Da Monolith a Lo chiamavano Jeeg Robot: i cinecomics di autori che i fumetti li hanno letti

Venerdì 11 dicembre, durante la dodicesima festa della rivista Fabrique du Cinéma (free press e progetto di piattaforma multimediale sul giovane cinema italiano), si è tenuta una tavola rotonda dal titolo “Italian Cinecomics”: il tema della discussione è stata la diffusione di progetti, autoprodotti ma anche con alle spalle notevoli investimenti, legati al cinema di genere e ispirati più o meno direttamente a fumetti.

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Lo chiamavano Jeeg Robot

Ospiti della tavola rotonda, moderata dallo sceneggiatore e regista Mauro Uzzeo, erano giovani registi, alle prese con i loro lavori d’esordio o attualmente in fase di crowdfuding (Vincenzo Alfieri, Marco Pecchinino e Roberto De Feo), e due registi con produzioni in uscita per la grande distribuzione di cui abbiamo già parlato e delle quali torneremo ad occuparci: Ivan Silvestrini con Monolith e Gabriele Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot.

Roberto De Feo è reduce da un esperienza produttiva in America dopo che il suo corto splatter Ice Cream ha convinto un produttore americano a girare direttamente una versione lungometraggio (la cui uscita è attualmente bloccata per un problema legale). Marco Pecchinino sta per partire con un crowdfunding per realizzare una serie legata a Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco), di cui è attualmente disponibile un piccolo teaser trailer. Vincenzo Alfieri ha prodotto con Guinesia Il lato oscuro, cortometraggio liberamente ispirato alla storia di Batman che a breve verrà presentato in diversi festival, ed è già stato regista di un altro fan movie, Agent Never, liberamente ispirato al personaggio di Nathan Never.

La novità di questi fan movie e cortometraggi è sicuramente il livello tecnico e artistico più che buono. Prodotti che da un lato hanno carattere di omaggio appassionato e dall’altro di “biglietti da visita” per operatori del settore, confezionati sfruttando skills professionali, conoscenza dell’ambiente e nuove tecnologie oggi più accessibili.

Ivan Silvestrini e Gabriele Mainetti sono due registi di più lungo corso, sebbene Mainetti alla sua prima regia di lungometraggio: la tavola rotonda ci ha dato l’occasione di sentirli parlare delle loro opere già affidate alla grossa distribuzione televisiva e cinematografica.

Seguiremo questi due progetti su Fumettologica per diversi motivi.

Il primo, ovvio, è il loro legame con la narrativa a fumetti. Il secondo è la commistione di linguaggi diversi operata da autori che sono cresciuti leggendo i fumetti e che adesso sono interessati a intersecare i codici di diversi media (come in altri paesi già succede). Il terzo motivo è la nascita di nuovi progetti italiani in cui fumetto e film vengono pensati e prodotti parallelamente, senza che uno sia derivativo dell’altro o una sua semplice trasposizione.

Abbiamo già visto qualche prodotto nato recentemente con spirito simile, ad esempio Il Ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores (e autori vari tra fumetto e libro). Per Monolith e Lo Chiamavano Jeeg Robot le aspettative sono alte: parliamo intanto del primo film che uscirà con logo Sergio Bonelli Editore (produttore assieme a Lock and Valentine e Sky Italia).

Monolith

È un passo importantissimo per la casa editrice milanese impegnata in quella rivoluzione annunciata un anno fa, che ha uno dei suoi cardini nella creazione del dipartimento Sviluppo Proprietà Intellettuali: portare i personaggi e le storie su diverse piattaforme, tra le altre cose.

Monolith, disegno di Massimo Carnevale
Monolith, disegno di Massimo Carnevale

Il secondo caso è un tentativo, a quanto pare riuscito, a detta di critica e pubblico, di girare un film fortemente autoriale che mischiasse i canoni classici della narrativa supereroistica con un genere ben più radicato nelle corde del cinema italiano e in rinascita in questo periodo, il crime movie.

Per quanto riguarda Monolith, Ivan Silvestrini ha raccontato il suo rapporto con i fumetti anche in chiave di ironica “invidia”: è chiaro che costruire racconti su carta lascia delle libertà autoriali e produttive potenzialmente infinite, rispetto alla grossa e costosa macchina del cinema. Forse il suo pensiero è andato alle difficoltà incontrate e superate sul set (il film avrà una grossa componente di lavorazione ed effetti creati in postproduzione, traguardo raggiunto grazie allo sforzo di grossi produttori).

Girato nel deserto dello Utah, l’intero progetto prende il via da un soggetto di Roberto Recchioni, il cui pitch è chiaro ed è stato svelato già da diverso tempo (Fumettologica ne parlava un anno fa). Bonelli pubblicherà il fumetto, presumibilmente a ridosso o in contemporanea all’uscita del film.

Il progetto è attualmente blindato: la delicatezza della produzione, la strategia di uscita da definire, la presenza di più di un produttore e di un broadcaster di peso dettano regole precise. Non secondaria poi, ovviamente, la necessità di dover gestire un prodotto innovativo, non ancora testato.

La parte interessante da annotare, tra le cose raccontate, è stata la presenza sul set dello stesso Lorenzo Ceccotti, autore del fumetto. Fumetto e film nascono come prodotti totalmente paralleli. È lo stesso Silvestrini a raccontarci che Ceccotti ha prodotto, direttamente sul set, più di 1500 disegni, tra studi preparatori, storyboards e, cosa ancor più interessante, l’intero design della coprotagonista della storia, il modello di macchina Monolith nel cui abitacolo, impenetrabile e sicurissimo, rimane imprigionato il figlio della protagonista. Ci auguriamo di poter vedere un’edizione con questi contenuti extra.

Ma c’è un altro aspetto da sottolineare: gli autori sono arrivati dove viene creato il cinema dei grandi blockbusters. La macchina di Monolith è stata assemblata, racconta il regista, “nella stessa officina che ha creato la moto di Terminator”. Una simile opportunità di lavoro creativo non può che arricchire e stimolare, portare nostri autori sul terreno fertile dei paesi con grandi industrie culturali e di intrattenimento. Torneremo ad occuparci presto di come verrà gestita la narrazione nel film e nel fumetto, e di come i due team lavorativi hanno sviluppato il tutto.

Lo chiamavano Jeeg Robot

Con la produzione di Mainetti, il discorso si sposta su di un altro piano. Lo chiamavano Jeeg Robot nasce come autoproduzione, anche se la Goon Films di Mainetti ha avuto poi il sostegno di importanti partner, tra i quali Rai Cinema. Il film si basa su un soggetto originale di Nicola Guaglianone e la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani da Nicola Guaglianone e Menotti.

Fattosi già notare per i corti Basette e Tiger Boy, entrambi su soggetto e sceneggiatura di Guaglianone, Gabriele Mainetti ha potuto produrre un film che al momento è un unicum nel panorama italiano, un film supereriostico ambientato nella periferia romana (da febbraio la Lucky Red lo porterà al cinema).

La storia è originale e non si basa su un fumetto, piuttosto allaccia il genere supereroistico e i suoi canoni rileggendoli all’interno una storia di periferia, di emarginazione e criminalità. L’omaggio al mondo dell’animazione giapponese è nel titolo e nella fantasia distorta della protagonista femminile del film, convinta di vivere all’interno del cartone animato.

Lo possiamo leggere come un modo ironico di raccontare la permanenza nelle nostre coscienze di un certo tipo di immaginario (e Mainetti parlando cita esplicitamente quelle generazioni la cui fantasia si è plasmata con l’animazione, con i fumetti, con la narrazione giapponese e americana).

Mauro Uzzeo ci testimonia il successo del film in sala alla Festa del Cinema di Roma: presente “tutto il cinema italiano”, gli operatori del settore e i professionisti, compresi grandi nomi, il film è stato accolto da un’ovazione. Lo stesso Mainetti si dice stupito dell’accoglienza trasversale là dove si aspettava apprezzamento di “nicchia”. Segno che un bisogno di novità, anche se non necessariamente poi la voglia di investire, si fa sentire in tutto l’ambiente.

Mainetti, chi ha parlato con lui sa che è un grande appassionato e lettore di narrativa a fumetti e conoscitore del cinema internazionale, soprattutto americano (Luca Marinelli ha dovuto ovviamente leggere e studiare il Joker di Azzarello e Bermejo per preparare la parte), ci ha raccontato il fulcro della sua operazione produttiva. Creare una storia che non volesse in alcun modo imitare i film americani, perché l’America ha un rapporto storico – culturale con il mondo supereroistico forte e radicato anche sul territorio, ma che sfruttasse semmai quelle caratteristiche universali della figura del supereroe, il riscatto del debole, il tema dell’identità, calandole in una storia interamente italiana, in una provincia che non strizzasse l’occhio ad altre realtà.

Come si inseriscono i progetti nostrani nella polemica tra cinema d’autore e cinema di cassetta?

Il punto di vista di Mainetti e di chi si è formato lavorando: il traguardo costante, il trait d’union tra mercato e autorialità dovrebbe essere creare film accessibili a tutti (in questo caso la storia di criminalità, il lato comico e grottesco, le scene action) e mantenere la narrazione su più livelli senza compromettere nessuno aspetto della produzione, regia, scrittura, fotografia, punto di vista narrativo.

Mainetti ci ricorda che, piacciano o meno, i film supereroistici americani vengono affidati ad autori: Bryan Singer, Christopher Nolan, Kenneth Branagh, Ang Lee. Nel nostro mercato però l’autorialità non è una scelta dei produttori, inserita in una strategia commerciale. Piuttosto abbiamo autori che sono interessati, partendo da istanze personali, ad esplorare i generi, tentando ovviamente la scalata alle grosse produzioni e distribuzioni.

Mauro Uzzeo pone la domanda direttamente durante la tavola rotonda: è l’inizio di un nuovo corso, forse stimolato da coloro che nei decenni precedenti erano lettori e appassionati di narrativa fumettistica e di animazione e che ora occupano ruoli importanti, artistici o produttivi, nelle “stanze dei bottoni”? Probabilmente è un’ipotesi plausibile.

Un filone di produzioni sempre più legate ai fumetti, o operazioni come quelle di Sergio Bonelli Editore, tra i pochi ora in grado di sostenere un progetto simile, avranno un futuro e apriranno la strada ad interessanti progetti multimediali. D’altro canto un tipo di cinema di genere strettamente legato alle produzioni a fumetti seriali (non solo supereroistiche o fantastiche), anche lontanamente  paragonabile al mercato americano (come ampiezza di respiro narrativo, non certo di budget), non è ancora nelle corde della produzione televisiva o cinematografica italiana.

Ci sono però gli autori in grado di produrre progetti singoli interessanti, spendibili e fortemente connotati. Autori che hanno nel loro bagaglio culturale anche i fumetti. Il che è sicuramente una novità e una buona base per interessanti sviluppi. Se il pubblico dovese premiare abbastanza queste operazioni, allora si, si apriranno nuove strade.