Don Rosa, da Paperopoli a Napoli [Intervista]

Giunto in Italia per la ripubblicazione della sua Saga di Paperon de’ Paperoni (sul primo volume della nuova collana di Panini Comics Tesori International), Don Rosa era tra gli ospiti più attesi del Napoli Comicon 2016, e di certo non si è fatto desiderare. Ogni giorno, dalle 10 alle 13 (anche 13.30) si è presentato al suo stand per firmare autografi e fare foto con i fan. Dalle 15 alle 19 si posizionava poi allo stand autografi per fare gli sketch ai venti fortunati estratti a sorte per ricevere un suo disegno. Insomma, un vero stacanovista e una persona con un grande rispetto per i fan.

Durante le quattro giornate di Comicon c’è stato anche il tempo per un incontro e una chiacchierata con il pubblico, che noi abbiamo seguito e della quale vi riportiamo le parti più interessanti. A tenere la conferenza c’erano la direttrice di Topolino Valentina De Poli, Alberto Becattini, Lidia Cannatella, Fabio Michelini, Blasco Pisapia, l’editore Stefan Brenner e gli esperti Federico Fiecconi, Andrea Ippoliti e Nunziante Valoroso, oltre a una delegazione di Papersera.

Don Rosa

Nel corso di questo Napoli Comicon è stato presentato e reso disponibile al pubblico il primo numero di Tesori International (edito da Panini Comics e in uscita l’1 maggio), dedicato interamente alla Saga di Paperon de’ Paperoni. Era da dieci anni che Don Rosa non veniva pubblicato in Italia, e sono passati vent’anni da quando fu pubblicata per la prima volta questa saga. Ma come si è arrivati a tutto questo? Partiamo dal principio: come nasce la passione per i fumetti e per i paperi di Don Rosa?

Be’, la mia passione nasce grazie a mia sorella, di undici anni più grande di me, e appassionatissima di fumetti. Ho iniziato a leggere i suoi comics e così mi sono avvicinato alle storie di Carl Barks, innamorandomene. Leggevo e adoravo anche i fumetti della EC Comics.

Come nasce l’amore e la passione per Zio Paperone?

Nel 1952 uscì il primo numero di Uncle Scrooge (la denominazione americana di Zio Paperone), un albo trimestrale che aveva la cadenza delle stagioni. Perciò leggere una storia di Zio Paperone diventava per me una sorta di regalo che ricevevo ogni tre mesi e che scandiva il mio anno di vita, e io le attendevo con ansia. Mi piacevano perché erano molto avventurose e con trame ben sviluppate, molto più di altre storie Disney. E poi in quelle storie Paperino, fino ad allora il papero più importante e conosciuto, era la spalla di Paperone. Questo fatto, unito alla sua personalità e alla qualità delle storie, a poco a poco lo rese il personaggio più importante di Paperopoli.

Come hai iniziato a scrivere fumetti?

Ho lavorato per molto tempo nell’azienda di ceramiche della mia famiglia. Quella era la mia attività principale, mentre i fumetti erano il mio secondo lavoro. Cominciai a scrivere storie Disney nel 1985 per la casa editrice europea Gladstone, che realizzava storie originali solo in seguito acquistate dalla casa madre. Nel 1991, passai a lavorare per la danese Egmont, e fu lì che mi proposero di scrivere la Saga di Paperon de’ Paperoni.

Qual è stato il tocco in più che hai dato a Zio Paperone, rispetto al suo creatore Carl Barks?

Ho solo cercato di riempire i punti lasciati vuoti da Barks, raccontando in maniera dettagliata le sue origini. Ho cercato di entrare nel profondo della famiglia di Paperone e in quella di Paperino, rispettando tutti i riferimenti che Barks aveva dato, sparsi nell’immensa quantità delle sue vignette. Ho impiegato due anni a raccogliere tutti i punti e le citazioni del passato di Paperone di cui aveva parlato Barks. Le sue storie sono state sempre il punto di riferimento iniziale, e quando ho finito di scrivere i dodici capitoli della saga li ho mandati a Barks stesso per avere un suo parere. Fortunatamente ne è stato soddisfatto.

tesori

Sei riuscito a dare un tocco diverso a Zio Paperone e ai fumetti Disney, rendendoli più maturi. Era questo il tuo obiettivo?

In quelle storie ho affrontato il tema della morte, una cosa che non si vede spesso nel mondo disneyano, però volevo parlare di tematiche serie mettendoci comunque dentro delicatezza e ironia. Poi, mentre Barks aveva solo accennato alla povertà di Paperone, io l’ho rappresentata. Ho fatto vedere la sua fatica, i suoi sforzi, la sua determinazione. Diciamo che è l’incarnazione di una sorta di sogno americano.

Un punto rimasto oscuro nelle origini dei paperi riguarda Qui, Quo e Qua (l’identità del padre è tutt’ora sconosciuta e non è chiaro cosa sia accaduto ai loro genitori dopo che sono stati affidati a Paperino). Potresti dirci qualcosa in proposito?

Questa cosa è un segreto che non voglio rivelare. Preferisco lasciare spazio all’immaginazione del lettore. Alcune cose, come l’incidente accaduto al padre di Qui, Quo e Qua, e da loro provocato, si può immaginare, ma non voglio raccontarlo. Si tratta poi di personaggi che non sono veramente miei, e non voglio rivelarne ogni cosa.

La Saga di Paperon de’ Paperoni è stata ripubblicata da Panini Comics a distanza di dieci anni. Cosa ne pensi del lavoro fatto per questa edizione?

Il team che si è occupato di questa nuova edizione italiana ha fatto un gran lavoro. Alla Egmont facevano edizioni per un target piuttosto basso. La Panini invece ha dato molta attenzione anche ai suoni onomatopeici, cosa che invece la Egmont aveva trascurato. Inoltre ho avuto la possibilità di seguire di persona questa edizione, ho fatto attenzione a ogni vignetta e per fortunata si è creata molta sintonia. Invece, ricordo che, per un’edizione finlandese, i redattori avevano preferito le impostazioni delle vignette della precedente edizione e non mi avevano ascoltato. Mi era sembrata una cosa assurda, tanto che a un certo punto avevo esclamato: «Ma dovete ascoltarmi, io sono l’autore!».

Avresti mai immaginato di diventare un autore così importante per la storia della Disney e del fumetto in generale?

A dire la verità non avrei mai immaginato di vivere raccontando storie, ma è successo. Ora stanno raccogliendo e pubblicando persino le storie che scrivevo quando ero ragazzo. Una cosa di cui posso essere soddisfatto è che, quando ho cominciato a scrivere storie sui paperi, i fumetti Disney erano morti, e con la Gladstone prima e la Egmont poi abbiamo dato loro una nuova vita.