Questo articolo doveva intitolarsi “Mio nonno ha inventato il romanzo grafico” ma, per come la girassimo, questa cosa risultava sempre un pochino tirata per i capelli. Non che il protagonista non sia effettivamente mio nonno, il padre di mio padre, non che non sia stato tra i primi a dire e fare certe cose, però insomma, stiamo calmini. Forse la cosa più semplice è raccontare questa storia e lasciare che sia il lettore a giudicare.
La storia di Giulio Cesare Ventura è la storia di un uomo di trentasei anni che, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, decide di diventare editore. Da principio editore di romanzi (sei all’appello) e poi molto presto editore di qualcos’altro, di una cosa relativamente recente, di una cosa per la quale in Italia non esiste una vera parola: o meglio esistono diverse parole, diversi gruppi di parole, ma nessuna parola istituzionale, fissa, ufficiale. E nei pochi anni della sua attività, come vedremo, Ventura continuerà a sperimentare parole differenti per definire questo “medium senza nome” dai confini incerti: ed è soprattutto sulle sperimentazioni linguistiche, sugli esercizi di definizione, che è interessante concentrarsi.
L’editore Ventura, lo avrete capito, nel settembre 1945 inizia a pubblicare dei fumetti, come verranno poi definiti a partire dagli anni Cinquanta, anzi per la precisione degli albi come vengono chiamati all’epoca: gli Albi della Ventura — si apprezzi il gioco di parole. Il piccolo formato panoramico, la paginazione più esigue di quella di un romanzo e la copertina illustrata a colori con scene d’azione sono indizi che permettono al potenziale acquirente, in edicola, di distinguere un albo da un romanzo o da una rivista. Gli Albi della Ventura sono settimanali e fino all’aprile 1946 alternano due serie: adattamenti di grandi classici letterari una settimana e una serie originale, I due Pat, la settimana successiva. Dall’aprile 1946 al gennaio 1947, gli albi presentano esclusivamente adattamenti letterari, per poi ricominciare ad alternare di settimana in settimana adattamenti e creazioni originali (la Serie K) fino al marzo 1947, quando la serie s’interrompe e la casa editrice si avvia alla chiusura. Le ultime pubblicazioni, raccolte di storie già contenute negli albi, datano del novembre 1947. Al termine dell’avventura, in meno di due anni la Ventura avrà pubblicato sessanta albi, dieci raccolte e dieci numeri della rivista bilingue Per voi! For you!.
L’idea di adattare a fumetti dei grandi classici letterari è relativamente originale e può essere considerata come la prima grande invenzione di Ventura, la cui idea di fumetto è sempre legata alle potenzialità educativa del medium. Al ritmo di quasi una tavola al giorno per un anno, la coppia Antonio Messina (ai testi) e Lina Buffolente (ai disegni) firma gli adattamenti delle opere più popolari di Alexandre Dumas (I Tre Moschettieri, Vent’anni dopo, Il visconte di Bragelonne, Il conte di Montecristo) oltre che dei Miserabili di Victor Hugo. Si tratta delle prime prove per la Buffolente, che sarà la più importante e prolifica fumettista donna della storia del fumetto italiano e che deve il suo reclutamento a Giuseppe Cappadonia, grande cartellonista pubblicitario per Pirelli e Campari, già disegnatore per L’Intrepido e quindi direttore artistico della Ventura. Alla fine del 1946, la Buffolente viene sostituita da Francesco Pescador, che assieme ad Antonio Mancuso adatta La Freccia nera di R. L. Stevenson e La spada invincibile del meno noto Amédée Achard, contemporaneo di Dumas.
Tra un adattamento e l’altro, la Ventura tenta di proporre delle creazioni originali alla scrittura delle quali si applica direttamente Giulio Cesare Ventura sotto l’esotico pseudonimo di Arutnev. Se prima della guerra le avventure degli eroi più celebri erano pubblicate su rivista, a partire dal 1945 comincia a imporsi la formula dell’albo dedicato a un singolo personaggio. Nel caso della Ventura, che pure precorre questa moda, gli eroi sono più d’uno: I due Pat, coppia di avventurieri americani che hanno lo straordinario potere di assomigliarsi come due gocce d’acqua. Sembra una cosa da nulla, ma può rivelarsi molto pratico per sconfiggere un ipnotista o una banda di gangster.
Tra gennaio e marzo del 1947, Ventura pubblica sei albi Serie K, composti ciascuno da due “emozionanti racconti completi” che spaziano dal western alla fantascienza, scritti da un team di sceneggiatori: il solito Arutnev, A. Medici e il più celebre Luigi Grecchi, che negli stessi anni scrive anche per L’Intrepido e Grand Hotel. Altri due autori sono segnalati sulle copertine, ma è lecito ipotizzare che si tratti di due pseudonimi per via del nome americaneggiante: J. P. Gray e Christian Worth. L’utilizzo nel nome della serie della lettera K, che non esiste nell’alfabeto italiano, fornisce un ulteriore tocco di esotismo e potrebbe far riferimento alla “razione K” di cui si nutrivano i soldati americani.
Americani sono i protagonisti e d’ispirazione americana pure le avventure, veri e propri spaghetti comics. In effetti è impossibile separare la storia del linguaggio-fumetto dal contesto dell’influenza statunitense sull’Italia nel dopoguerra, impossibile non ricondurre la diffusione di questo medium, tutt’altro che neutro, alla fascinazione dei giovani italiani per la cultura dei liberatori. Impossibile, più generalmente, isolare le vicissitudini del fumetto come forma da quelle del fumetto come contenuto, cioè come immaginario, atlante di luoghi della memoria, archivio di tipi, topoi e anche topi. Nell’Italia del 1945, gli albi a fumetti sono già il segno di una “domanda d’America” che avrebbe fatto da terreno fertile all’imperialismo morbido del piano Marshall. La produzione fumettistica dell’epoca ne testimonia, con i suoi eroi mascherati e i suoi cowboy, e in questo senso l’intuizione di Ventura va pienamente nel senso della storia.
Nel gennaio del 1946, Ventura lancia addirittura un “settimanale sceneggiato” a fumetti bilingue italiano-inglese, Per voi! For you!, un progetto didattico per insegnare agli adulti una lingua che poteva essere utile nel nuovo contesto geopolitico. L’idea è buona sulla carta, ma il risultato probabilmente troppo macchinoso per avere fortuna. Qualche mese dopo, Guido Martina tenta un esperimento simile con “The Promised Spouses” sugli Albi di Topolino.
Gli albi della Ventura trovano una seconda vita nelle raccolte ottenute rilegando le rese dei singoli fascicoli e riciclando le copertine come “tavole a colori”, ritagliate ed incollate a mano da Ventura con l’aiuto del figlio Sergio, che all’epoca aveva 12 anni. Si tratta di volumi brossurati, con una paginazione importante e una copertina in bicromia (rosso e blu) lontana dai codici multicolori degli albi a fumetti. Quello che colpisce soprattutto è la dicitura “romanzo completo” in evidenza, seguita da una menzione del numero di disegni (seicento), che sarebbero poi le vignette che compongono il fumetto. La stessa notazione “romanzo completo” appariva sulle copertine degli albi dell’Intrepido della fine degli anni Trenta, sui quali lavorava Giuseppe Cappadonia: allora come dieci anni dopo come oggigiorno, si tratta di “legittimare” un fumetto chiamandolo con un altro nome e presentandolo anche fisicamente in un altro modo, assimilandolo a un genere più nobile. All’epoca, questa operazione esibisce la natura ancora in sé estensibile, per così dire, del termine “romanzo” prima che s’iniziasse a regolarne più precisamente l’uso per distinguerlo propria dal fumetto. Di tutta evidenza, Ventura poteva ancora permettersi quel piccolo scarto rispetto alla norma perché la norma restava flessibile. Mutatis mutandis, nel 2014 la partecipazione di un fumetto a un importante premio letterario suscita invece sorpresa ed entusiasmo.
Sulla copertina della rivista Per voi! For you! la paternità del fumetto Nadia viene attribuita al solo Arutnev, seguendo appunto una concezione “letteraria” del fumetto secondo la quale il disegno non sarebbe altro che un’illustrazione del testo. La disegnatrice è beninteso accreditata all’interno dell’albo, dove tuttavia Arutnev si attribuisce “romanzo e regia”, con una metafora cinematografica che sembra far riferimento al lavoro di découpage e alla scelta delle inquadrature. I riferimenti al cinema sono dappertutto in questo fumetto che intende mimare i melodrammi hollywoodiani come La fiamma del peccato di Billy Wilder (1944) e suscitare le stesse forti emozioni… a un costo inferiore. Novità non da poco, e caso più unico che raro all’epoca, si tratta di un fumetto rivolto agli adulti. L’inedito termine “Pictur-novel”, successivamente corretto in “Picture novel” (che in America verrà utilizzato per la prima volta nel 1950) appare in copertina: volendo giocare con “motion picture” finisce involontariamente per anticipare il “graphic novel”. E così, un po’ per caso, amo raccontare che mio nonno ha inventato il romanzo grafico.
Nella successiva raccolta dei nove episodi di Nadia sotto il titolo Un mistero a Hollywood! in formato libretto brossurato, si parla invece di “cineromanzo” e si illustra quest’idea in copertina per mezzo d’una analogia visiva tra le vignette di un fumetto e i fotogrammi di una pellicola. Se questi elementi non bastassero a chiarire la natura dell’albo, in copertina si precisa anche che la storia è adattata “Interamente a quadretti”, ulteriore giro di parole utile a definire il medium senza nome. Nessuna novità in questo caso, poiché già nel 1938 Antonio Rubino parlava di “tavole a quadretti” in un breve articolo teorico pubblicato su Paperino e altre avventure (Mondadori).
A differenza dei cineromanzi che sarebbero andati di moda negli anni successivi, Un mistero a Hollywood! non è l’adattamento di alcun film preesistente e naturalmente non è composto da fotogrammi ma da disegni realizzati ad hoc. Pare dunque che Ventura ritenga estensibile il concetto di cineromanzo proprio come quello di romanzo, o reciprocamente che sia il fumetto ad essere includibile in vari ambiti. Per riprendere tutta la sequenza retorica implicita, il fumetto secondo Ventura sarebbe la versione cartacea di un adattamento cinematografico di un testo letterario. E una specie di “politica degli autori” implicita prevede che sia messo in luce lo sceneggiatore, considerato alla stregua di un regista, piuttosto che il disegnatore. Persino quando, come in questo caso, a disegnare è una fuoriclasse come Lina Buffolente…
Gli albi della Ventura insomma si presentano sempre come sostituti, ersatz, versioni low cost di qualcos’altro: il romanzo, il cinema, i grandi classici della letteratura, l’America, ma anche il fumetto di anteguerra. E in questo modo, per analogia e combinatoria, riescono a produrre definizioni suggestive e inedite, e persino qualche spunto di riflessione sulla natura del medium. La casa editrice Ventura ha potuto esistere nel “vuoto” lasciato dalla produzione fumettistica post-bellica, ma non riuscì a sfruttare il proprio anticipo di fronte alla risurrezione di pesi massimi come gli Albi dell’Intrepido (dal gennaio 1946) o all’apparizione di nuove proposte editoriali come gli albi Uragano con il giustiziere Asso di Picche (dal dicembre 1945). Il suo spazio fu quello della transizione: tra la guerra e la pace, tra l’Italia fascista e quella del piano Marshall, tra il vecchio fumetto per ragazzi e i primi tentativi di legittimazione culturale. Ma rappresentò anche una transizione nella vita di Giulio Cesare Ventura, un modo di guadagnarsi da vivere in attesa di potere ricominciare il suo lavoro come dirigente del Gommificio italiano, bombardato dagli alleati nel 1943.
Giulio Cesare Ventura non aveva probabilmente alcuna ambizione artistica e men che meno teorica. Era un dirigente d’azienda prima della guerra e tornò ad esserlo quando le infrastrutture industriali furono ristabilite. Come tanti altri, divenne filoamericano nel 1945 senza mai essere stato antifascista. Non pubblicò capolavori imperituri e cessò troppo presto la sua attività per incontrare il successo che avrebbe arriso, pochi anni dopo, a editori come Bonelli o Dardo. Fu editore e autore perché, in quel momento storico, sembrava una buona idea imprenditoriale: lui la sviluppò in maniera originale imboccando strade linguistiche e formali inedite, un po’ per caso e un po’ per calcolo. Fu un eroe silenzioso di quella sequenza di tentativi ed errori chiamata selezione naturale, alla quale dobbiamo l’evoluzione delle forme culturali. E ci vollero molti anni prima che alcuni dei suoi errori si rivelassero essere piuttosto… delle anticipazioni.
Mio nonno è scomparso nel 1980 e non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo. Ma se lo incontrassi oggi, la prima cosa che gli chiederei sarebbe senza dubbio: «Nonno, nonno, ma si dice “la” pictur novel o “il” pictur novel?»
Bibliografia
Una bibliografia esaustiva delle pubblicazioni albo per albo, verificata a partire degli archivi di cui dispongo, è ora disponibile su Wikipedia. Di seguito una breve sintesi.
Adattamenti
di Antonio Mancuso e Lina Buffolente
– I tre moschettieri di Alexandre Dumas
– Vent’anni dopo di Alexandre Dumas
– Il visconte di Bragelonne di Alexandre Dumas
– I miserabili di Victor Hugo
– Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas
– La spada invincibile di Amédée Achard
di Antonio Mancuso e Francesco Pescador
– L’Isola del tesoro di R. L. Stevenson
– La Freccia nera di R. L. Stevenson
Creazioni originali
– I due Pat di Arutnev e G. Andreoli
– Nadia di Arutnev e Lina Buffolente
– Serie K di autori vari
– La capanna dello zio Tom
– Pic Bill
Libro illustrato
– L’isola della felicità di R. Scaringi e G. Cappadonia