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Un antipatico sospetto

Si sa che non c’è niente di più interessante e appropriato a proposito dell’arte, che seguire i ragionamenti degli artisti sul proprio lavoro. E quando l’artista in questione ha una carriera lunga più di cinquant’anni e ha saputo percorrere i più svariati territori del disegno e della pittura, allora non è proprio il caso di perdere l’occasione di ascoltarne le riflessioni. Dalla tela ai giornali, dai ritratti ai paesaggi, dalla satira culturale e politica ai fumetti e all’illustrazione di grandi classici della letteratura, Tullio Pericoli costituisce un esempio di eclettismo e di coerenza al quale i giovani disegnatori non dovrebbero mancare di guardare, non solo per il suo lavoro, ma anche per la lucida capacità di analisi di esso.

Dopo la corposa recente raccolta Paesaggi, in questa densa biografia artistica in forma dialogica condotta da Domenico Rosa e pubblicata anch’essa da Adelphi, Pensieri della Mano, Pericoli ci dà la possibilità di cogliere spunti profondi, che a partire dall’atto del guardare, del disegnare, del dipingere, ci rivelano dinamiche che coinvolgono la nostra quotidianità, la nostra società, il nostro stesso essere uomini: il nostro esserlo nei secoli e il nostro esserlo in quest’epoca furiosa e inafferrabile.

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Si comincia dall’esperienza fisica del disegno e della pittura: la mano innanzitutto. È lei che permette alle visioni, alle idee, alle figure mentali di farsi concrete, di esistere. È strumento di traduzione di un processo che parte dagli occhi, ma anche essa stessa raccoglitrice di immagini, estremità ricettiva che influenza la volontà dell’artista. Si chiede appunto Pericoli se la mano non abbia una coscienza propria, un sapere, una saggezza, un metodo. L’esperienza di un disegnatore sta nel riuscire a trovare un equilibrio tra gli automatismi della mano e la guida razionale di essa, una macchina magnifica e complessa di cui bisogna provare a conoscere l’identità per accordarla all’occhio e alla mente. Quale sarà la sorte fisica della mano nel futuro quando forse anche nell’arte non servirà più?

Sarebbe interessante a questo proposito sentire l’opinione di qualche giovane disegnatore dei nostri giorni, uno dei tanti il cui lavoro inizia sullo schermo e finisce sullo schermo: che ruolo ha per lui la mano? Ha anche per lui questa importanza determinante? E poi: cosa vuol dire guardare oggi?

Ad un cero punto Pericoli dice: “Che io guardi e basta è raro. La mia è una continua traduzione di tutti i linguaggi che si manifestano nella vita reale in un’altra lingua.” Tutti i linguaggi che si manifestano nella vita reale, dice. Sarà che chi scrive ha una irrazionale (o troppo razionale) paura del digitale, un antipatico sospetto verso la stragrande maggioranza delle immagini contemporanee e della loro diffusione, ma ci si chiede: quali sono oggi i linguaggi che si manifestano nella vita reale? Quale può essere l’opera di traduzione che fa un disegnatore contemporaneo dal momento che la gran parte delle nostre esperienze percettive e conoscitive quotidiane è già mediata e tradotta? E’ un’esperienza suggestiva, interattiva e virtualmente multidimensionale finché si vuole, ma pur sempre posta sulla fredda e piatta dimensione di uno schermo. Voglio dire che mi sembra che i linguaggi da tradurre e la lingua nella quale li si traduce tendano a convergere sempre di più, a confondersi e ad annullarsi perdendo significato e appiglio al reale.

“La linea in natura non esiste” dice Pericoli, “l’invenzione della linea credo sia stato uno degli avvenimenti più sconvolgenti per l’umanità”. Da quel momento è cambiato il modo dell’uomo di vedere il mondo, che di colpo sentiva nelle sue mani. Ma ora dove siamo? Se è vero che l’invenzione della linea, il primo disegno, ha cambiato il modo di percepire il mondo, cosa sta succedendo oggi? Come guardiamo il mondo? È possibile rendersene conto?

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Secondo Pericoli il grande disegnatore Saul Steinberg ha analizzato la linea come farebbe uno psichiatra con un paziente: ce l’ha presentata come una persona reale e poi ce l’ha consegnata “insieme ai problemi, alle incertezze, alle nevrosi e alle civetterie di un essere fragile e capriccioso”. Che si sia infine la linea ribellata al nostro controllo? Che da uomini con in mano il mondo siamo forse diventati uomini nelle mani della linea?

Damiano Pergolis // Hamelin Associazione Culturale

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