La storia del disegno diventato simbolo di solidarietà per le vittime di Parigi

Uno dei simboli che hanno accompagnato la campagna di solidarietà e sensibilizzazione ruotata attorno agli attentati di Parigi di venerdì 13 novembre, è l’immagine sottostante, intitolata Peace for Paris, diventata in poche ore virale in tutta la rete.

Una semplice silhouette della Torre Eiffel inserita all’interno del simbolo della pace, tratteggiata a pennello, segno di immediatezza, spontaneità, senza mediazione, dalla mano dell’artista al foglio, e poi nella rete.

Il logo è opera del trentaduenne Jean Jullien, un illustratore francese residente a Londra. Appena appresa alla radio la notizia degli attentati, Jullien ha realizzato l’illustrazione, condividendola immediatamente su Twitter, Instagram e Facebook. Nel giro di poche ore è diventata simbolo di solidarietà verso la Francia intera, passando prima dalla rete e poi arrivando ad adornare gli striscioni lasciati sui luoghi colpiti (la CNN ha raccolto una galleria di forme in cui è stato usato il logo in questi giorni a Parigi).

Il disegno di Jullien è in pratica diventato il nuovo “Je Suis Charlie” (motto/logo nato dopo la strage di Charlie Hedbo dello scorso gennaio), muto e ancora più forte –possibilmente – dell’hashtag #prayforparis. Sì, perché quest’ultimo è stato fonte alcune critiche, tra cui quella del fumettista francese Joann Sfar (espressa con una vignetta), secondo il quale non è tanto di preghiere che ha bisogno la Francia, ma di gioia (in riferimento ad alcuni luoghi colpiti dall’attacco terroristico: un ristorante e una sala concerti, in un venerdì sera).

La comunicazione visiva di Jullien è stata più forte delle parole, le ha superate, riuscendo a unire senza confini, né linguistici, né di sfumature concettuali. Jullien è illustratore professionista, a Parigi ha conoscenti e colleghi. In merito alla popolarizzazione del suo logo e su come è nato, ha dichiarato alla CNN: «Io disegno. È questo il modo in cui mi esprimo. La prima reazione che ho avuto a quell’orribile violenza è stata un bisogno di pace». Il logo nasce come «una reazione diretta e spontanea», non mediato né da «schizzi o nient’altro di preparatorio». Tutto si è svolto velocemente, in modo spontaneo, mentre la conta delle vittime saliva, e seguire i feed news dei social network era il modo più efficace per rimanere aggiornati. Il suo logo è stato condiviso da ogni tipo di utente. Dopo quattro ore su Twitter si contavano 16.000 retweet dall’account personale di Jullien; dopo 24, il numero è salito a 53.000; mentre su Instragram, il post dopo 24 ore ha ottenuto 13 milione di “mi piace”.

A renderlo davvero virale, però, è stata cruciale la condivisione di un account Twitter fan di Banksy (ma anche su Instagram sempre da Therealbanksy) a partire dalla quale, sia celebrità che persone comuni lo hanno notato e condiviso a loro volta. E da lì è nato il fraintendimento: sia gli utenti che i media hanno attribuito erroneamente l’illustrazione a Banksy. Poche ore dopo, Banksy (quello vero) ha tenuto a precisare di non essere presente ufficialmente sui social network. Di fatto, il tweet del profilo “Therealbanksy” non era accreditato a Jean Jullien, e non era un retweet di quello originale, solo il post Instagram riporta il tag @jeanjullien.

Eppure, Jullien pare non aver preso affatto male questa sorta di plagio (che, tutto sommato, ha contribuito alla sua popolarità). «Non l’ho fatto per trarne guadagno. È stata solo la mia reazione spontanea cittadino, non di professionista. Non hanno importanza i credit», ha dichiarato al New York Times. Ai tanti che gli han chiesto il permesso di riprodurre il logo su magliette e gadget ha risposto: «purché i profitti vadano alle famiglie delle vittime». Ed è lecito dubitare che la libera diffusione dell’immagine – per forza di cose finalizzata anche al profitto – possa davvero andare solo a vantaggio delle vittime.

In tutto questo, suona quasi strano il comportamento corretto e alla luce del sole di un giornalista della CNN, che con un tweet ha chiesto al diretto interessato il permesso di usare l’immagine sul canale tv.

Buona parte del resto della stampa ha seguito il flusso di tweet e link associando l’immagine a Banksy, un nome che fa sempre notizia quando produce una nuova opera. A ora, sono seguite rettifiche, edit e titoli cambiati. Due esempi, uno più attento alle realtà del web e l’altro più tradizioneale: in Italia, l’Huffington Post titolava “Banksy, la vignetta dedicata ai fatti di Parigi: la Tour Eiffel nera inscritta in un cerchio come simbolo di pace”, editato poi in “La vignetta dedicata ai fatti di Parigi: la Tour Eiffel nera inscritta in un cerchio come simbolo di pace”; mentre il Quotidiano Nazionale resta online col primo titolo errato: “Peace for Paris’: il logo di Banksy simbolo dell’attacco di Parigi”.