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FocusOpinioniLe scelte dei premi Micheluzzi 2015, spiegate bene

Le scelte dei premi Micheluzzi 2015, spiegate bene

C’è sempre meno tempo per scrivere e ragionare, nel fumetto di oggi. Figuriamoci ragionare di festival e di premi. Figuriamoci scrivere di cosa ha fatto, considerato o – supponiamo – ‘scoperto’ un giurato nel contesto del lavoro di una giuria in un festival di fumetto. Noianoianoia.

Eppure, se c’è un’edizione dei Premi Micheluzzi – dopo anni di assenza – in cui non mi sono annoiato, è stata questa. Nonostante le premesse per una difficile sessione di Giuria ci fossero – sarà che stavo poco bene, sarà che sto diventando diffidente – sono uscito soddisfatto del lavoro svolto con Milo Manara, Iacopo Barison, David Riondino, Giancarlo Soldi. E ritengo che le scelte cui siamo arrivati in questa occasione contengano spunti o esperienze che vale la pena condividere.

premi micheluzzi napoli comicon

La faccio perciò breve, e la faccio pratica: parto dalla modalità con cui abbiamo proceduto, che penso sia stata molto utile alla discussione. Siamo infatti andati a ritroso, partendo dalle categorie ‘minori’, per concludere con Miglior Fumetto.

Miglior Storia Breve: Natale Nero da “Natali Neri e altre storie di guerra” – Fabio Visintin – ComicOut

Per quanto sembri una categoria chiara, in realtà il concetto di storia breve contiene un’insidia non da poco: qual è la misura della brevità? Il problema è infatti sì di “lunghezza”, ma si complica in relazione al formato editoriale. In generale, accade che diverse storie Disney, nonostante suonino brevi per la loro collocazione in una testata antologica, possano essere tutt’altro che brevi (30, 40, 60 pagine; qui il caso di Silvia Ziche, quasi 60 tavole); all’opposto alcuni album, comunicati e percepiti come graphic novel, hanno una paginazione molto snella (esempio: Cinema Zenith di Andrea Bruno, sotto le 30 tavole). C’è poi il problema degli onepager: sono davvero comparabili le storie di una sola tavola con altre di decine di pagine (e qui era il caso di Giacomo Gambineri)?

Il tema rimane e rimarrà un eterno problema, visto che il fumetto – come la letteratura – non ha prassi consolidate paragonabili alla precisa distinzione tra ‘lungo’ e ‘corto’ nel cinema. E anche nel nostro caso si è posto. Tuttavia, molto brevemente, perché Visintin ha subito raccolto il consenso di tutti: la profondità narrativa, la durezza asciutta, il convocare la mitologia e l’evocare Mattotti… e la prima scelta è andata via liscia.

Miglior Edizione di un Classico: Tormenta Nera – Yoshihiro Tatsumi – BAO Publishing

Ma i giochi facili sono finiti presto. Perché sulle riedizioni, in un primo giro secco di opinioni, 5 giurati hanno citato 5 titoli diversi. Giocoforza, abbiamo dovuto tutti argomentare bene le nostre scelte, e aprirci a un confronto su altri candidati, per poter trovare un accordo. La qualità della selezione ci è venuta in aiuto: la discussione si è fatta subito interessante (prime edizioni, traduzioni, cura redazionale, qualità artistica, valore storico complessivo), e alla fine Tatsumi – proposto, al primo giro, da Riondino – ha coagulato il voto finale con una netta maggioranza. Per due ragioni: l’essere un inedito assoluto in Italia (e non solo), e la semplicità quasi quintessenziale del suo linguaggio. Un fumetto potente e ‘puro’, opera di un grande maestro ma lontano da intellettualismi, e che merita più attenzione e visibilità di quanta non ne abbia ricevuta finora.

Miglior Webcomics: To Be Continued, di Lorenzo Ghetti

In questo ambito, fino all’autunno scorso pensavo che il lavoro più fresco e interessante del 2014 fosse quello di Francesco Guarnaccia. Ma quando tra ottobre e novembre ha debuttato To be continued, ho dovuto cambiare opinione. Il motivo è uno solo: Ghetti ha realizzato un fumetto che fa un uso saggio e brillante del web, tenendosi lontano dall’idea dello schermo come mero supporto sostitutivo della pagina. To be continued è un fumetto davvero “nativo digitale”, e questa tesi – sostenuta da Giancarlo Soldi e da me – ha convinto in un battibaleno gli altri giurati. Un piccolo plebiscito, dunque.

Miglior Serie Straniera: Occhio di Falco nn.6/11 – Matt Fraction e David Aja – Panini Comics

Qui se la sono giocata Blacksad, Occhio di Falco e Soil. Con mia sorpresa, perché temevo che Soil sarebbe stato sottovalutato, se non snobbato. Così non è stato, ma tra questo disturbante manga e il sempre convincente Blacksad, Occhio di Falco ci ha convinto per il suo aver saputo giocare anche con lo stesso linguaggio del fumetto. Che piaccia o meno l’immaginario supereroistico, si è dimostrata una serie con una marcia in più.

Miglior Fumetto Estero: Poco Raccomandabile – Chloé Cruchaudet – Coconino Press/Fandango

La scelta più dura. Ma anche quella che ha prodotto le discussioni più interessanti. Dico subito che la competizione è stata essenzialmente fra tre lavori, ovvero quelli di Alfred, di Cruchaudet e delle Tamaki. La qualità sia narrativa che grafica, in tutti e tre i graphic novel, è parsa a tutti indiscutibile. L’appunto fatto alle Tamaki da alcuni tra noi è stato allora che nel loro libro ha pesato un gusto cinematografico, soprattutto nella composizione, che Alfred e la Cruchaudet non hanno avuto ‘bisogno’ di evocare, collocandosi all’interno di un linguaggio fumettistico più epurato, persino classico. Ma arrivati fin qui ci ha travolto l’indecisione e abbiamo dovuto prenderci una pausa, lasciando la categoria a decantare per due ore, tornandoci sopra solo in prossimità dell’ultimo premio rimasto.

Perché Poco Raccomandabile e non Come Prima, dunque? Perché il talento eccezionale di Alfred riesce persino là dove certo cinema italiano (post)neorealista non produce che estetiche consunte, ma tuttavia trova aiuto nel proprio stesso ‘mestiere’, come lo ha giustamente chiamato Manara. Il che ci ha convinti a premiare un’opera altrettanto eccellente ma meno perfetta, in cui non tutto trova il suo spazio con sapienza, e in cui sotto la bravura formale si nasconde il sapore di una inquieta vicenda che vibra ancora della “scoperta” narrativa fatta dalla sua autrice.

Miglior Sceneggiatore: Bruno Enna – Saguaro – Sergio Bonelli Editore

Nel corso delle settimane di lettura pre-festival, proprio in questa categoria ammetto di avere fatto una scoperta. Non conoscevo il lavoro di Giovanni Eccher, che per Nathan Never ha scritto alcune storie davvero molto ben congegnate. Naturalmente, non era certo una “testa di serie” come Ortolani o Zerocalcare, né per certi versi come Casty (la cui storia in nomination, tuttavia, ho trovato più debole del solito, schiacciata su un gimmick narrativo poco creativo).

Ma le teste di serie hanno trovato soprattutto in Bruno Enna un outsider che – mi permetto di rivelarlo – Giancarlo Soldi ed io abbiamo sostenuto (in ottima sintonia) con particolare forza, trascinati dalla nostra stessa esperienza di lettori sorpresi: nonostante un concept western assai poco attraente, la qualità della sua scrittura ci è parsa talmente evidente da meritare un riconoscimento. Ci siamo così ritrovati persino a citare due episodi esemplari di Saguaro – n.5 e n.34, per chi volesse approfondire – il che fa molto fandom (ma tu pensa, il momento fandom su Saguaro… Roba da matti). Non tutti i giurati avevano letto ogni episodio, ma i nostri argomenti sono evidentemente bastati.  D’altro canto, proprio Fumettologica lo aveva scritto senza giri di parole: “la serie Bonelli meglio scritta” del 2014 è stata la sua. E il fatto che Saguaro si sia conclusa, non ha posto imbarazzo a nessuno, anzi: onore al merito a Enna, a prescindere dal suo (in)successo commerciale.

Miglior Disegnatore: Paolo Bacilieri – Fun – Coconino Press

Anche qui la selezione ci ha messi di fronte a candidati forti, e quindi a una buona competizione. Il gusto personale si è fatto sentire, così come una lettura mancata da parte di qualche giurato (e non per scarsa volontà, ma per mancata consegna di copie in lettura – un problema prosaico di cui riparlo più sotto). Ma è bastato riprendere in mano Fun e sfogliarne la splendida sequenza iniziale per guardarci negli occhi e, dopo qualche parola spesa su Lrnz (chi più favorevolmente, chi meno), chiudere la partita rapidamente: Bacilieri.

Miglior Serie dal Tratto Non Realistico: Rat-Man – Leo Ortolani – Panini Comics

Detto molto schiettamente, per Rat-Man è l’ennesimo premio. E qualche lettore, dopo l’annuncio dei vincitori, ha giustamente sottolineato che “non se ne può più” di vedere vincere così spesso Ortolani. Ma detto altrettanto schiettamente, ritengo che Rat-Man non avesse contendenti davvero all’altezza, in questa categoria.

Un voto unanime, dunque. Che credo serva anche a ribadire un concetto che fatica sempre a entrare nella testa di certi operatori e di certo pubblico fumettòfilo: premiare non vuol dire indicare sempre e solo il “nuovo”. L’approccio da evangelist è uno dei tratti culturali più perniciosi che abbiano investito il mondo dei festival di fumetto, per anni affannatamente schierati dietro l’idea del “quello ha già vinto: segnaliamo un fumetto nuovo, facciamo scoprire nomi nuovi”. Pernicioso perché il nuovo non sempre è il ‘meglio’, e come spesso ripeto, se agli Emmy Awards vince per 3 anni una stessa serie tv, un premio fumettistico non deve temere l’idea che la qualità possa avere lo stesso volto anche per anni. Premiare “gli stessi” può e deve invece accadere, quando è giusto che sia, per l’obiettivo che porta con sé: deve evitarci di annaspare nel flusso del consumo continuo di novità, aiutandoci a pesare il solido contro l’effimero, e a riconoscere che i modelli (r)esistono.

Miglior Serie dal Tratto Realistico: Tex – AA.VV. – Sergio Bonelli Editore

Se per le serie comiche o non-realistiche la scelta di Rat-Man è anche figlia del contesto contingente, in cui Ortolani trova pochi concorrenti, per le serie “realistiche” il panorama era e resta più complesso. Orfani e Dragonero, in particolare, hanno meritato qualche discussione in giuria, ma il confronto con Tex ci ha condotti a un esito doveroso: la qualità narrativa e grafica della serie “ammiraglia” (non a caso) di Bonelli Editore è tale da meritare, ancora oggi, uno straordinario rispetto per i suoi esiti come intrattenimento di alto livello. Tanto più dopo un’annata segnata da ottime prove, come l’arco narrativo realizzato da Boselli e Mastantuono.

«Se dopo 70 anni vince ancora Tex, è ora che gli altri si diano da fare», ha detto il Direttore Editoriale di SBE, Mauro Marcheselli, ritirando il premio. Un’affermazione al contempo orgogliosa e preoccupata, che mi sento di sottoscrivere.

Miglior Fumetto: Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra – Ratigher – Autoproduzione

Ci è voluta una buona mezz’ora per sciogliere i dubbi sull’ultima, delicata categoria. Fun di Bacilieri, alla fine, non ha vinto perché ci è parso un’opera non del tutto compiuta, sia nella forma (una raccolta di frammenti legati da un filo rosso, più che un’architettura coesa), sia nella sostanza (è solo la prima parte dell’opera, afferma l’autore nell’ultima tavola). Dimentica il mio nome non ha vinto perché nonostante l’indiscutibile tour de force progettuale, non ha convinto tutti allo stesso modo: per alcuni è un passo avanti (e la sua complessità è ben poco opinabile), ma per altri no (secondo qualcuno era meglio Un Polpo alla gola, secondo un altro erano meglio i racconti brevi).

Ratigher, invece, ha trovato in Iacopo Barison – e in me, confesso – argomenti a favore che hanno progressivamente convinto gli altri. La tensione narrativa, i caratteri delle ragazzine, persino i colori e il disegno (e qui posso dirlo: lo stesso ‘neoclassico’ Manara ha speso parole di apprezzamento per l’efficacia comunicativa dei disegni di Ratigher). Soprattutto, la sofisticata progettualità, che ha investito sia il contenuto che il suo modello produttivo, con una specie di crowdunfunding/preordine online che da mesi fa discutere l’editoria di fumetto e ha fatto di Ratigher un riferimento tra gli innovatori nel campo dei rapporti fra autore, editore e pubblico.

Ratigher ritira il Premio Micheluzzi per il Miglior Fumetto
Ratigher ritira il Premio Micheluzzi per il Miglior Fumetto

Infine, qualche nota

Ben poca noia, insomma. E a giudicare dai feedback positivi, mi sento di dire che abbiamo fatto un buon lavoro. Naturalmente aiutati da una selezione che ha consentito di scegliere in un paniere particolarmente credibile. Ma va anche detto che non tutto è stato rose e fiori, per i giurati e per la stessa struttura dei Premi.

Un primo problema che è emerso riguarda le serie. Non tutti i giurati hanno avuto il tempo materiale di leggerle per intero. Quando dozzine di albi arrivano 15 giorni prima della delibera, la sola possibilità è affidarsi alle valutazioni di chi aveva già avuto modo di trovarsi preparato prima – cosa che è per fortuna accaduta, ma che non sempre accade.

Un secondo problema è relativo all’invio dei materiali. Alcuni piccoli editori, infatti, non hanno nemmeno spedito le copie all’organizzazione o ai giurati, con l’effetto di penalizzare alcune opere/autori. Per fortuna, anche qui in questa occasione la fortuna ha aiutato (solo 3 editori con circa una candidatura a testa non hanno fatto gli invii; e qualcosa è giunto ad alcuni ma non ad altri), e se anche tutti i libri fossero arrivati sono certo che, non trattandosi dei fumetti più convincenti, i verdetti non sarebbero cambiati. Ma non sempre il destino è tanto favorevole.

La questione di fondo, naturalmente, resta quella non tanto organizzativa quanto simbolica e politica. Quanto contano questi Micheluzzi, e quanto possono contare dei premi assegnati in un festival fumettistico? Da un lato sempre meno, perché il ruolo di filtro e segnalazione è ormai svolto con rapidità e capillarità dalla rete. Ma d’altra parte sempre di più, perché un conto è la segnalazione di un soggetto autorevole e che rappresenta un sistema, un altro è la segnalazione da parte di piccole isole fatte di comunità di lettori/operatori.

Nonostante Napoli Comicon non abbia una dimensione sistemica nazionale come Lucca Comics&Games, è anche vero che ha però una dimensione sovra-regionale, che le permette di avere proprio nei premi uno strumento di comunicazione e di politica culturale influente sul piano nazionale. Tanto più nella misura in cui i Premi Micheluzzi hanno ormai una dozzina di anni di esperienza alle spalle, in cui si sono rafforzati (anche grazie al meccanismo di rigida divisione tra Selezione e Giuria e alle categorie – un meccanismo che progettai anni fa e di cui sono ancora piuttosto soddisfatto) a discapito dei Premi Guinigi lucchesi, ancora privi di un modello convincente ed efficace.

Alla fine, che a vincere il più autorevole premio fumettistico italiano sia stato un fumetto autoprodotto (e peraltro disponibile, ormai, solo in una versione digitale scaricabile gratuitamente), è un “caso” che non so quando potrà ripresentarsi in futuro. Come ha fatto notare Giancarlo Soldi, inoltre, un altro esito curioso di questi Micheluzzi 2015 è il premio andato a una serie ormai chiusa da mesi.

Ma ciò di cui sono più soddisfatto non sono i “casi” o i paradossi. Semmai il contrario. Il fatto che nonostante i limiti (di portata, di organizzazione, di partecipazione degli editori), una normale giuria in un normale festival abbia potuto fare un normale lavoro: discutere liberamente senza mai (vi assicuro: mai) nominare un solo editore per ragionare di bilancini editoriali (“non dimentichiamo di mettere l’editore X; non esageriamo con i premi a Y; occhio che Z si offende”); confrontarsi sul merito tra persone preparate, fumettòfile o meno; contribuire a riconoscere meriti e a suscitare sorprese.

Riconoscimenti e sorprese, già. Altro che noia.

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