In occasione del festival Bilbolbul 2015, pubblichiamo un ampio estratto dalla conversazione con la fumettista francese Anouk Ricard, tra gli ospiti principali dell’edizione 2014 del festival bolognese. L’incontro, moderato da Liliana Cupido, era organizzato da Hamelin Associazione Culturale in collaborazione con la Scuola di Lettere e Beni Culturali dell’Università di Bologna, e il testo che proponiamo è stato pubblicato di recente in Crocicchi. Autori e ricerca (edito da I Libri di Emil / Odoya, 2015), volume curato da Alberto Sebastiani e realizzato nell’ambito del programma Erasmus Mundus C.L.E.
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Liliana Cupido: Dall’Associazione Hamelin ci occupiamo tutto l’anno della promozione del fumetto nelle scuole, dalle elementari alle superiori, attraverso diversi canali, come workshop con autori, lezioni e seminari. Riteniamo che l’alfabetizzazione e l’educazione al linguaggio siano l’unica strategia possibile per la sopravvivenza del fumetto, che sta attraversando un momento abbastanza difficile, particolarmente nel settore infantile. Quindi la tua presenza a BilBOlbul diventa un’occasione preziosa di confronto per riflettere su cosa stia succedendo. Ti sei laureata all’Università di Strasburgo in arti decorative poi ti sei avvicinata al mondo della letteratura dell’infanzia, in particolare al fumetto, e hai pubblicato il tuo primo lavoro con i personaggi Anna e Froga nel 2004 su una rivista che si chiama “Capsule Cosmique”, che al tempo intendeva rilanciare in Francia il fumetto per ragazzi e ha ottenuto fin dall’inizio un discreto successo. L’esperienza però si è purtroppo conclusa presto, nel 2006, nonostante gli abbonati si aggirassero intorno ai 12-13mila. Ma anche se ha avuto vita breve è stata una rivista significativa, tanto che il festival di Angoulême le ha anche dedicato una grande mostra. […]
Anouk Ricard: La storia è molto semplice: avevo ricevuto un’email da parte dei redattori della rivista “Capsule Cosmique” che chiedevano a me e ad altri autori di fare delle proposte per collaborare, allora ho inviato il mio progetto Anna et Froga4 che è stato subito accettato e così sono entrata anch’io nella redazione. Facevo un episodio per mese, e ricordo che ne avevo fatti subito tre di fila, come di getto, ma l’esperienza della rivista, come hai detto tu, purtroppo è durata poco.
L.C.: Una curiosità: il tuo lavoro si limitava ai rapporti con l’editore e a consegnare la storia alla scadenza o c’era anche uno scambio all’interno della redazione con gli altri autori sulla sua costruzione?
A.R.: A dire il vero non c’era uno scambio con gli autori, ciascuno inviava i suoi progetti e, visto che non c’era un tema preciso su cui lavorare, nemmeno a Natale, avevo una totale libertà creativa. Il che, confesso, non mi dispiaceva.
L.C.: E dopo “Capsule Cosmique” hai avuto altre esperienze con riviste per bambini e ragazzi o ti sei dedicata solo ai libri?
A.R.: Ho fatto anche lavori d’illustrazione per riviste, in particolare per racconti, giochi, poesie. Non è un lavoro che mi piaccia molto, ma io lo chiamo “alimentare”, nel senso che mi dà di che vivere.
L.C.: Anna et Froga è una serie che racconta le avventure quotidiane, piccole e grandi, di Anna e del suo gruppo di amici antropomorfi. In realtà Anna et Froga è molto di più, è un fumetto d’altissimo valore pedagogico per due aspetti: dal punto di vista dei contenuti le tematiche emergono in maniera assolutamente non didattica e didascalica, dal punto di vista formale l’uso che fai del linguaggio del fumetto è un uso consapevole, quindi giochi sulle specificità del linguaggio e le sfrutti al massimo. L’elemento che caratterizza di più le storie di Anna et Froga è appunto la presenza costante di problemi piccoli e grandi che il gruppo assortito di amici deve continuamente risolvere: si va da una situazione semplice, come quella di un bruco bloccato sottoterra perché non riesce a uscire da un buco troppo stretto, e allora devono tutti organizzarsi per aiutarlo, a delle situazioni più complesse, come fare di tutto per vincere un concorso di fotografia, o desiderare un lago per fare una scampagnata e affrontare il problema di dover passare il pomeriggio in riva a una pozzanghera immaginando che sia il luogo ideale per fare un pic-nic estivo. Quindi il bambino, o qualsiasi lettore, è costantemente stimolato e chiamato a confrontarsi con problemi diversi e con la messa in atto di una serie di strategie di problem-solving. Per un bambino che legge è fondamentale quello che Walter Benjamin definisce come la meraviglia e la riflessione necessarie nella lettura di una storia. La meraviglia di stupirsi di quello che accade e la riflessione per mettere in atto delle strategie finalizzate a trovare una soluzione.
L.C.: Nelle tue storie questo è portato all’estremo, perché di solito non dai la soluzione finale e le situazioni rimangono aperte, quindi il lettore deve attivare ulteriori abilità cognitive e strategie di problem-solving. Vorrei che parlassimo proprio di questo, cioè dell’orchestrazione e della strutturazione delle tue storie, capire ad esempio se pensi consapevolmente a inserire un problema, oppure se parti dall’esistenza di guaio e ti chiedi come reagirà il gruppo.
A.R.: Se devo essere sincera non è una cosa che analizzo, non è una scelta consapevole; lavoro in modo intuitivo e provo a scrivere in modo molto naturale. Introduco delle situazioni strane per far ridere il lettore, e sorprenderlo per non annoiarlo.
L.C.: Leggendo Anna et Froga emerge però immediatamente un’ironia che pervade tutte le storie. Raggiunge con intelligenza sia i bambini che gli adulti, si trova nel racconto delle situazioni e nei dialoghi tra i personaggi, e penso che si tratti di un’ironia molto “sincera”, visto che sai che stai parlando ai bambini e proprio per questo non puoi usare doppi sensi, finti ammiccamenti oppure “bambinate” mielose. Ed è anche un elemento strutturale del tuo lavoro, in quanto riguarda appunto sia il contenuto che l’aspetto formale della storia, entrando dentro il linguaggio e la costruzione grafica delle tavole. Leggendoti, pensavo allo studioso di fumetti Gino Frezza, che parla del linguaggio del fumetto come intrinsecamente comico e paradossale, perché la tridimensionalità della vita reale riportata su una superficie piatta crea un effetto comico, in quanto si riducono gli spazi e si cambiano le proporzioni. Tale effetto può essere esasperato in certe opere che giocano proprio sul rapporto spazio-personaggio, sulle inquadrature o sulla distanza dalla scena. Io trovo che nelle storie di Anna et Froga a volte crei una distanza, ma riporti subito il lettore dentro la scena grazie ai personaggi e alle loro avventure, e in questo modo si innescano dei meccanismi che si muovono dal comico paradossale direttamente al gioco. È la cosiddetta funzione del piacere dei processi di conoscenza, perché il bambino entra dentro la lettura come in un gioco.
Nelle tue vignette si manifesta poi l’alternarsi di scene piene di oggetti ad altre che ne sono quasi prive, e la presenza degli oggetti a volte non ha una funzione specifica per l’azione, mentre in altri casi ce l’ha e favorisce la dimensione giocosa. Ad esempio: si può incontrare un prato con solamente pochi fiori che lo connotano mentre nell’avventura successiva il gruppo di amici si trova dentro un grande centro commerciale con scaffali alti dieci volte più di loro e straripanti di cose. Riprendendo Donald Winnicott, la storia diventa un oggetto transizionale e costituisce un mezzo per la conoscenza del mondo, per l’approccio ad esso e alla vita reale in maniera ludica. So che non si può chiedere a un autore come riesca a creare delle storie, però prendo la domanda un po’ lateralmente e ti chiedo se hai avuto da piccola, da adolescente, oppure anche da adulta, delle letture che hanno segnato i tuoi interessi e che hanno determinato la tua volontà di raggiungere questo obbiettivo del comico che dici interessarti.
A.R.: Quando ero piccola leggevo moltissimi fumetti perché mia madre me ne comprava finché volevo. Ho letto i classici francesi da Astérix a Lucky Luke e ho letto anche molto presto dei fumetti per adulti che penso di aver capito solo in parte, come quelli di Claire Bretécher, Jean-Marc Reiser e Gotlib. Come autrice ho però sempre scelto delle cose umoristiche perché mi piaceva molto far ridere, e come narratrice penso di essermi diretta verso il fumetto soprattutto perché ero molto timida e il disegno era una cosa che mi permetteva di non dovermi mostrare sulla scena, una cosa davvero difficile per me. Probabilmente, se fossi stata meno timida, sarei salita sul palcoscenico e avrei fatto teatro, magari recitato in commedie.
L.C.: Riflettendo sul tuo stile, oltre all’ironia, segnalerei che si nota anche un impatto grafico semplificato e nello stesso tempo sintetico. In realtà si può individuare un grande lavoro sui segni che compongono le vignette e, a mio parere, anche un respiro contemporaneo significativo, intendendo con ciò che io ci vedo alcuni aspetti di David Shrigley – alcuni, non tutti – e persino un certo Gary Panter, ossia ci vedo un’influenza del primitivismo americano. In altri casi mi sembra presente anche Jason, con cui si riconosce un legame che non si riduce alla creazione degli animali antropomorfi, ma è più profondo, riguarda lo stile narrativo, e l’ho riscontrato anche nelle tue storie per adulti. Di conseguenza, al di là delle assonanze artistiche che ho letto nella tua opera e al di là dei fumetti che hai letto, volevo che mi raccontassi quali sono i tuoi amori e le letture che fai adesso.
A.R.: Allora, due dei miei amori del fumetto umoristico sono Goossens, che ha lavorato sulla rivista “Fluide Glacial” e anche se ha una certa età per me non invecchia mai, e Pierre La Police. Scoprendo quest’ultimo ho subito uno shock, perché trovo che ha sviluppato una nuova forma di humour che mescola l’assurdo e la fantascienza. Poi sono stata influenzata anche da tutta l’esperienza dell’Association di David B. e Lewis Trondheim, ma leggo anche adesso molti fumetti diversi.
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L.C.: Mi interessa approfondire la tua esperienza nel mondo dell’editoria per bambini. Ti è concessa la stessa libertà che hai nel tuo lavoro per adulti o ti sono imposte delle regole da rispettare?
A.R.: No, ho sempre avuto una certa libertà. Col tempo ho imparato però i limiti da non oltrepassare, so ad esempio che non posso usare parolacce e sono cosciente di quello che sarà accettato o no dal mio editore. Poi ci sono anche delle leggi con cui mi sono dovuta confrontare. Quando ho scritto Le commissaire Toumi,29 che sarebbe un libro non per bambini ma piuttosto per preadolescenti, avevo designato sulla copertina della prima edizione il commissario Toumi che fumava. Quando il mio editore ha voluto pubblicare una seconda edizione del fumetto, mi ha chiesto di togliere la sigaretta perché nel frattempo era stata vietata la rappresentazione di personaggi che fumano nei libri per bambini.
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L.C.: Gli adulti sono generalmente assenti delle tue storie. Anche in Anna et Froga. Un altro tuo libro, Patti et les fourmis, racconta sempre un’avventura di una ragazzina, in questo caso Patti, ma si tratta di un personaggio che, andando su internet, scopre come rimpicciolire, diventa delle dimensioni di una formica e può fuggire dal mondo degli adulti. Da quel momento la piccola Patti vive avventure nel prato davanti a casa sua, scopre un mondo nuovo e fantastico, molto diverso da quello che possiamo immaginare noi o dall’universo dell’Ape Maia per esempio, che è stato sicuramente tra le tue fonti d’ispirazione. La cosa sorprendente della tua storia è però il fatto che, alla fine, Patti non ritorna più nel mondo degli umani, ma rimane a vivere nel prato in mezzo alle formiche e agli insetti. Anche in Coucous Bouzon, che è un tuo fumetto per adulti, c’è una severità di giudizio, un’ironia e a tratti un vero e proprio sarcasmo nei confronti del mondo adulto, che ricorda molto lo stile di Jason. Metti ad esempio in scena una situazione in cui gli impiegati sono trattati malissimo dal loro datore di lavoro, ma non si ribellano, lo accettano senza battere ciglio. Mostri quindi l’essere umano nel suo squilibrio, e sei molto severa con gli adulti, quasi intransigente, mentre sei più accondiscendente con le comunità di bambini.
A.R.: Per risponderti devo prima di tutto spiegare che se Patti rimane piccola alla fine del volume è perché doveva esserci un seguito alla storia, che poi invece non è stato realizzato. In realtà però non faccio differenze tra il mondo dei bambini e degli adulti. E il motivo per cui molti comprano i miei libri tra i più grandi è che quando racconto non mi rivolgo esclusivamente ai bambini. Da storia a storia, l’universo che metto in scena cambia, ma i miei personaggi potrebbero ritrovarsi in ognuno di essi. Bubu è un personaggio un po’ falso che si potrebbe, ad esempio, ritrovare nel mondo dell’azienda di Couscous Bouzon.
* (hanno collaborato alla trascrizione e redazione del testo: Claire Denèle, Clémence Adele Bauer, Kleio Anagnostou (Κλειώ Αναγνώστου))