“Salgari”: Hai di mille colori il mar

Hai i mille splendori del ciel

A leggere Il Politecnico si ha la sensazione che i milanesi, prima dei bombardamenti dell’agosto 1943, non abbiano ancora messo a fuoco la gravità della situazione. La guerra proietta nei loro occhi l’immagine di una realtà ancora bonaria: un’idea di apparente tranquillità che scompare violentemente quando le sirene dell’allarme antiaereo urlano nel cuore della città. Tre notti di distruzione. E dopo è impossibile non distinguere «i bombardamenti sull’Egitto e l’oppressione dell’India dal piacere di leggere il Corriere della sera».

Nella realtà dei fatti, Milano aveva subìto il primo attacco aereo nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1940, appena cinque giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia; il Politecnico sceglie però una data simbolica, quella dei bombardamenti del 1943, perché costituisce il momento in cui è più facile immaginare gli sfollati che, tra le macerie, spingono biciclette su cui hanno accatastato quel poco che si poteva salvare di tutta una vita.

Quando finalmente possono riemergere dai rifugi, i milanesi attraversano di corsa le solite strade, rese irriconoscibili dalle bombe, e, tra fumo e detriti, si avvicinano a casa. Il passo è spedito, il cuore in tumulto. Non tutti sono fortunati. Alcuni scoprono che le bombe, durante quelle notti di assoluta eccezionalità, hanno spazzato via le speranze di una vita ordinaria.

Irma Giussani, per esempio, dopo il terzo bombardamento arriva di corsa in via San Siro ma là dove sorgeva la palazzina in cui abitava con la sua famiglia non resta che un cumulo di macerie. A indicare con chiarezza la posizione dell’abitazione scomparsa è rimasto solo un calorifero. Irma è la zia di Angela e Luciana, due giovani donne di cui questa storia tornerà a parlare più avanti, tingendosi di nero, e che insieme alla loro famiglia fuggono dalla guerra rifugiandosi prima a Cervia e poi a Rimini.

Il territorio romagnolo non è il solo luogo in cui trovare scampo da una guerra feroce. Nel 1945 la milanese Valentina Rosselli trova rifugio al Lido di Venezia. Ha meno di tre anni (è nata il giorno di Natale del 1942), eppure deve scampare alle insidie dei soldati alleati che cercano di concupirla con il cioccolato. Qualche anno dopo, a Milano, Valentina risiederà al numero 45 di via De Amicis, nella stessa casa in cui Guido Crepax disegna le sue avventure. È proprio Crepax, nell’episodio “Le Zattere” realizzato nel 1980, ad accompagnare Valentina per le calli di Venezia. Ma forse la donna accanto a Guido in quella pagina non è Valentina; forse è Luisa, sua moglie, o forse Louise Brooks, la sua musa ispiratrice. Venezia è uno specchio: tra i suoi canali, tutto si confonde.

In quel dedalo di vie, Crepax è confuso e si aggira alla ricerca dei ricordi d’infanzia: vuole recuperare un passato durante il quale, ancora ragazzino, realizzava teatri di carta per la mamma del suo amico Aurelio. Quella ricerca scatena memorie e dal passato riemerge il dodicenne Guido che lancia uno sguardo sulla fine del conflitto:

«La guerra è finita! Finalmente… Oggi c’è la sfilata dei partigiani in piazza san Marco! Ma dovremo andare via da Venezia… però… torniamo a Milano… a Milano farò un sacco di disegni!»

A Milano, nel settembre del 1945, Guido incomincia a disegnare e a vivere. Riproduce la struttura degli albi di Phantom, (“il fantasma mascherato”): sedici pagine verticali su ciascuna delle quali disegna due strisce, prima a matita e poi con la penna, per raccontare le storie dell’uomo invisibile, della mummia, del dottor Jekyll…

Ritornerò laggiù nella valle dei fior

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La guerra è finita. Corpi che si muovono, che cercano un nuovo spazio, un nuovo ambiente.

Siamo ancora a Venezia e, mentre l’estate del 1945 sta finendo, tre giovani amici si ritrovano in osteria. Bevono Cabernet e Refosco, fumano sigarette e parlano di fumetti. Tanto le sigarette quanto i fumetti vengono dagli Stati Uniti: le sigarette sono arrivate con gli alleati; i fumetti, bellissimi, sono stati letti con voracità e passione, schivando la censura fascista. I tre amici sono il ventunenne Mario Faustinelli, il ventenne Alberto Ongaro e il diciottenne Hugo Pratt.

Per capire quali fumetti hanno in mente i tre amici, si deve sprofondare nei ricordi di Giambattista Bodoni, il bibliofilo che si chiama come il grande tipografo ma cui gli amici si rivolgono con il soprannome Yambo. È nato alla fine del 1931, quattro anni dopo Hugo. Nell’aprile del 1991 Yambo, che non ha ancora sessant’anni, viene colpito da un ictus che gli spazza via la memoria. Nella speranza che recuperi i ricordi, la moglie Paola lo manda nella casa d’infanzia, tra le Langhe e il Monferrato: un uomo vissuto tra i libri deve poter recuperare il proprio passato tra le carte dell’infanzia.

Bodoni si aggira per la casa e scopre che, tra i libri che ha amato da bambino, ci sono anche i fumetti, stampati in albi poveri ed effimeri: «la Banda Aerea, Fulmine contro Flattavion, Topolino e Macchia Nera, soprattutto Cino e Franco…». Quando riesce finalmente a raggiungere le carte più inaccessibili, quelle custodite in una stanza segreta che in casa viene chiamata “la Cappella”, si imbatte in un tesoro insperato:

«Le scansie […] contenevano, non rilegati, ma ben disposti in pile ordinate, i giornalini e gli albi a fumetti della mia infanzia. Non era roba del nonno, e le date iniziavano col 1936 e terminavano intorno al 1945.»

Quella miniera di carta rivela letture preziose. C’è il Corriere dei Piccoli, con il signor Bonaventura, sor Pampurio, Formichino e Cicalone, Pier Cloruro de’ Lambicchi, Marmittone, e poi Mio Mao, Bibì e Bibò, Fortunello, Arcibaldo e Petronilla; c’è il Vittorioso, con Giraffone, il pesce Aprilino, il trio Pippo, Pertica e Palla, Alonzo Alonzo, detto Alonzo, e, soprattutto, Romano il legionario; e poi c’è anche Topolino con il suo carico di avventura e di animali antropomorfi disneyani.

Mentre ricerca se stesso in mezzo a quelle pigne di giornali ben conservati, Bodoni si imbatte nelle annate dell’Avventuroso, un giornale che non può aver acquistato mentre usciva.

«Non potevo averlo acquistato io, che all’epoca avevo meno di tre anni, e non direi che me l’avessero comperato papà e mamma perché le sue storie non erano affatto infantili, erano fumetti americani concepiti per un pubblico adulto, anche se non pienamente sviluppato. Dunque erano copie che avevo rastrellato più tardi, scambiandole con altri giornalini. Ma acquistati da me, qualche anno dopo, erano certamente albi in grande formato dalle copertine coloratissime, in cui apparivano varie scene della vicenda narrata all’interno, come in un «prossimamente» cinematografico. Sia il settimanale che gli albi dovevano avermi aperto gli occhi su un nuovo mondo.»

Il primo numero è datato 14 ottobre 1934. Sulle pagine del settimanale, numero dopo numero, compaiono le avventure di Flash Gordon, ma anche quelle di Cino e Franco, di Jim della giungla, dell’Agente segreto X9, dell’Uomo Mascherato, di Mandrake, di Brick Bradford, di Radio Pattuglia e, dal 1938, di Terry e i pirati.

Mario Faustinelli, Alberto Ongaro e Hugo Pratt pensano proprio a quelle strisce quando, seduti sulle panche di quell’osteria, decidono di fondare una società per pubblicare fumetti. La chiamano Uragano Comics Inc. e con quel marchio danno vita a Asso di Picche. Ne producono tre serie, fino al 1949, quando due dei tre amici lasciano Venezia per andare a Buenos Aires.

E tu, terra di sogno, dille che l’amo e l’amo ancor

Salgari

Il rinnovamento del fumetto argentino, al termine della Seconda guerra mondiale, ha origini tutte italiane e un punto di partenza identificabile con precisione: il 18 giugno 1947, nelle edicole di Buenos Aires, fa la sua prima apparizione Salgari, un albo spillato di sedici pagine, venduto al prezzo di 30 centesimi.

Il giornale è pubblicato dalla casa editrice Abril di Cesare Civita. Nato a New York il 4 settembre del 1905, a trentun anni Civita era entrato nell’orbita del fumetto coordinando la pubblicazione italiana dei personaggi Disney e diventando socio di Arnoldo Mondadori nella casa editrice API (Anonima Periodici Italiani), incaricata della pubblicazione delle storie di paperi e topi. Nel 1938, poco prima dell’emanazione delle Leggi Razziali, l’ebreo Civita era stato costretto dapprima a dimettersi dagli incarichi amministrativi ed editoriali e poi a rifugiarsi a Parigi, dove aveva iniziato a gestire i diritti per la distribuzione all’estero di alcuni fumettisti italiani. Nel 1939, quando la situazione europea si era aggravata ulteriormente, Cesare Civita era emigrato con la famiglia negli Stati Uniti. Da lì, due anni dopo, si sarebbe trasferito in Argentina. A Buenos Aires avrebbe dato origine all’avventura dell’Editorial Abril.

Dopo aver lanciato l’edizione argentina della storie disneyane con il giornale El Pato Donald (Paperino), Civita porta in edicola Salgari, un settimanale specificamente dedicato al fumetto d’avventura italiano.

Sulle pagine di quel giornale si avvicendano, settimana dopo settimana, fumetti importati dall’Italia e tradotti per il pubblico argentino. Sebbene i fumetti di Salgari non presentino mai le firme degli autori, i lettori imparano ad amare il segno di Rino Albertarelli, Walter Bagnoli, Dino Battaglia, Paul Campani, Franco Chiletto, Walter Molino, Raffaele Paparella, Sergio Tarquinio, Aldo Torchio, Guido Zamperoni e, ovviamente, Hugo Pratt.

Nella penultima pagina del primo numero del settimanale, una nota editoriale intitolata “El capitán Salgari” racconta ai lettori le ragioni della testata e le motivazioni del nuovo giornale:

«Quando si pensa ad avventure per terra e per mare, con pirati e corsari, bramini e pellerossa, si affaccia alla mente un uomo che le riunisce tutte: Emilio Salgari. Non è necessario ricordare che Salgari è l’uomo che ha scritto i più popolari romanzi d’avventura, al punto che i suoi eroi sono così celebri da avere conquistato vita propria. Chi non conosce il Corsaro Nero, Sandokan, Tremal Naik o l’Olonese? Ma forse sarebbe opportuno ricordare un tratto speciale dello scrittore Emilio Salgari. Nelle vecchie edizioni dei suoi lavori apparse in Italia – la sua patria – il suo nome era preceduto dalla sua professione: capitano Salgari. Questo spiega molte cose: lo scrittore fecondo e inesauribile, riversò nei suoi libri non solo il frutto della sua fantasia, ma anche le sue esperienze di vita. A diciotto anni Salgari, avido di nuovi orizzonti, si abbandona al mare e all’avventura. I suoi genitori si oppongono. Non importa! Il vascello su cui si imbarca come ufficiale è vecchio e cadente, il capitano è di cattivo carattere e di pessima reputazione, e la meta è… la Malesia. Proprio lì andrà Salgari! E lì, in quelle terre selvagge e inospitali, dove le passioni sono sfrenate, dove il pericolo e la morte sono perennemente in agguato, conosce gli uomini che renderà immortali nei suoi scritti. Per sette anni percorrerà le foreste della Malesia, i porti delle Antille, i Mari del Sud; e così realtà e fantasia vanno disegnando le vigorose figure che, una volta tornato in Italia, Salgari racconterà nei suoi libri, i quali dalla sera alla mattina conquisteranno il mondo, appassioneranno i ragazzi e diverranno simbolo stesso dell’ardimento, della cavalleria, del pericolo, dell’avventura… Per questo la nostra rivista, proponendosi in particolare di diffondere l’opera omnia di questo grande scrittore, in una forma che lui stesso non avrebbe mai sognato – il disegno – considera imprescindibile adottare un nome che è già un lemma: Salgari.»

Forse m’attenderà sulla riva del mare

Misterix

L’esaltazione delle imprese di Emilio Salgari è decisamente fuori misura e poco rispondente al vero. A Verona, nel 1885, a detta di Paolo Bacilieri, il ventitreenne Emilio veniva deriso ogni volta che arrivava in città: «Oddìomamma! La tigre della magnesia!»

Proprio durante i sette anni che avrebbe dovuto trascorrere in Malesia, il giovane Emilio litigava con Biasoli, giornalista dell’Adige: «Voi non siete mai stato capitano di gran cabotaggio, né di medio o piccolo… né mozzo».

Le menzogne di Salgari sono finzioni che si innestano nelle sue narrazioni e lungo le quali è possibile articolare l’indice di un giornale capace di attirare l’attenzione dei ragazzi argentini. Le tre serie più importanti pubblicate dal settimanale Salgari sono Misterix di Max Massimino Garnier e Paul Campani, Asso di Picche (As de Espadas) e Junglemen (Hombres de la Jungla) di Alberto Ongaro e Hugo Pratt. Questi tre gioielli confluiscono in Misterix, il nuovo settimanale della casa editrice Abril, uscito il 3 settembre del 1948 nel formato orizzontale che caratterizzerà gli anni Cinquanta del fumetto avventuroso argentino.

Misterix è destinata a un pubblico emergente. Sono i lettori che stanno attraversando i dolori della crescita dell’adolescenza e cui, dopo la Seconda guerra mondiale, l’industria editoriale si rivolge con consapevolezza. Un pubblico, reso numeroso dal boom demografico, che mostra bisogni propri, autonomia di scelta e potere di acquisto. Un pubblico composto da individualità che cercano di conquistare un immaginario indipendente da quello dei genitori.

Cesare Civita modifica il proprio approccio verso la produzione italiana e, invece di importare e tradurre fumetti, invita i suoi connazionali a trasferirsi a Buenos Aires. Nel 1949, arrivano anche Pratt e Ongaro, attratti da condizioni economiche vantaggiose.

È proprio Pratt, in Aspettando Corto, a ricordare il momenti della partenza:

«[Asso di Picche] doveva essere un buon lavoro per quei tempi se una grossa casa editrice come l’Editorial Abril se ne era interessata e aveva acquistato i diritti di riproduzione. Queste cose noi del gruppo non venivamo a saperle subito perché Faustinelli era un capo molto riservato. Ci faceva delle sorprese, come quando disse a me e a Ongaro che da Venezia sarebbe passata l’agente per l’Europa dell’Editorial Abril e ci fu così l’incontro brevissimo e importante con questa Finzi; era di passaggio e ci parlò, letteralmente, dal predellino del treno: ci chiese se volevamo andare a lavorare a Buenos Aires. Un tempo certo una gran bellezza. Portava una rosa rossa nel seno e io dissi ad alta voce: “Chissà con cosa innaffia il lungo gambo di quella rosa?”. Lei dovette sentire perché si mise a ridere. E quella fu l’unica cosa che io dissi e forse anche per quella frase io mi ritrovai sopra la nave per l’America.»

Con una battuta piccante di Hugo Pratt inizia la grande avventura del fumetto argentino.