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La voce instabile di Tiziano Angri [Intervista]

L’unica voce del titolo del nuovo libro di Tiziano Angri è quella che è entrata nella testa di Yuri, un ragazzino di periferia che, da quel momento in poi, ha sviluppato un’ipersensibilità uditiva incurabile. Anni dopo, avvezzo a esperimenti truculenti con gli animaletti che trova nei campi vicino alle vecchie colonie, cercherà di ricreare quel suono oscuro, amplificandolo attraverso la sua chitarra, in un grottesco e ardimentoso rituale di passaggio. Questo darà il via a un viaggio a ritroso nella memoria… ma si sa, ricordare è dolorosissimo. È in un certo senso, abbandonare il corpo, uscirne, liberarsene forse: come nel caso di Irene, l’altra protagonista del libro, che abita un corpo non suo e racimola soldi per fare un’operazione “sotto”. Due personaggi borderline abitano le tavole mozzafiato di Angri, che costruisce un perfetto congegno narrativo dove lo squallore delle periferia è trattato con un occhio al surrealismo, e che riesce a trascinare il lettore in una conturbante psicorealtà di provincia.

Leggi anche: La recensione de L’unica Voce

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Leggendo i tuoi lavori sembra che tu prediliga personaggi e ambientazioni ai margini della società. Puoi spiegarci questo gusto per la difformità?

Spesso i personaggi dei miei racconti sono ispirati a figure che hanno popolato i luoghi in cui ho vissuto. Un esempio ne L’unica voce è il vecchio nano, un pensionato che realmente adescava giovani adolescenti sul litorale della mia città. Le ambientazioni, analogamente, sono una via di mezzo tra la provincia pisana (dove sono cresciuto) e la campagna veronese (dove attualmente vivo). Principalmente è una questione di familiarità, ma non si tratta di una regola rigida che mi sono autoimposto per tutte le mie storie.

Nei tuoi libri si percepisce l’interesse per l’infanzia o la fanciullezza, che rappresenti e racconti spesso come stati di passaggio. Cosa ti affascina di questo momento specifico della vita?

L’infanzia per me è il luogo dei ricordi: confusi, ovattati, spesso indecifrabili. Queste caratteristiche ne fanno un ideale punto di partenza per una storia.

Ne L’unica voce i personaggi attraversano un momento catartico che ha le sembianze di un antico rituale, in cui gli animali diventano totem o spiriti guida. Da dove viene quest’idea?

Lo spunto di base viene direttamente dalle pratiche degli sciamani e la possibilità che una malattia

possa essere guarita tramite un particolare suono. Nel racconto il rituale rappresenta anche un’occasione per Yuri di poter fuggire dal proprio corpo (salvo poi rendersi conto del contrario). Il tutto è vissuto in una chiave distorta ed infantile, figlia di una mistica d’accatto più che di una vera e propria catarsi.

Come nasce l’intuizione del disturbo all’udito che condiziona la vita di Yuri?

Da un fischio fisso. Un suono opprimente che assilla la vita di una persona a me cara.

Leggi un’anteprima de L’Unica Voce

angri

Nel tuo lavoro il corpo è importantissimo, non solo a livello grafico, ma anche tematico e di sostanza. Cosa ti interessa della fisicità?

L’instabilità. Ne L’unica voce il corpo dei protagonisti è spesso vessato da ferite e umiliazioni. La stessa Irene è consapevole che, per raggiungere la sua trasformazione, presto o tardi dovrà letteralmente demolire quella parte fisica che è alla base dei suoi problemi. È un percorso doloroso e forse l’unico per superare quei limiti imposti dalla carne rispetto alla sua personalità.

A livello narrativo, la storia è ben scandita da tre capitoli. Ma lo stesso principio agisce anche sulle tavole, quasi sempre divise in tre grandi strisce. C’è un motivo preciso per questa scelta?

La struttura a tre capitoli è un classico schema narrativo che, in questo caso, è nato spontaneamente, senza una programmazione. A rifletterci bene, non so quanto sia una coincidenza rispetto allo schema della pagina…

Le tue tavole sono ricche di dettagli, ma spesso preferisci lasciare gli sfondi bianchi, salvo nel caso in cui si tratti di campi medi. Anche questa scelta, come le inquadrature e il layout della tavola, risulta molto cinematografica. Ti ispiri a qualche autore in particolare?

Adoro il formato orizzontale, quello delle vecchie comic strip per intenderci (un’operazione del genere è stata riportata in auge recentemente da autori come Chris Ware o Daniel Clowes). Cinematograficamente parlando non mi ispiro ad alcun regista in particolare, ma adoro tutto il cinema di Haneke e Sokurov.

Nel fumetto invece, cosa ti piace leggere e a quali autori ti ispiri?

Oltre ai due precedentemente citati ammiro tantissimo il lavoro di autori come Jason, Nicolas de Crécy e Sammy Harkham. Ma anche Tony Millionaire e Jim Woodring. Pratt, invece, è stato il mio primo amore a fumetti e il suo Corte Sconta detta Arcana rappresenta per me un compagno dal quale non potrei mai separarmi (nonostante la copertina scollata, le pagine imbarcate e la costola a brandelli).

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