscito a gabbare il tuo concorrente, potrai tenerti i suoi soldi come premio, e accedere alla seconda manche. Se è lui a raggirare te, allora sei in debito con l’organizzazione – e sei presumibilmente nei guai, viste le voci che circolano.

Ma se, putacaso, non si desiderasse prendere parte attiva al gioco, e si volesse uscirne senza debiti? Beh, basta custodire i 100 milioni e restituirli al termine dei 30 giorni, al solito emissario dell’organizzazione. Ma facendo attenzione a non farsi prima buggerare dall’altro concorrente, che non è detto non sia allettato dalla vincita. In fondo, che ci vorrà mai?

La protagonista Nao Kanzaki è però la dimostrazione del pensiero di Protagora: “l’uomo è la misura di tutte le cose”. La giovane donna ha un’onestà naturale quasi indisponente, è totalmente incapace di mentire, così ingenua e innocente da credere che gli altri siano come lei. Ricevuta la valigia, neppure per un attimo le balena per la testa l’idea di partecipare a una cosa che si chiama “gioco del bugiardo”, e magari vincere 100 milioni. Pensa solo a restituire i soldi. Ma il suo avversario è un suo vecchio e amato professore, che la convince di volere anche lui restituire la valigia senza giocare, tanto da farsi consegnare il malloppo di lei, per custodirglielo in attesa che passino i 30 giorni. Dopo alcuni giorni Nao riceve una cartolina dell’organizzazione con l’aggiornamento del punteggio: lei è in negativo di 100 milioni, il professore sta vincendo la stessa somma. Come Fantozzi, a questo punto viene colta da un leggero sospetto.

E qui entra in gioco il co-protagonista, senza il quale la serie si sarebbe chiusa in breve, con la bella e sprovveduta Nao venduta dall’organizzazione a un bordello thailandese, per recuperare il capitale. O forse con gli organi espiantati uno dopo l’altro in una clinica clandestina del terrore, chi lo sa. Per fortuna invece c’è Shinichi Akiyama, un giovane truffatore appena uscito di galera (ma si capisce dopo tre vignette che fa parte dei buoni) che Nao contatta, in un barlume di lucidità, quando si trova nelle peste. Chi infatti meglio di un professionista per aiutarla a ribaltare la situazione e rendere pan per focaccia al professore, prima che scadano i 30 giorni? Lo stratagemma psicologico adottato da Akiyama per risolvere la situazione è semplice, ma plausibile e ben scovato, e merita di essere scoperto leggendo il primo volume della serie.

Lotta di nervi tra Akiyama e il professore
Lotta di nervi tra Akiyama e il professore

Questo però è solo l’inizio, e probabilmente quando Shinobu Kaitani l’aveva pensato non sapeva ancora dove il suo manga sarebbe andato a parare. Nao non può certo uscire dal gioco come era suo intento iniziale, altrimenti la trama non procederebbe e infatti avanza al secondo turno, per bontà d’animo non regolamentare (regala la sua vincita al professore, per permettergli di uscire dal gioco senza debiti e fargli riacquistare la fiducia nel genere umano!). E altrettanto chiaramente anche Shinichi entra nel gioco per aiutarla, ammaliato dall’innocenza inverosimile della donna, per motivi misteriosi (nascosti nel suo passato, questo va da sé).

La prospettiva della narrazione si fa meno angusta nei turni successivi, quando iniziano i giochi di squadra, alcuni facilmente replicabili senza troppe modifiche anche tra ragazze e ragazzi disposti a scannarsi psicologicamente (sotto supervisione di un arbitro che abbia letto il fumetto). Quelli ideati da Kaitani sono infatti giochi basati sulla simulazione (e quindi congegni narrativi di per se stessi, come evidente nel poker, non per nulla gioco tra i più sfruttati dai narratori di ogni genere) nei quali il bluff, il tradimento della parola data o, al contrario, il mantenere la parola a dispetto di tutto, sono la chiave per raggiungere la vittoria. Perché i giochi proposti hanno sì una forte base matematica, sfruttabile da chi è dotato di ingegno e mente analitica, ma ancora più importante è la capacità di ribaltare di continuo le alleanze per alzare la tensione a dismisura, dando origine a continui colpi di scena e a tesissime guerre di nervi, come in un appassionante thriller psicologico, e con un curioso sottotesto politico.

Le squadre sono infatti ad assetto variabile, visto che ogni giocatore può vendersi, passare improvvisamente nell’altro schieramento, fare il doppio triplo quadruplo gioco, cosa che rende ancora più esplicita la metafora del gioco come guerra simulata e, a cascata, della guerra come prosecuzione della politica con altri mezzi (per citare il trattato di strategia militare “Della guerra”, del generale prussiano Carl von Clausewitz). Non per caso il primo gioco a squadre si chiama “La minoranza delibera”, e in un’altra manche i partecipanti saranno divisi in paese del nord e paese del sud, con tanto di contrabbando e traditori della patria, per così dire.

Il tutto in un campo d’azione ristretto e costantemente monitorato dagli arbitri mascherati dell’organizzazione, chiamati Dealer, i quali a tratti sembrano palesare interessi di tipo socio-psicologico più che economico, come sarebbe lecito attendersi da chi in sostanza tiene il banco, giusto per mettere tra gli ingredienti della trama anche uno straniante pizzico di esperimento-su-cavie-umane.

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Le regole del gioco “La minoranza delibera”
Le regole del gioco “La minoranza delibera”

Proprio come nelle guerre vere, tutto ruota attorno al denaro, e al potere che esso incarna. Denaro e potere da accumulare a dismisura, mentendo in ogni modo, comprando e facendosi comprare, perché tutti hanno un prezzo, e peggio per gli onesti sprovveduti. È quasi una conseguenza che il cattivo della serie sia un ricchissimo figlio di altissimo papavero, Norihiko Yokoya (e per coprire lo spettro del potere, più avanti nella storia arriverà anche l’ambiguo leader di una setta religiosa integralista, Samue).

Yokoya, al contrario di tutti gli altri giocatori (per lo più disoccupati, freeter, mezzi falliti, protestati, indebitati che sperano di fare il colpaccio), può permettersi di avanzare di turno in turno anche accumulando debiti, al solo scopo di comprare prima o poi tutti gli altri concorrenti, o di stroncarli a furia di rialzi continui della posta, oltre che con la sua diabolica abilità di giocatore.

Yokoya esercita il suo potere
Yokoya esercita il suo potere
La prima apparizione di Samue. Uno sguardo davvero in tralice
La prima apparizione di Samue. Uno sguardo davvero in tralice

Ma sulla sua strada c’è Nao Kanzaki, che con il procedere delle manche riesce per fortuna a evolvere come personaggio fino al punto di fare della sua onestà una strategia per tentare di vincere. Solo che, per lei, vincere significa permettere a quanti più giocatori possibile di uscire dal gioco senza debiti. È una pacifista radicale non per ideologia, ma per intima natura ed educazione, e quindi ancor più pericolosa: una concorrente che ritiene che il vero successo sia la salvezza di tutti e che non si debba lasciare indietro nessuno (come si legge nei comunicati stampa dei più triti politici paternalistici, solo che lei ci crede davvero), non può che essere l’antagonista naturale di Yokoya.

Determinante è il contributo del bel tenebroso Shinichi Akiyama, personaggio che per comportamenti, acume strategico – e rappresentazione grafica angelicata, con una venatura di torbido – rimanda ai protagonisti delle schermaglie mentali che innervavano la trama del più celebre Death Note. Ma le somiglianze tra i due manga finiscono qui, visto che oltretutto Liar Game è sostanzialmente privo di azione che non sia quella simulata dei giochi, e per questo abbastanza povero di sfondi, con un segno elegante che procede per sottrazione e si concentra per lo più sui volti e la recitazione dei tanti giocatori, a individuare anche la minima increspatura del viso che possa far capire se le parole pronunciate da un concorrente corrispondano alle sue reali intenzioni.

Non va dimenticato che i Dealer si nascondono dietro una maschera. Per vincere il Liar Game ci vuole ben altro che una semplice faccia da poker.

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