Una donna in impermeabile rosso fugge nella notte, braccata da un uomo col volto deturpato da una cicatrice. Con una sequenza degna di un film noir si apre Wet Moon di Atsushi Kaneko, pubblicato da Star Comics a partire dal settembre 2015, a quattro anni dalla pubblicazione in patria. Se finalmente anche nel nostro paese possiamo avere il piacere di leggere le opere di questo autore, pressoché sconosciuto fino a poco più di un anno fa, lo dobbiamo al suo Soil (datato 2004, ma tradotto da Planet Manga nel 2014), apprezzato e salutato all’unanimità come una sorta di Twin Peaks versione manga.
Per i temi e il tratto poco “manga-style”, infatti, Kaneko è stato spesso accostato sia alla tradizione nipponica dell’ero-guro che al panorama underground occidentale. Ma l’associazione più gettonata – nonché, probabilmente, la più azzeccata – è senza dubbio quella col regista David Lynch. Azzeccata non solo per il gusto per i paradossi, le associazioni surreali e le perversioni umane che li accomuna (oltre che per l’attenzione alla resa visiva e ai dettagli), ma anche perché la narrazione di Kaneko possiede delle qualità decisamente cinematografiche. E Wet Moon non fa che riconfermarlo. Nell’orchestrazione dei tempi narrativi, nel montaggio interno delle tavole e nel gioco d’incastro delle sequenze, Kaneko si dimostra un ineccepibile e raffinato “regista grafico”.
Leggere per credere: aprire un volume di Wet Moon equivale, per senso di straniamento dalla realtà e di immersione assoluta in un mondo altro, ad abbandonarsi sulla poltrona del cinema o sul divano di casa, lasciandosi assorbire dalle immagini. Per un intero pomeriggio mi è stato davvero quasi impossibile staccarmi dalle pagine, tanto che mi sono ritrovata a sfogliarle con la stessa foga con cui faccio partire un episodio dopo l’altro di Hannibal – a proposito, i fan noteranno una certa affinità spirituale con lo show di Fuller (ci sono perfino i cervi!).

Del resto, che Wet Moon peschi a piene mani dalla settima arte è evidente fin dalle prime tavole, e nelle successive si percepisce un brulicare di omaggi e suggestioni che, di certo, non sfuggiranno ai cinefili. Vi ritroviamo gli incubi surrealisti di Un chien andalu e il cineocchio di Dziga Vertov, la morbosità di Hitchcock e atmosfere degne di Kubrick nei suoi momenti più cupi e impietosi. Tutto questo senza mai scadere nel vuoto citazionismo. Piuttosto, Kaneko gioca in modo sapiente e mai pretestuoso con l’immaginario del lettore, riuscendo così a plasmare un universo narrativo che va a incastonarsi senza sforzo nella tradizione dell’hard-boiled, del gangster movie e del cinema noir – quello a basso costo, che non ha paura di sporcarsi le mani e scavare nel torbido.
I presupposti per un poliziesco da manuale, insomma, ci sono tutti. Lo scenario è quello del Giappone di fine anni Sessanta, e precisamente la cittadina balneare di Tatsumi, vivace meta turistica nelle cui viscere si agita un mondo oscuro popolato da malavitosi, politici senza scrupoli e poliziotti corrotti dediti ai vizi più turpi. Sullo sfondo, la Guerra Fredda e la corsa all’esplorazione dello spazio: la sonda sovietica Luna 9 ha appena completato il primo atterraggio sulla Luna, gli USA rilanciano assicurando che entro la fine del decennio la bandiera a stelle e strisce sventolerà sul satellite.
Al centro della vicenda, come in ogni detective story che si rispetti, vi sono un inseguitore, il giovane ispettore Sada, e un’inseguita, Kiwako “La Squartatrice” Komiyama, colpevole di aver assassinato un collega e averne fatto a pezzi il corpo. Sada se l’è già lasciata sfuggire per ben due volte, e ora quella donna malinconica e silenziosa al limite della catatonia, che sembra sospesa tra il mondo dei vivi e quello dei morti, è diventata la sua ossessione. Attorno a lui si stringe, fin quasi a soffocarlo, una mostruosa galleria di personaggi secondari, tanto grotteschi quanto affascinanti. Mori, poliziotto corrotto che ha rinunciato alla sua umanità, sposato con un donna folle le cui nevrosi sono per lui fonte di ilarità; l’ispettore Kishi, seguace di una corrente religosa votata a una certa Signora Miranda e unico uomo asiatico ritenuto degno di ascendere ai cieli; la ballerina di night club Ruri, che ha sacrificato il suo occhio in cambio di un’informazione. E poi Tamayama, colui che vive nel futuro e traffica in predizioni. Incontrarlo è impossibile, a meno che non sia lui a volerlo. Vi apparirà solo nella completa oscurità, affiancato dai suoi fidati maggiordomi siamesi.
Non si può certo affermare che i personaggi secondari si muovano attorno al protagonista, casomai è l’esatto opposto. Il povero Sada è un peso morto che si ritrova sballottato da una parte all’altra, travolto dalla corrente delle loro losche macchinazioni e delle proprie ossessioni. Vittima di un misterioso incidente che gli procura allucinazioni, vuoti di memoria e blackout mentali, annaspa in una realtà che sembra sul punto di sgretolarsi, sospesa sullo strapiombo dell’incubo.

Il ritmo della narrazione si accorda alla confusione mentale del protagonista, alternando vuoti e pieni, visioni allucinate e buchi temporali, attimi di quiete e frenetiche sequenze di azione, e così anche lo stile grafico. Se le tavole di Soil erano caratterizzate dall’assenza quasi totale di ombre, il nero è senz’altro il colore predominante in Wet Moon: la parte oscura della luna è importante quanto se non più di quella visibile, ed è proprio nel nero, nei vuoti, nei silenzi, in ciò che non ci è dato vedere o sapere che si cela parte fondamentale della storia. Sta a Sada, e a noi con lui, ricostruire il contenuto dei rulli mancanti.
Unica eccezione al bianco e nero, il fil rouge che attraversa tutti gli incontri fra inseguitore e inseguita, è il rosso abbagliante dell’impermeabile di Kiwako, primo di una lunga serie di leitmotiv visivi che costellano l’opera – così come è una sequela di tic, riti e ripetizioni maniacali a scandire le giornate del protagonista. Le caramelle ramune, che Sada mastica in continuazione fin da quando era bambino, il manifesto con il volto di Kiwako che il giovane stampa e affigge in ogni angolo della città, e naturalmente la luna, onnipresente in ogni angolo e in tutte le fogge. A cominciare dal titolo.
È detta “wet moon” quella fase del ciclo lunare in cui essa ci appare come un ghigno sospeso nel cielo. E infatti sulla vicenda aleggia il sorriso maligno della luna di Voyage dans la lune, primo film a tradurre in immagini la sete di conquista che, decenni più tardi, si sarebbe tradotta proprio nella corsa all’esplorazione dello spazio che fa da sfondo alle disavventure dei personaggi e da specchio alle loro ossessioni. Tutti sembrano interrogarsi sulla medesima questione: non se l’uomo riuscirà ad arrivare sulla luna, ma se sia giusto che ci arrivi, e a che prezzo. Vale la pena di rinunciare a ciò che ci rende umani pur di realizzare i nostri desideri?
Forse la risposta si trova proprio nel volto pallido e mostruoso della luna di Méliès, sfondato dal razzo degli invasori umani, che non a caso è il doppio di quello del protagnista, deturpato dalla cicatrice che si è procurato inseguendo Kiwako. Se all’inizio della storia Sada, estraneo a ogni forma di corruzione, ci appare candido e puro come la faccia luminosa della luna, sarà solo addentrandosi nel suo lato oscuro che potrà ritrovare la donna che lo ossessiona. Un seme di quell’oscurità si trova già in lui, nel minuscolo frammento nero che si è piantato nel suo cervello nel corso del misterioso incidente. E, a dispetto dei suoi sforzi e del monito che ripete come un mantra – “L’uomo non deve assolutamente arrivare sulla luna” – è troppo tardi per impedirgli di germogliare. Come a dire che sì, è vero, il desiderio può renderci mostruosi. Ma chi non desidera può dirsi umano?
Wet Moon
di Atsushi Kaneko
Star Comics, 2015
3 volumi, 6,50 – 7,00 €
Leggi anche:
• Intervista a Atsushi Kaneko
• Assassination Classroom. Siete pronti a morire sui banchi di scuola?
• Tetsuya Tsutsui: «In Giappone la libertà d’espressione per i manga è limitata»
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Instagram, Facebook e Twitter.