Sophia: l’alchimia come viaggio interiore [Recensione]

Recentemente BAO Publishing ha pubblicato un’edizione integrale di Sophia di Vanna Vinci, un volume unico che raccoglie le due storie pubblicate una decina di anni fa (Sophia la ragazza aurea e Sophia nella Parigi ermetica) sulla rivista Mondo Naif.

Sophia

Per chi ha conosciuto l’autrice attraverso i libri successivi, ad esempio i volumi Rizzoli Lizard (come La Bambina Filosofica o la biografia sulla Marchesa Casati), questo libro potrebbe risultare, a una lettura superficiale, spiazzante. Lo stile classico, nella narrazione e nel segno, è mutato in una narrazione a tratti convulsa, ritmata da sequenze oniriche dall’alto contenuto simbolico, il tutto reso con un segno sporco, confuso, profondamente scuro. Vanna Vinci si è ispirata a Dino Battaglia, Gianni de Luca e, come sempre, a Ronald Searle.

A partire dal titolo, il volume è un enorme gioco di rimandi, più o meno espliciti, alla Tradizione della ricerca esoterica. Nel primo libro, emerge subito il contrasto tra l’oscurità interiore della protagonista, ricercatrice perennemente inquieta e allergica alle frivolezze della mondanità, e la solarità spensierata, tipicamente da cartolina italiana, degli scenari estivi. Fa eccezione la rappresentazione della Roma occulta (omaggio allo sceneggiato televisivo Il segno del Comando), suggestivamente colta nel suo aspetto notturno, misterico, di grande tempio a cielo aperto, crogiuolo stordente di antichissima sapienza.

Sophia si avventura, o meglio è condotta da un invisibile dinamica di coincidenze nella ricerca di un leggendario manoscritto alchemico, dilaniata tra inguaribile scetticismo e insaziabile curiosità. Incontrerà nel suo cammino figure sfuggenti, dalla storia letteralmente incredibile e dal fascino luciferino, perennemente incerta sul da farsi, al bivio tra messaggi sibillini ed eventi inquietanti. Parallelamente, vivrà una complicata passione con un seducente dirimpettaio, incontrato solo apparentemente per caso.

Completamente diversa l’atmosfera del secondo libro, immerso nel pozzo oscuro dello stato alchemico della nigredo: scenario è stavolta una Parigi labirintica, decadente, popolata da personaggi immortali e teatro di macabri riti iniziatici. Evidentemente, l’ossessione alchemica della Vinci non si limita a predisporre un vestito bizzarro e fascinoso a una storia d’amore. Al contrario, sono proprio le scene d’amore, certa indulgenza giovanilistica nel turpiloquio e il velo costante dell’ironia, a creare un manto di leggerezza per coprire il messaggio più profondo dell’opera, rendendo la lettura comunque gradevole e non pesante al lettore meno consapevole.

Il percorso di Sophia è esplicitamente iniziatico. L’alchimia – Jung docet – diviene una cristallina allegoria della conoscenza del Sé. Come rivela in sogno alla protagonista l’antico alchimista Morieno Romano, sulla natura della pietra filosofale: «Ti dirò la verità: questa cosa si estrae da te, la si può trovare in te e trarla da te, e dopo che ne avrai fatto l’esperienza aumenterà in te l’amore per essa. Comprendi questo e sappi che è la verità».

sophia

Stilisticamente, i tratti più familiari dell’autrice emergono a una lettura più approfondita: l’ironia scettica e corrosiva (tipica de La Bambina Filosofica) è la cifra della voce narrante, il gusto della citazione colta diviene qui la struttura portante del racconto (le fasi narrative sono scandite da citazioni di varie canzoni e da visioni oniriche colme di precisi riferimenti allegorici), l’amore per le biografie di personaggi celebri e bizzarri viene qui distribuito nella deliziosa Appendice Alchemica, in cui si approfondiscono le vite e le opere degli alchimisti menzionati nella storia. Sono proprio queste le sezioni che più ci hanno conquistato, quelle che un lettore distratto potrebbe ritenere ininfluenti per lo sviluppo narrativo. Le visioni oniriche (la cui ieratica solennità è smorzata costantemente da ironici ammiccamenti al lettore) sono, in realtà, a una lettura attenta, le parti più illuminanti e rivelatrici del libro.

Due sono gli autori nostrani che recentemente hanno attinto all’immaginario esoterico: Nicolò Pellizzon in Lezioni di anatomia, che, pur nella splendida resa grafica, sembra evocarne la simbologia come mera suggestione decorativa; LRNZ, che invece in Golem ha costruito una griglia simbolica molto consapevole, talmente sottile che affiora soltanto a una lettura molto approfondita. La Vinci, prima di entrambi, sembra aver trovato una via equilibrata: i simboli mantengono il loro affascinante impatto estetico, ma sono anche abbastanza decifrabili da un lettore non avvezzo a compulsare testi esoterici.

Nell’Appendice Alchemica invece, l’autrice mette le carte in tavola, mostrando l’enorme lavoro di documentazione che soggiace alla stesura del libro. Si tratta di un vero gioiello, un prontuario dotto e giocoso che illustra una panoramica della storia dell’alchimia. La Vinci fa ciò che ogni artista dovrebbe fare: stimolare il lettore alla ricerca, all’approfondimento, all’esperienza diretta della bellezza e della verità. Si conferma una delle figure più intellettualmente vivaci e ricche della scena fumettistica italiana, accostandosi a un tema insidioso come l’alchimia con vorace passione, ma anche con rispetto profondo e la giusta dose di distacco scettico, nella consapevolezza dell’inesauribilità del tema.

Poiché come diceva Jung (a cui si deve la grande riscoperta culturale dell’alchimia nel Novecento): “la psicologia potrà pure spogliare l’alchimia dei suoi misteri, senza riuscire però a svelare il mistero dei misteri”.

Sophia
di Vanna Vinci
Bao Publishing, 2015
272 pagine, 19,00 €