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FocusProfiliLo sguardo di Rocco Lombardi, fra terra e materia

Lo sguardo di Rocco Lombardi, fra terra e materia

In occasione della decima edizione del festival Crack – Fumetti Dirompenti e della giornata M.U.Ro Day, a sostegno del progetto di arte urbana che coinvolge il quartiere del Quadraro a Roma (organizzata da David Vecchiato), abbiamo scambiato qualche parola con Rocco Lombardi, cofondatore con Simone Lucciola della etichetta autoprodotta Lamette Comics, e autore di diversi libri: Campana (scritto con Simone Lucciola), Alberico, e la raccolta antologica di illustrazioni Fieranera. Autore spesso legato a una tecnica considerata particolarmente impegnativa – lo scratchboard – Lombardi ha vinto l’anno scorso uno dei maggiori riconoscimenti nel mondo del fumetto italiano, il premio Boscarato come Migliore Disegnatore, assegnato dal Treviso Comic Book Festival per il suo lavoro su Alberico.

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I tuoi ultimi libri sono tutti in bianco e nero o con pochi colori, lavorati con la tecnica dello scratchboard che richiede l’incisione su una superficie nera per far emergere le luci, ovvero il bianco. Spesso, inoltre, sono senza testo. Per raccontare la vicenda umana di Campana questa predominanza di nero è comprensibile. Non trovi, però, che questa tecnica trasmetta comunque un immaginario cupo, in contrasto con altre tue storie e illustrazioni più bucoliche (tra cui la serigrafia che hai presentato per questa edizione del Crack)?

Non penso che la mia tecnica sia cupa. Trovo che sia quella che più mi corrisponde: tra tutte le tecniche di disegno che ho utilizzato, è quella che mi permette di realizzare le immagini più forti, più riuscite. È anche una tecnica che dà il suo meglio in assenza di testo. Per quanto riguarda ovviamente le mie storie, almeno. Se realizzassi tavole con altre tecniche più veloci, più fresche – matite, acquerelli – allora potrei inserire il testo. Ma penso che il tempo stesso impiegato nella realizzazione delle mie tavole con questa tecnica mi porti a renderle autosufficienti, evocative e comunicative senza parole. Funzionano meglio, in questo modo. Dopodiché, sto lavorando da diverso tempo ad una nuova storia, anche perché in questo caso vorrei proprio lavorare sul testo scritto. E non è semplice trovare un equilibrio tra i due aspetti.

Per quanto riguarda il lato più bucolico e naturalistico, forse sì: nelle mie tavole c’è della cupezza. Ma è quella della natura minacciata, della natura in pericolo, proprio come succede nella storia di Alberico. Sicuramente il mio è uno sguardo preoccupato, per quello che succederà in futuro e per quello che possiamo fare noi per intervenire.

Il tuo libro sul poeta Dino Campana, più che una biografia, pare un percorso grafico che “esplora” un intreccio: quello tra la sua vita e la poesia. La vita di Campana è stata segnata da molti eventi, i rapporti famigliari, l’irrequietezza, la febbrile produzione, lo squilibrio mentale, il vagabondaggio, il carcere, il manicomio. Come hai voluto descrivere una vicenda umana e artistica legata ad elementi viscerali, e caratterizzata da tanta discontinuità?

Quello che dici è vero: ci siamo affidati all’efficacia e al carattere evocativo del linguaggio per immagini anche per raccontare quello che è difficile spiegare con le sole parole. L’interesse per Campana e per il progetto, portato avanti assieme a Simone Lucciola, risale al 2006. Nella sua prima forma abbiamo lavorato su 16 tavole che abbiamo usato come presentazione per diversi editori. In quel periodo mi ero appena avvicinato alla tecnica dello scratchboard, che poi abbiamo utilizzato per l’intero volume. Io e Simone abbiamo stampato la prima edizione con la nostra produzione Lamette, nel 2008.

Ho voluto da subito che il volume fosse in bianco e nero e realizzato con questa particolare tecnica, anche perché stavo studiando il lavoro di alcuni illustratori dei primi decenni del Novecento, contemporanei di Campana, dei quali mi aveva colpito la potenza comunicativa: Frans Masereel e Lynd Ward, tra gli altri. Autori che usavano tecniche come la xilografia e che raccontavano storie senza l’utilizzo del testo. Ho trovato perfetto questo stile, per la capacità evocativa e la quasi contiguità temporale con le vicende biografiche di Campana.

Nel 2011 Giuda Edizioni ha pubblicato una versione aggiornata del lavoro: l’ultima edizione di 80 pagine, ulteriormente arricchita, è uscita quest’anno, con la consulenza di diversi esperti, tra cui Gabriel Cacho Millet, uno dei massimi conoscitori dell’opera del poeta. Il percorso è stato una continua evoluzione del libro, anche perché io e Simone abbiamo sentito l’esigenza di tornare ad aggiungere tavole, integrando il libro con altri eventi della sua biografia, incontri, ricordi, immagini evocate da conoscenti e altri artisti.

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In Campana ci sono alcune tavole che mi hanno colpito. Per esempio la descrizione fattane da Giovanni Costetti, un pittore suo amico. Costetti si dichiara anche contrario alla critica: i critici d’arte non dovrebbero esistere, solo altri artisti possono valutare l’opera di un’artista, perché ne condividono l’istintività. È anche il tuo punto di vista?

Assolutamente no. Considero utile il lavoro della critica: i critici e gli studiosi hanno una visione d’insieme che gli autori, immersi nella loro opera, rischiano di perdere. Visione d’insieme e conoscenza trasversale di diversi autori. La tavola citata l’abbiamo in realtà inserita perché ci piaceva la descrizione che Costetti fa della poesia di Campana. Ne parla usando la metafora dei colori: “vede la notte viola, il sonno bleu, evita nelle ombre i neri e le terre”. Il tutto creava un bel corto circuito: il fumettista che illustra il pittore che descrive a parole i colori della poesia di Campana.

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Una seconda tavola, molto bella, illustra versi tratti da “La Verna”: Campana descrive il monte Falterona come fosse dotato di fattezze umane. Parla della montagna attraverso metafore organiche, come una grossa creatura vivente addormentata. Campana è perso nel paesaggio, immerso nel panorama da lui descritto. E il tema del paesaggio è presente in tutte le tue opere: Alberico racconta la storia di questo personaggio che indossa una maschera da picchio, impegnato nella strenua difesa di un grosso leccio, ultimo albero rimasto sulla terra e rifugio di tutti gli animali.

Sì, il tema della terra è molto presente nei miei libri. Ho continuato a leggere e studiare la poesia di Campana dopo la chiusura del volume, anche grazie agli studi di Matteo Meschiari: nel suo testo “Dino Campana, formazione del paesaggio”, Meschiari ha messo in risalto quanto gli studi antropologici e fenomenologici sul paesaggio e l’interesse crescente per l’ecologia abbiano negli anni aperto questo nuovo canale di analisi dell’opera di Campana. L’immersione e reinvenzione del paesaggio. Attraversare, esplorare, disegnare il paesaggio è anche difenderlo, farlo conoscere.

Diffondere temi ecologici: è un discorso che ti avvicina ad alcuni autori, fra quelli che intendono il fumetto come linguaggio dotato anche di una finalità sociale.

Con Marina Girardi abbiamo un progetto di laboratori itineranti – Nomadisegni – che si fonda proprio su quell’idea: tracciare percorsi in giro per l’Italia, fuori dalle mete turistiche, e portare laboratori di illustrazione, creatività e fumetto direttamente agli abitanti dei luoghi. Coinvolgerli nell’invenzione di storie disegnate li porta ad osservare veramente il paesaggio che li circonda, a conoscerlo, interpretarlo con disegni e parole. In fin dei conti, a trovarsi ovviamente più legati ad esso, più motivati alla sua protezione.

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