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FocusProfiliTito Faraci e Silvia Ziche ritornano all'Inferno, dopo 15 anni

Tito Faraci e Silvia Ziche ritornano all’Inferno, dopo 15 anni [Intervista]

Nel 1999 Tito Faraci e Silvia Ziche, già allora affermati autori Disney, realizzarono una storia muta intitolata ¡Infierno!, che raccontava la discesa all’Inferno di un boss mafioso, con conseguenze decisamente inaspettate per i diavoli e demoni. Ora, dopo 15 anni, quella storia ha avuto un seguito: ¡Infierno! 2, pubblicato da Rizzoli Lizard lo scorso novembre (contenente anche la prima storia, ormai esaurita e irreperibile da tempo).

Per l’occasione Adriano Ercolani e Andrea Tosti hanno realizzato un’intervista incrociata ai due autori, esplorando il rapporto simbiotico di una delle coppie più collaudate del fumetto nostrano.

Leggi un estratto da ¡Infierno! 2

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Crediamo sia sempre interessante conoscere come un autore possa giudicare ed approcciarsi nuovamente a una sua opera a distanza di tanti anni. Quali sono le vostre considerazioni riguardo questo libro, che è in parte una ristampa e in parte proseguimento di Infierno?

Tito Faraci: Certo. Innanzitutto, vorrei chiarire: si tratta di Infierno 2. Con l’editore abbiamo deciso di inserire anche la prima parte di quindici anni fa. Sia perché è diventato abbastanza difficile reperirla, sia perché in questo modo offrivamo al lettore un volume più corposo. Il volume originario era nato all’epoca in cui Daniele Brolli aveva la casa editrice Phoenix, che ha avuto un ruolo importante e seminale per molti aspetti. C’era una collana chiamata No Words, una sua idea, che consentiva di proporre i libri in tutto il mondo, non essendoci parole. L’unica regola era appunto questa: storie prive di dialoghi. Avevamo cominciato io e la Ghermando. Io, appunto, iniziai con Silvia Ziche. Ci conoscevamo relativamente da poco, non c’era ancora il sodalizio molto collaudato che c’è ora.

Devo dare atto a Daniele Brolli di aver intuito le potenzialità della nostra collaborazione. Chiacchierando al telefono ci è venuta questa intuizione riguardo la storia, molto lontana dal tipo di umorismo che eravamo soliti esprimere per la Disney. Se devo fare un confronto, dire che cosa è cambiato da allora,  sottolinerei come  all’epoca molti mi venivano a dire: “ma allora tu cosa hai fatto?”, poiché non c’erano dialoghi! Invece, è stata probabilmente la sceneggiatura più difficile che avessi mai realizzato, forse anche in prospettiva futura. Oggi nessuno me lo chiede più. Vuol dire che nel frattempo le persone hanno capito che cosa vuol dire sceneggiare, hanno compreso che il dialogo è solo una parte del lavoro. La parte più importante è quella di costruire la scena.

Silvia Ziche: Ho riletto Infierno per la prima volta dopo parecchi anni, per riprendere la mano con i personaggi e il loro mondo. Il lavoro di Tito, lo sapevo già, era ottimo. La distanza temporale mi ha ammorbidita anche riguardo a me stessa: ho lasciato perdere la feroce autocritica che applico a tutti i miei lavori recenti, e sono riuscita a vedere quello che c’era di buono. Il divertimento, la spontaneità di  un vecchio lavoro. Da lì sono partita, per rievocare e poi andare oltre.  

Avete intenzione di proseguire o ipotizzate un Infierno 3?

SZ: L’abbiamo già ipotizzato. Ora bisogna vedere se tra tutti gli impegni che entrambi abbiamo riusciremo a farlo prima o dopo altri quindici anni.

TF: La storia lascia la possibilità di andare avanti. Certo, è un lavoro molto faticoso. Sicuramente anche per Silvia, direi in questo caso in particolare per me perché, appunto, costruire una storia senza dialoghi, una serie di gag mute non è facile. Si tratta di una storia che ha una sua struttura, una sua circolarità, colpi di scena che vengono ripresi nel finale alludendo ad episodi iniziali, che rispetta tutti i parametri della commedia, insomma una struttura non semplice. La possibilità comunque c’è.

L’esperienza che avete accumulato negli anni vi ha donato un approccio diverso nei confronti della materia narrativa?

TF: Stavolta ho faticato di meno, non perché non sia stato impegnativo ma perché, nel frattempo la mia “cassetta degli attrezzi”, come la chiamerebbe Stephen King, si è riempita, dunque ho potuto applicare numerose soluzione che ho collaudato in altri fumetti.

SZ: Penso un approccio più consapevole. Almeno per quello che mi riguarda. L’esperienza mi aiuta a capire quello che in una storia funzionerà. Poi le insicurezze ci sono ancora, ma riesco a fidarmi di quell’intuizione che all’inizio mi è sembrata buona. So che se l’idea iniziale mi è piaciuta un motivo c’è, anche se poi lo perdo di vista. E mi aggrappo a quella certezza.

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Che cosa è cambiato nella vostra collaborazione in questi 15 anni, in cui è stata affinata nelle esperienze disneyane? 

TF: Infierno era stato molto importante per me perché rappresentava la mia prima esperienza autoriale, per intenderci al di fuori del fumetto popolare. Io e Silvia, che ci eravamo già trovati bene a lavorare insieme per la Disney, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci meglio anche da un punto di vista umano. Ci telefonavamo, ci scrivevamo tanto, molte cose erano difficili da spiegare con la mera sceneggiatura quindi le parlavo molto per rendere le idee. Questa sceneggiatura di Infierno 2 non è stata per me un punto d’arrivo, ma di ripartenza.  Oggi ci conosciamo bene, siamo molto amici, siamo affiatati, è scattato fin da subito, come nella scherzosa prefazione, un confronto continuo, abbiamo cambiato anche in corsa, ma sempre con grande affiatamento.

SZ: Non riesco a rispondere a questa domanda. Non so se sia cambiato qualcosa, a parte una raggiunta quasi consapevolezza, e vari anni in più sulle spalle. Mi sembra che il nostro feeling sia sempre lo stesso. Ridiamo delle stesse cose. Se Tito accenna una battuta o una gag, capisco subito dove andrà a parare e comincio a ridere. Quando leggo una sua sceneggiatura, vedo già come potrò rendere al meglio la comicità della situazione. E quando lui scrive per me non perde tempo in descrizioni troppo minuziose: evidentemente affondiamo le radici in un immaginario comune, o in ogni caso molto simile. Non c’è nessun rischio di essere fraintesi.

Difficile, infatti, è immaginare un altro autore su questo libro o su altri che avete realizzato insieme. Siete d’accordo?

TF: Per me è impossibile. Questa cosa la potrei fare solo con Silvia Ziche. In questo caso, siamo una coppia di autori che lavora come un autore solo. Una scena l’abbiamo cambiata al telefono per strada, mentre io ero in stampelle! Lei mi ha chiamato, io ho poggiato le stampelle contro il muro, l’ho richiamata, e le ho descritto la scena come mi è venuta nella mente, mentre lei la disegnava, direttamente. Parliamo di due tavole, riconcepite durante una chiacchierata al telefono.

SZ: Sì. Anche se con questo non voglio dire che con un altro disegnatore la storia non avrebbe funzionato. Sarebbe stata sicuramente fantastica, ma diversa. Ogni individuo, e quindi ogni autore è unico, particolare nella sua unicità. Ma la cosa vale anche per le coppie autore-disegnatore. Il rapporto tra i due è sempre unico, e produce storie uniche. Irripetibili con un altro autore o disegnatore. Non migliori, né peggiori: semplicemente uniche.

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