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RecensioniNovitàIl Caravaggio di Manara: splendore e bassezza

Il Caravaggio di Manara: splendore e bassezza [Recensione]

Caravaggio – La tavolozza e la spada s’impone come un’opera importante nella lunga carriera di Milo Manara.

caravaggio manara

La venerazione confessata per il genio lombardo non solo ha ispirato il fumettista ad esaltare il suo magistero grafico, ma ha anche dettato una riverente e divertita lettera al pittore, inserita nell’edizione Artist dell’opera, una vera e propria dichiarazione d’amore: «Molti anni fa, agli esami di maturità artistica, il professore picchiettò con l’indice sulla copertina del libro di storia dell’arte dicendomi: “Mi parli di questo”. Sulla copertina c’era la Vostra Canestra di frutta. Beh, feci un figurone: sapevo tutto di Voi». Manara si rivolge con sincera umiltà all’irraggiungibile maestro: «…nel mio pantheon personale, Voi avete sempre occupato lo scranno più alto… Bacio le Vostre sante mani, Maestro. Il Vostro servo…». (Qui il testo completo)

Manara è autore colto, competente, più che mai attento a rispettare il proprio idolo artistico nella sua trasposizione. Il suo omaggio caravaggesco ha riscosso il plauso di eminenti studiosi, primo fra tutti Claudio Strinati, che ne ha firmato un’introduzione altamente elogiativa.

Abbiamo avuto la possibilità di leggere il libro in occasione della presentazione romana, e vi abbiamo riscontrato una stridente consonanza con la pittura e la vita di Caravaggio: è un’opera immersa in luci ed ombre.

manara caravaggio

Chiariamo subito: dal punto di vista squisitamente grafico, l’opera è sontuosa. La rappresentazione della Roma del Seicento, protagonista del libro come sottolineato da Strinati, è d’imponente riuscita. Il libro trabocca adorazione delle opere caravaggesche, e grande empatia con l’autore. Notevole è l’attenzione nel riproporre capolavori immortali come Il Martirio di S.Matteo, Giuditta e Oloferne o la Morte della Vergine, ridisegnati a mano da Manara senza l’ausilio di supporti fotografici. Il segno dell’autore eccelle nel restituire l’incanto plastico e la tensione sensuale che traboccano dalle tele del Caravaggio.

Manara calca la mano, come impongono le esigenze romanzesche, sull’aura maledetta del pittore (ridimensionata da alcuni studiosi, quali ad esempio Maurizio Calvesi), ma l’intreccio narrativo, per quanto fantasioso, è filologicamente fondato su episodi reali, collegati dall’immaginazione del fumettista in maniera plausibile.

Come ha ribadito Strinati più volte il libro è «scientificamente ineccepibile». Quali sono, dunque, le ombre? I difetti e i limiti coincidono col marchio stilistico di Manara: l’ossessione erotica, l’esposizione sistematica e spesso gratuita del corpo femminile, una trasgressione che a furia di essere reiterata diviene monotona e sterile.

Mi si obietterà: «ma è Manara!». Certo, ma la grandezza di un autore si misura anche nella capacità di distaccarsi dai propri stilemi abituali, pur mantenendo la propria personalità autoriale. Soprattutto nel caso dell’omaggio a un genio immortale. L’autore avrebbe potuto tranquillamente sacrificare le sue facili ossessioni sull’altare innalzato in rispetto al maestro. Ma, come nel caso de I Borgia, la dotta documentazione storica e la raffinatezza del segno vengono oscurati da alcune cadute di stile francamente evitabili.

manara caravaggio

Durante la presentazione romana, l’autore ha dichiarato: «la volgarità non dipende dai centimetri di epidermide esposta, è in primo luogo un fatto culturale e mentale».

Non potremmo essere più d’accordo, infatti, i nostri rilievi non sono di carattere moralistico, ma meramente estetico. Con la scusa del realismo, Manara indulge nel turpiloquio e nelle rappresentazioni sconce: è chiaro che prostitute e lenoni non siano accademici della Crusca, ma, ad esempio, il celebre sceneggiato televisivo della Rai – in cui Caravaggio veniva interpretato da Gian Maria Volonté – riusciva a restituire il mondo dell’epoca pur non potendo attingere a un linguaggio realistico, per gli ovvi paletti imposti in quegli anni dalla censura. L’abilità autoriale (facilitata in quel caso dall’intensità dell’attore protagonista) era comunicare la passione e la sensualità, senza ricorrere a scene esplicite o linguaggio triviale.

Ora, d’accordo che Caravaggio era un frequentatore di bordelli, d’accordo con le esigenze di realismo, d’accordo che porno nell’etimo deriva da meretrice, d’accordo che il nudo non corrisponde alla volgarità… ma il fatto che quasi ogni volta che Caravaggio interagisce con una prostituta, quest’ultima venga mostrata nella flagrante concessione delle sue grazie, ci sembra sinceramente un appesantimento gratuito della rappresentazione. Non valga la scusa di mostrare realisticamente il mestiere nel suo svolgersi quotidiano.

Questo discorso vale per qualsiasi forma d’arte: Scorsese in Taxi Driver (film incentrato fin dal titolo sul mestiere del protagonista) mica ci mostra Robert De Niro per tutto il film dentro il taxi, anzi le scene più celebri sono al di fuori di esso. Al contrario, viene mostrato l’impatto psicologico che il lavoro ha sul protagonista, modificando la sua osservazione della società. Prendendo un esempio cinematografico pertinente, il Caravaggio di Derek Jarman, pur nei suoi limiti e nelle sue forzature, gronda sensualità e ribellione artistica, espone anche scene oltraggiose, ma non scivola in sconcezze gratuite.

caravaggio manara

Del resto, lo stesso libro di Manara è conferma della nostra impressione: la scena iniziale, in cui una matrona senese per entrare a Roma deve concedersi all’ispettore doganale, come fosse una prassi burocratica, risulta molto più riuscita di altre, senza aver bisogno di mostrare l’atto erotico, mantenendolo nei limiti dell’osceno (letteralmente nell’etimo: ciò che è fuori della scena). Una scelta più convincente rispetto al facile contrasto della scena in cui Caravaggio entra nella stanza della prostituta Anna per invitarla a posare come Madonna, sorprendendola in ben altre pose.

Oltre tutto, quest’ultima figura femminile è costantemente vessata dal crudele sfruttatore Rano Tomassoni (che più che come oggetto sessuale la tratta proprio come una merce di sua proprietà). Il fatto che Manara mostri – pur nell’eleganza delle forme – la donna continuamente abusata, castigata corporalmente e costretta a prostituirsi ripropone quella che, con un espressione forte, potremmo definire una deformazione nello sguardo dell’autore. Ci riferiamo all’ambiguità costante nel mostrare l’abuso del corpo femminile, tra denuncia e compiacimento voyeuristico. Un ambiguità che risulta oltremodo disturbante in un’opera passata di Manara, Appuntamento Fatale (conosciuto anche come Ballata in Si Bemolle), ispirata alla vera storia di una vittima seriale di stupro collettivo, in cui le violenze carnali subite dalla protagonista vengono rappresentate con esplicita brutalità per tutta la narrazione.

Del resto, la pittura di Caravaggio è innervata continuamente da una potente tensione erotica, non c’è bisogno di caricarla ulteriormente: esplicitandola se ne impoverisce l’impatto. Sollevandone il velo di seduzione se ne rovina l’incanto. Prima di lui grandi artisti avevano celato provocatoriamente, pur in soggetti sacri, dettagli realisticamente osceni (si pensi al celebre rigor mortis nella Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino). Caravaggio non ne era interessato: è di gran lunga superiore la sensualità espressa nella torsione del Bacchino Malato o nello sguardo del Fanciullo con un canestra di frutta che in infinite rappresentazioni di coiti espliciti.

manara caravaggio

In conclusione, siamo davanti a un libro importante per la carriera di Manara, disegnato magnificamente, narrato con passione e intelligenza, ma che tuttavia non rende piena giustizia al genio di Caravaggio: quest’ultimo non aveva certo bisogno di indulgere in bassezze per glorificare la maestà dei corpi e denunciare la crudezza del reale.

Caravaggio – La tavolozza e la spada
di Milo Manara
Panini Comics, 2015
64 pagine, 16.00 €

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