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RecensioniNovitàQuando i mostri sono gli adulti: Greedy Flower

Quando i mostri sono gli adulti: Greedy Flower

È uscito il cinque febbraio il quinto volume di Greedy Flower di Alessandra Patanè, in arte Alyah, una delle autrici di punta della scuderia Shockdom. Un traguardo importante per la serie, nata nel 2012 sotto forma di webcomic, che si concluderà col settimo volume (previsto in uscita a inizio 2017).

Leggi l’anteprima del terzo volume di Greedy Flower.

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Il primo volumetto è stato dato alle stampe nel gennaio 2014 e da allora, grazie anche al traino di una solida fanbase conquistata su internet, il suo seguito non ha fatto che aumentare. All’interno del catalogo Shockdom, editore che ha portato sugli scaffali delle fumetterie molti titoli autopubblicati sul web da fumettisti emergenti, Alyah forma, insieme ad Angela “Gumitien” Vianello con il suo Aeon e a Jessica “Loputyn” Cioffi con Cotton Tales, una sorta di trittico ideale: tre autrici giovanissime, promettenti e senza paura di usare la parola con la “M” – che poi altro non sarebbe che “manga”.

L’influenza del manga nel fumetto italiano – soprattutto in quello popolare – è un po’ uno spauracchio alla Lord Voldemort, tutti sanno che c’è ma non deve essere nominata, pena il discredito dell’opera in questione. Ti ispiri ai fumetti giapponesi, quelli con gli occhioni a padella e le teste giganti? Devi essere un giappominkia.

Ironia a parte, fa specie che pregiudizi simili, tanto o poco diffusi che siano, siano ancora radicati proprio in Italia, che spicca tra i Paesi occidentali per la massiccia penetrazione di cui anime e manga hanno goduto fin dagli anni Settanta; inoltre, che siano tanto diffusi non solo tra il pubblico generalista, ma anche tra chi di fumetti se ne intende – e magari, coi fumetti, ci lavora. Certo non è così per Shockdom che, accanto alla tradizione dei webcomics comici (da Eriadan a Sio) o al pop grottesco (da Luciop a Rincione), sta contribuendo a popolarizzare un “manga italiano” che non ha problemi a definirsi tale. E che sta riscuotendo un discreto successo.

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Greedy Flower tra i titoli sopracitati potrebbe sembrare quello che si discosta maggiormente dall’estetica manga per quanto riguarda lo stile del disegno, che, se da un lato ricorda i personaggi chibi, dall’altro conserva elementi più occidentali. Fra questi c’è senza dubbio il tratto di Bryan Lee O’Malley (Scott Pilgrim, Seconds), che del resto l’autrice ha annoverato più volte tra i suoi modelli, ma non mancano le citazioni all’universo dei manga e le mascotte kawaii, il tutto immerso nel classico bianco e nero tipico delle produzioni nipponiche.

L’universo di Greedy Flower, però, non è tutto rose e fiori (pun totally intended). Tutt’altro: l’aspetto ‘grazioso’ dei personaggi è in aperto contrasto coi toni del racconto, che a tratti sconfinano nel tetro.

Lo scenario è quello di una distopia dalla collocazione temporale e geografica imprecisata, un mondo in rovina in cui il male ha preso definitivamente il sopravvento sul bene. A tirarne le fila nell’ombra sono i Robo del Male, esseri demoniaci generati e alimentati dal dolore, dalla morte e dai vizi degli esseri umani. Il protagonista della storia è Keo, un bambino molto particolare e molto affamato. Anche la sua fame è particolare, e può essere placata solo da un alimento ben preciso: anime umane, di cui si nutre per mezzo di un mazzo di rose demoniache. Keo è in realtà un non-morto e agisce al servizio di Kurobo, l’attuale capo dei Robo, che ha fatto di lui un contenitore di anime di cui servirsi per accrescere il proprio potere.

Da novantanove anni Keo vagabonda solitario per il mondo, dimentico del suo passato e svuotato di qualsiasi sentimento. Finché un giorno, lungo la strada per Candyland – un parco dei divertimenti abbandonato verso il quale si sente inspiegabilmente attratto – s’imbatte in Moo, una petulante e iperattiva bimba di otto anni che, per qualche motivo, si rivela immune ai morsi delle sue rose. Ha con sé Bastet, un gatto nero che la segue come un’ombra, e una scorta di bizzarri lecca-lecca al sapore di anima (che, per la cronaca, sa di panna e fragola!). Anche lei è diretta a Candyland, dove spera di ritrovare i suoi genitori, anche se proprio non riesce a ricordarsi in quali circostanze li ha persi.

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Con riluttanza, Keo accetta (o forse sarebbe il caso di dire che viene costretto) di proseguire il viaggio assieme a lei, ma una misteriosa presenza è alle loro calcagna. Si tratta di Jeko, anche lui un ragazzino e anche lui con un passato oscuro. I suoi dreadlocks sono in realtà fameliche anguille in grado di sferrare terribili attacchi e, come Keo, è un non-morto trasformato dai Robo in contenitore. Ribellatosi a Kurobo, accumula nutrimento – non anime, nel suo caso, bensì ricordi, che può sottrarre a piacimento – per alimentare la propria forza, preparandosi a sfidarlo.

Quando i cammini dei tre bambini si incrociano, verità sepolte e terribili ricordi cominciano a riaffriorare, rivelando poco a poco il legame segreto che li unisce l’uno all’altro. La narrazione procede su più livelli, alternando presente e passato, realtà e illusione. Scopriamo il tragico passato di Keo, segnato da una tragedia famigliare con un epilogo sanguinoso; la maledizione di Moo, unica umana al mondo in grado di vedere i Robo; i rimpianti di Jeko e i fantasmi che si agitano dietro la sua corazza. Nel frattempo, Kurobo e i suoi scagnozzi affilano gli artigli in vista del fatidico scontro con Nekrobo, il potentissimo Signore dei Robo, esiliato dal regno per aver preso le difese degli esseri umani. Di lui si sono perse da lungo tempo le tracce, ma il suo ritorno è nell’aria. E, per fermarlo, Kurobo deve mettere le grinfie sulla piccola Moo.

I Robo, per dirla tutta, suscitano più che altro tenerezza, con le loro buffe fattezze cartoonesche. In fondo non è colpa loro se sono cattivi, è che li disegnano così. I veri mostri di questa storia sono gli adulti. Ognuno di loro fa più paura di qualsiasi mostriciattolo nero, e a farne le spese sono sempre i bambini.

Greedy Flower è innanzitutto una storia di bambini delusi e disincantanti, traditi da chi dovrebbe proteggerli. Dal primo all’ultimo, i “grandi” di Greedy Flower sono, se non proprio pessimi, del tutto inadeguati a ricoprire il loro ruolo: dai genitori di Moo, più preoccupati di salvaguardare il loro status sociale che della felicità della figlia, alla madre di Keo, che crolla sotto il peso degli eventi e abbandona il piccolo a sé stesso, fino al padre e al suo misterioso socio in affari, artefici del declino della famiglia. Sono adulti mancati che si lasciano dietro una scia di bambini spezzati, abitati da mostri voraci di cui loro stessi hanno piantato il seme. Perché se è vero che gli umani agiscono sotto l’influenza dei Robo, non bisogna dimenticare che sono stati loro, in primo luogo, a generarli.
I tre protagonisti portano la medesima ferita, alla quale ognuno reagisce a modo suo. Moo con la sua allegria sfacciata, al limite dell’ottusità, Jeko ostentando una durezza d’animo che in realtà non gli appartiene, Keo chiudendosi a doppia mandata nella propria solitudine. Ma il momento in cui i tre si aprono l’uno all’altro è anche quello in cui cominciano a guarirsi a vicenda.

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Allessandra Patanè esplora temi grossi, brutti e cattivi, ma lo fa con passo lieve e con tocchi di umorismo che riescono a stemperare anche i passaggi più cupi della vicenda, scongiurando il rischio di una drammaticità caricaturale ed eccessiva. È come se gli eventi ci venissero presentati così come sono percepiti dai bambini, filtrati dall’ingenuità del loro sguardo.

I limiti di una fumettista giovane e alle prese con la sua prima storia lunga si percepiscono, ma in fondo Greedy Flower è una storia di crescita, ed è anche una storia che cresce insieme alla propria autrice. Un capitolo dopo l’altro si assiste alla sua evoluzione, sia nel disegno che nella narrazione. Le tavole si presentano sempre più ricche e dinamiche, i dialoghi si fanno più scorrevoli, lasciandosi progressivamente alle spalle una certa tendenza a spiegare per iscritto, piuttosto che lasciar parlare la storia e le immagini, che si faceva notare nei primi capitoli.

Insomma, consiglio la lettura di Greedy Flower perché è avvincente, tenero, divertente e perché leggerlo fa bene al cuore, così come fa bene sapere che esistono realtà editoriali pronte a investire su progetti di questo tipo. A questo proposito, ed estendendo il discorso anche ad altri titoli dello stesso editore, va detto che in casa Shockdom non guasterebbe un po’ più di cura sul fronte editing. Una rapida correzione di refusi e imprecisioni grammaticali – perdonabili ai fumettisti, un po’ meno a una casa editrice – non farebbe che aumentare la qualità e la credibilità delle loro pubblicazioni. Il materiale di partenza è già buono, ma all’editore spetta il compito di limarlo, impacchettarlo e metterci su un bel fiocco.

Per concludere, un’ultima nota sulla fruizione del fumetto. Greedy Flower é una lettura godibile e appassionante in forma cartacea, ma si trasforma quasi in un’esperienza partecipata se seguito in contemporanea con la pubblicazione sul web. La pagina Facebook del webcomic non è semplicemente una vetrina per quest’ultimo, ma una vera e propria bacheca in cui un’affezionata comunità di lettori porta avanti un dialogo diretto con l’autrice, generando riflessioni sulla storia e i personaggi, ma anche tormentoni e inside jokes che talvolta riescono a farsi strada fino alle pagine del fumetto.

Questo continuo scambio tra autore e fruitore mette perciò in luce un aspetto interessante e peculiare della forma-webcomic, che nel caso di Greedy Flower pare particolarmente accentuato: il web non sta cambiando solo il modo di leggere i fumetti, ma anche il modo di realizzarli.

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