Come ha scritto Umberto Eco, “non vi è nulla di più inedito di ciò che è già stato pubblicato”. Il semiologo si riferiva in quella frase alla sinistra caratteristica che hanno opere quali I protocolli dei sette savi di Sion(e altri simili pericolosissimi falsi), ovvero di ripresentarsi ciclicamente come nuovi ed essere – una volta di più – creduti come verità *pericolose*, tenute nascoste fino a quel momento proprio per questo.
Quello di Eco è, insomma, un paradosso sinistro. Eppure, potremmo ritenerlo in qualche modo applicabile ad alcune ristampe di fumetti. Per nostra fortuna, opere ben più pacifiche. Nel panorama odierno, infatti, esistono numerose ristampe che sono ben più della semplice riproposta del già noto (o già pubblicato).
Si prenda Preludes and Nocturnes, lo story arc iniziale del Sandman di Neil Gaiman. Siamo sicuri che raccogliere in volume i primi otto episodi della serie sia solo un’opera di assemblaggio di vecchio materiale? Oppure nel fumetto, stante la preminenza della componente visiva su quella letteraria, il formato e la qualità di carta e stampa sono un quid essenziale, capace di modificare la ricezione dell’opera da parte del lettore, per non parlare del diverso tempo di lettura?
Una ristampa in volume può essere più della semplice somma delle parti che lo compongono, e diventare inedita e originale anche solo per come presenta quello che contiene. Basta guardare il Fanfulla di Milani e Pratt, pubblicato da Rizzoli Lizard nel 2013. Certo, è materiale già apparso (a puntate) sul Corriere dei Piccoli negli anni ’60. Ma non è forse (anche) un inedito, viste le dimensioni, la qualità di stampa, la cartotecnica, la cura editoriale? E che dire di V for vendetta che, ristampato nel grande formato e nel bianco e nero lancinante realizzato originalmente da Lloyd per la pubblicazione su rivista, sembra (è) un’altra opera, rispetto alle precedenti edizioni a colori? E L’Eternauta restaurato da 001 Edizioni, restituito al formato orizzontale delle origini, non è un (quasi) inedito, e nel vero senso della parola?

Ma anche se tutto è ristampabile, non tutto è ristampabile come inedito, per insistere col paradosso. Ripubblicare un’intera serie nello stesso formato della prima edizione, per esempio, in linea di massima non comporta alcuna variazione significativa da questo punto di vista. Non sarà magari una ristampa anastatica propriamente detta, perché i redazionali saranno aggiornati e il lettering forse rifatto, ma si tratterà lo stesso di un’operazione di valore più storico-filologico che culturale. Non fosse altro perché, così facendo, ci si condanna a ristampare tutto, anche ciò che si sa benissimo essere oramai irricevibile, per ingenuità o modestia di scrittura e di disegno.
La ristampa integrale corre sempre il pericolo di assomigliare a Funes “el memorioso”, il protagonista dell’omonimo racconto di Jorge Luis Borges, il quale ricordava ogni singola cosa senza distinzione alcuna, ma questa sua incapacità di selezionare che cosa ricordare lo condannava a essere sostanzialmente un idiota. Savant, ma sempre idiota. Che senso ha infatti ristampare tutto Spiderman? Oltre alle storie di Steve Ditko, perché rimettere in circolo anche quelle di Al Milgrom & Jim Mooney, se non per puntare al pubblico dei Marvel Zombies affetti da completismo?
In Italia, sul fronte ristampe si è spesso proceduto in maniera conservativa, puntando alla semplice periodica rimessa in circolo della propria produzione, contentandosi di vendere qualche altra copia dando alle stampe materiale dal costo già ammortizzato, senza fare alcuna selezione per separare ciò che merita essere ricordato da quel che può essere obliato, per dividere i veri classici mitopoietici dell’avventura nazional-popolare dalle stanche rimasticature di soggetti usurati.
Bonelli Editore, per esempio, ristampava periodicamente una qualche serie, dall’inizio e nello stesso formato originale, senza quasi modifiche; e se contemporaneamente concedeva i diritti – chessò – a Mondadori per ristampare alcune singole storie in volumi cartonati di grande formato, la loro eccezionalità era sottolineata dal fatto che i volumi uscivano solitamente a Natale, e venivano perciò chiamati volumi-strenna.
L’altra grande realtà produttiva italiana, ovvero Disney nelle sue varie incarnazioni, assemblava nei Classici e nei Grandi Classici, apparentemente a casaccio, le storie più disparate e dissimili per autori, tematiche, qualità e periodo di realizzazione, e solo di rado apparivano sugli scaffali volumi di senso compiuto.
Oggi, però, qualcosa sembra essere cambiato. La Disney italiana negli ultimi anni – e sempre di più a partire dal nuovo corso Panini – va puntando anche e soprattutto su dei “monografici” dedicati ai migliori tra i “Disney italiani”, da Silvia Ziche a Tito Faraci, da Corrado Mastantuono a Casty, per non parlare dell’incredibile ristampa dell’opera omnia di Romano Scarpa (in collaborazione con RCS).

I movimenti potenzialmente più interessanti sono però quelli di casa Bonelli. Innanzitutto, per quel che riguarda le edizioni in licenza, negli ultimi tempi hanno fatto la comparsa anche alcuni tomi che puntano più su una sorta di politique des auteurs che sul mito immarcescibile di Tex, o Dylan Dog che sia. Ecco allora Rizzoli-Lizard con la collana Archivi Bonelli, che nei due cartonati finora pubblicati ha dato un buon esempio delle qualità affabulatorie di Guido Nolitta (Sergio Bonelli) e di Tiziano Sclavi. Oppure i volumi Bao Publishing, che ripresentano con una veste editoriale e un apparato redazionale curatissimi alcune storie bonelliane di forte impatto visivo, con l’ambizione di realizzare la versione director’s cut delle storie originali.
E poi ci sono le novità ‘interne’ al catalogo di via Buonarroti. Come sempre, il cambiamento si palesa a partire dall’universo narrativo di Martin Mystère (ovvero Alfredo Castelli), che delle innovazioni in seno alla casa editrice è sempre stato l’incubatore e la cartina di tornasole: primo eroe bonelliano ad avere uno speciale estivo in maniera continuativa; primo ad avere un almanacco annuale dedicato, per metà fumetto e per metà articoli di approfondimento in tema con la serie; primo a godere di una ristampa davvero riveduta e corretta, “Tutto Martin Mystère”; primo a generare non uno, ma addirittura due spin-off, “Storie di Altrove” e “Zona X”.
E proprio Zona X è riapparsa in edicola in questa piovosa estate, dopo circa vent’anni di assenza, e in una veste editoriale inedita per una ristampa bonelliana (a parte una piccola eccezione).

La serie originale era composta di volumi quadrimestrali di 192 pagine, e presentava ogni volta due racconti senza personaggi ricorrenti (almeno inizialmente), la cui atmosfera voleva rimandare alla famosa serie televisiva americana Ai confini della realtà. Martin Mystère si limitava solitamente a introdurre l’episodio, più raramente prendeva parte alle storie che raccontava. Alfredo Castelli ha accortamente selezionato tre storie fra quelle interpretate dal suo alter ego cartaceo, apparse tra il 1992 e il 1993, scritte da lui e disegnate con bravura da Corrado Roi e Luigi Siniscalchi, le ha accompagnate con alcuni redazionali di approfondimento e ha assemblato un malloppo di quasi 300 pagine.
Quelle stesse tre storie, che ai tempi della prima edizione finirono quasi inosservate nel marasma qualitativo della non-serie Zona X, messe una dietro l’altra danno vita a una trascinante cavalcata nel fantastico, nella quale la generosità narrativa la fa da padrona, visto che uno sceneggiatore più sparagnino e calcolatore di Castelli dagli stessi spunti avrebbe tratto almeno il doppio delle pagine. Il Buon Vecchio Zio Alfredo, invece, ha fatto quel che sa fare meglio: da un lato gioca con l’immaginario preesistente divertendosi a proporre e bruciare in poche pagine alcuni classici soggetti con ribaltamento finale, solo per mostrare quel che NON racconterà in seguito; dall’altro può dare libero sfogo alla sua vera specialità: arzigogolare su congegni usurati, per poi incredibilmente imbastire una variazione personale, con un ulteriore finale a sorpresa, al quale – spesso e volentieri – nessuno aveva ancora pensato.
È trasparente il piacere con cui Castelli si prende gioco delle convenzioni narrative e delle aspettative del lettore, con preterizioni ironicamente verbose che si alternano ad accelerazioni improvvise e giochi meta-linguistici. E si diverte non poco il lettore, nel vedere il Detective dell’Impossibile protagonista di racconti narrati da lui stesso, ambientati in mondi dove non esiste la scrittura, o dove magia e religione convivono, col fare divertito di chi sa di interpretare un ruolo differente dal solito e si può permettere una buona dose di ironia anche licenziosa. Ed ecco Martin e il fido Java allegramente impegnati in un’orgia in un bordello, o Diana che entra nelle Suore dell’Aureo Silenzio (ordine fondato da Lady D), tanto per fare un esempio.
Ma Castelli castigat ridendo mores, e non sono poche le questioni serissime messe sul tappeto con fare noncurante e sulle quali Martin-Alfredo riflette con pacata (e laica) ironia: il rapporto tra media e orientamento del consenso, quello impossibile tra ragione e religione, e niente meno che l’eterno conflitto tra il bene e il male.

Insomma, una splendida ristampa, che cogliendo fior da fiore rende al lettore un servizio molto migliore di quello ottenibile ristampando “Zona X” esattamente come era.
Alcuni anni fa, corse voce che Bonelli Editore stesse pensando a ristampe differenti dalle solite, con le migliori storie dell’immenso serbatoio della casa editrice raccolte e/o accorpate in volumi completi di ampia foliazione. La voce si era poi rivelata infondata, ma questo “Bentornato in Zona X” sembra un piccolo passo in quella direzione. Se a ciò aggiungiamo che l’Almanacco dell’Avventura 2014 (l’eccezione cui accennavo) ristampava tre storie di Sergio Toppi – e Decio Canzio – apparse 30 anni fa all’interno della collana Un uomo, un avventura, e che l’Almanacco successivo ha ristampato tre bei fumetti di Gino D’Antonio, forse ci aspetta un futuro interessante. Fatto di ristampe mai viste.