Sono andato al Treviso Comic Book Festival per intervistarlo, ma alla fine non ce l’ho fatta. Eppure Fumio Obata è stato il mio primo e ultimo pensiero, nei due giorni trascorsi nel profondo (almeno per me) Nord-Est. Avevo letto il suo libro, Si dà il caso che (Bao Publishing, 2014), che mi ero studiato per benino, ed ero pronto a fargli le mie domande. Per intenderci: volevo chiedergli anche dei Duran Duran, per i quali nel 2004 aveva creato una clip in stile anime del loro vecchio singolo del 1981, Careless Memories, e un altro video per il tour del 2005 (le pagine Wikia della band ne sanno più di Wikipedia). Ma alla fine – a parte una stretta di mano, un inchino (con un giapponese, ci mancherebbe) e due parole scambiate al volo – non sono riuscito a chiedergli nemmeno da dove avesse preso spunto per il libro. Né se la storia avesse direttamente a che fare con lui stesso. Se ci fosse, insomma, un qualche riferimento autobiografico nel racconto di Yumiko, oppure fosse stato tutto frutto della mia fantasia, e della mia spiccata abilità di dietrologo.
Si dà il caso che mi ha convinto subito. Innanzitutto per i colori e per i disegni, che sono un esempio chiarissimo di quello stile ibrido di cui Obata è un degno rappresentante: né totalmente occidentale, ma nemmeno poi così orientale; con una fisionomia dei personaggi più realistica (occhi allungati per gli asiatici e facce meno belle per gli europei) e una storia che è più calibrata, più studiata, di quelle – certe volte – ridondanti e appesantite della produzione fumettistica giapponese. Obata, insomma, è l’eccezione. E Si dà il caso che è la dimostrazione che le eccezioni alle regole, anche nel fumetto, sono spesso più eccitanti delle regole stesse.
Dall’Inghilterra al Giappone e ritorno: Yumiko, la protagonista del graphic novel di Obata, deve ritornare a casa per i funerali di suo padre e per l’occasione rincontrerà anche sua madre, la donna che più di ogni altra l’ha ispirata. Al centro della sua storia, il terribile dilemma: è tutto giusto quello che ho fatto fino ad ora? Oppure ho sbagliato? L’emancipazione è veramente tutto quello che una donna – una donna giapponese – potrebbe volere dalla vita? O rimettersi ad un uomo, alle sue cure, non è poi così sbagliato? In altre parole: è meglio la tradizione o l’innovazione? Avrei voluto chiedere anche questo ad Obata. Ma appunto, niente.
Quindi ho deciso di scrivere questa lista: “i cinque buoni motivi per leggere Si dà il caso che”. Che un po’ riassume ciò che ho trovato interessante in questo libro, e quelli che sono i punti di forza del suo autore.
5. L’edizione
Copertina rigida, pesante, buona impaginazione, meno convincente il lettering; però, in definitiva, un buon prodotto. Non è vero che non si giudica dalle apparenze. Anche l’occhio vuole la sua parte. E all’ultimo gradino dei cinque buoni motivi per comprare il libro di Obata, c’è questo: l’edizione. Come il libro si presenta. Bao Publishing fa attenzione ai dettagli, come sempre.
4. Il messaggio
Chiamiamolo così, per capirci: il “messaggio” del libro. Che credo che sia la cosa più importante, ma metto solo qui perché, non avendone discusso con Obata, non sono certo sia proprio questo. E cioè: l’emancipazione femminile, unta al coraggio che serve per rincorrere i propri sogni. Quanto è importante il sostegno – o all’opposto, il mancato appoggio – dei propri genitori. Siamo veramente chi vogliamo essere o alla fine, tristemente, ci limitiamo a seguire quello che la società ha già deciso per noi?
3. I disegni
L’ho già detto, ma lo ripeto: i disegni di Fumio Obata mi hanno piacevolmente colpito. Perché sono una via di mezzo, che non distorce né esagera, tra lo stile occidentale e quello orientale. In un certo senso, è più realistico di entrambi, presi singolarmente, ma pure, allo stesso tempo, più originale e fresco. Alcune tavole si fanno apprezzare per l’impostazione che ha voluto dare l’autore, mentre altre, semplicemente, si fanno adorare per i colori. E il colore non è un orpello, quando c’è il talento.
2. La storia
In alcuni momenti ho pensato che Obata avrebbe potuto andare più a fondo. Ma alla fine mi sono dovuto ricredere: va bene così. È una storia che si svolge in un arco temporale piuttosto limitato, quella di Si dà il caso che. E anche se è ambientata tra Inghilterra e Giappone e i personaggi sono tanti, dà i giusti spunti di riflessione. È il racconto di un viaggio – inteso non solo in senso materiale, ma anche psicologico – di una giovane donna che non sa se le sue decisioni sono sempre state giuste. E come tutti i buoni viaggi, non conta solo per la meta.
C’è il conflitto interiore che tutti, prima o poi, dobbiamo affrontare. Ci sono tante domande, forse più delle risposte, a cui alla fine, per forza di cose, lo stesso lettore finisce per sottoporsi. Anche per questo si può dire che le vicende si chiudono con un’apertura – perché alla fine, veramente, non si capisce qual è la sua conclusione: Yumiko è veramente convinta della decisione che ha preso? Di certo, un racconto piacevolmente auto-riflessivo.
1. Fumio Obata
Ha conquistato tutti al Treviso Comic Book Festival: per la sua simpatia, la sua disponibilità e soprattutto – per quanto possa sembrare bizzarro per un giapponese – il suo spirito verace. Appena arrivato, la prima cosa che ha fatto – prima di sedersi dietro al tavolo di Bao Publishing per disegnare – è stato fare un giro per gli spazi del festival. Foto a tutti e a tutto, come un qualsiasi appassionato, prima ancora che un autore. E di questo bisogna dargli atto. Ma è stato semplicemente incredibile quando ha cominciato a lavorare alle sue dediche, e quando per un bicchiere di spritz è collassato fuori dalla Camera di Commercio, braccia conserte e testa ciondolante. Un piccolo grande uomo che ha subito saputo conquistarsi la sua fetta di pubblico – e il suo libro, nei giorni del festival, è andato praticamente esaurito.