«Il mondo non è, in se stesso, in un modo piuttosto che in un altro, e nemmeno noi. La sua struttura dipende dai modi in cui lo consideriamo e da ciò che facciamo. E ciò che facciamo in quanto esseri umani è parlare, costruire, agire, interagire.» – Nelson Goodman, La struttura dell’apparenza, 1951

Attraversata la Senna lungo il Pont Neuf verso la Rive Gauche e risalendo poi per tutto il Quai Voltaire, si incrocia Rue des Saints-Péres. Più o meno a metà di questa via comincia rue Verneuil. Fino a qualche anno fa appena la imboccavi ti trovavi davanti al civico 5 bis, dove dagli anni Sessanta fino alla morte (2 marzo 1991) aveva vissuto Serge Gainsbourg. Il muro di quella casa era una sgargiante collezione di graffiti e omaggi murali, lasciati da tutti coloro che lo avevano amato ed erano passati di lì. Nel 2013, per volontà della figlia Charlotte, è stato tutto cancellato. Oggi stanno cominciando a comparire nuovi graffiti e disegni, ma non è più la stessa cosa. Almeno per me.
C’era un altro motivo per passare in rue Verneuil. Poco più avanti, al civico 16, c’era la bellissima libreria Terrain Vague. Libreria che era stata la sede della omonima casa editrice fondata all’inizio degli anni Sessanta da Eric Losfeld. L’uomo che nel 1964 aveva raccolto in volume la Barbarella di Forest. In quella libreria si era presentato Guy Peellaert, deciso a surclassare in modernità il personaggio di Forest, con alcune tavole della sua Jodelle da sottoporre a Losfeld. Ne aveva ottenuto un’entusiasta proposta di pubblicazione. Nelle visite successive alla libreria, Peellaert sarà accompagnato da due amici: Pierre Bartier (l’autore dei testi di Jodelle) e il giovanissimo fotografo Philippe Druillet.

Maniaco appassionato di fantascienza, lettore abituale di Pilote, fotografo di scena e da qualche tempo illustratore per i manifesti dei film di Jean Rollin, Druillet propone a sua volta a Losfeld un’idea per un volume a fumetti. Idea accettata.
Nel 1966 per le edizioni Terrain Vague esce Le mystère des abîmes, la prima avventura di Lone Sloane. Questa storia, nel volume appena dedicato da Magic Press al personaggio di Druillet, non c’è. Cosa che non è neppure un male. Più grave semmai, in un volume che si autodefinisce “integrale”, è l’assenza dei tre episodi di Salammbô. Ma se, come mi auspico e come già annunciato, Magic Press ne pubblicherà un volume a sé, alla fine tutto è tutto a posto. Anche perché, in questo caso, non esiste alcun problema cronologico. Non è vero che senza Salammbô non si capisce Chaos. Perché non si capisce niente comunque.
Ed è proprio questa la grandezza e l’importanza di Lone Sloane. Lo stesso René Goscinny, decidendo di pubblicare Lone Sloane su Pilote, lo dirà chiaramente che non ci si capiva niente: «Je ne comprends pas très bien votre travail». Ma, aggiungeva, «je sens qu’il y a quelque chose, qu’il y a une valeur»: si poteva capire che quel fumetto era qualcosa di importante, di unico, di nuovo. Un cambiamento epocale, forse un po’ troppo in anticipo.
Non è infatti l’assenza di qualche tavola la cosa grave. Grave – a mio avviso, molto – è semmai il brutto, banale e troppo sottile lettering con cui l’edizione italiana disarma tavole in cui ogni dettaglio è fondamentale. Un attentato a quell’unicità di cui parlava Goscinny e di cui ora cercherò di spiegare la natura.
Una insopportabile vulgata sostiene che il fumetto sia una sorta di linguaggio o, nelle teorie più avanzate, una specie di sistema di linguaggi, perché le immagini, i disegni, designerebbero sempre qualcosa e avrebbero, di conseguenza, un significato. Questa idea, per me fuorviante, ha le sue radici nel dibattito (che fu, soprattutto all’inizio, utile e imprescindibile) sull’iconismo svoltosi tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta. Dibattito che vide tra i suoi maggiori protagonisti Umberto Eco e Tomás Maldonado. Tutta la polemica girò – la semplifico di brutto, ma è andata così – semplicemente attorno alle diverse regole di similitudine da applicare nella lettura delle immagini alle immagini stesse. Né Eco né Maldonado hanno mai dubitato (e questo è stato, a mio avviso – anche se in questi tempi di beatificazione potrebbe sembrare blasfemo affermarlo – il maggiore dei limiti teorici di Eco; Maldonado ne ha avuti di anche più gravi) che l’immagine non sia una proposizione (litigandosi, in fondo, su cosa sia una proposizione) e di conseguenza modello di una realtà fattuale (dando importanza e peso diversi a quella realtà). Se l’immagine è una proposizione, un sistema che la usa è un linguaggio. Questa, in sostanza, la conclusione che Fresnault-Deruelle traeva dalla lettura di La struttura assente di Eco e che formalizzava nel suo saggio del 1972, La bande dessinée. Essai d’analyse sémiotique (in Italia diventato, non a caso, Il linguaggio dei fumetti).
Quello che sfuggiva a questi studiosi, e che invece aveva perfettamente colto Goscinny decidendo di pubblicare, il 26 febbraio 1970 sul numero 538 di Pilote, Il Trono del Dio Nero, è che il fumetto non è un linguaggio perché è impossibile sapere, di un’immagine, di cosa essa sia immagine. Che dei fumetti, come di quelli di Druillet si può anche non capire niente, perché non significano niente. La verità è che, e qui tocca tirare in ballo Nelson Goodman (filosofo il cui pensiero non è stato particolarmente amato e anzi ignorato quando non fuorviato – come da Eco, in Kant e l’Ornitorinco – dagli studiosi di cui sopra), un’immagine per rappresentare qualcosa deve essere simbolo di quel qualcosa, stare al suo posto. Nessun grado di somiglianza o similarità è sufficiente per instaurare la relazione di riferimento richiesta tra Lone Sloane e un’altra realtà oggettiva. Lone Sloane, e come lui tutti i fumetti – con la differenza che Druillet lo riesce ad affermare con la potenza del suo disegno – sta solo per sé stesso. Non significa, è.

In quello stesso 1974 in cui Maldonado pubblica Avanguardia e razionalità (in particolare il capitolo “Appunti sull’iconicità”), ovvero il testo in cui critica La struttura assente di Eco (1968), portando al culmine il dibattito sull’iconismo, Dionnet, Moebius e Druillet mettono insieme il primo numero della rivista Métal Hurlant che uscirà a gennaio 1975 (lo stesso anno in cui uscirà il Trattato di semiotica generale con cui Eco chiuderà, in certo qual modo, il dibattito dando il colpo di grazia a Maldonado). Su quel numero comincia la nona avventura di Lone Sloane, Gail. Druillet ci metterà quasi tre anni a finirla (e va bene, in mezzo realizzerà quel doloroso e disperato gioiello che è La Notte), e Gail è una storia che ha la portata di un saggio che perfettamente si inserisce in quel dibattito, per chiuderlo ma in una direzione completamente contraria. Che sembra quasi sposare le teorie irrealiste di Goodman a cui si rifaranno tutti gli Humanoides.
Il nodo è il seguente: non c’è un unica realtà oggettiva di cui le immagini siano proposizioni interpretative. Ci sono tanti mondi, nessuno dei quali onnicomprensivo, quanti sono i modi di combinare e costruire sistemi simbolici. Ogni mondo è corretto e attuale. Ogni storia di Lone Sloane è unica e reale. Unica perché, intendiamoci bene, ciò che ha realizzato Druillet non è una molteplicità di mondi possibili alla Leibniz, ma una molteplicità di mondi attuali. I suoi fumetti non sono versioni del mondo, sono altri mondi.
Come ha sostenuto il fumettista e agitatore Jean-Pierre Dionnet, Druillet è stato la bomba che ha spazzato via tutta la riflessione pratica e teorica che c’era stata prima di lui. In Italia, purtroppo, bombe come questa sono ancora da tirare. Per questo il volume di Magic Press, nonostante tutti i suoi limiti, è indispensabile.

Uscendo dalla libreria Terrain Vague, e scendendo per rue du Bac, ti trovavi su Boulevard Saint-Germain. Percorrendolo in direzione della Senna raggiungevi in un attimo il Quai d’Orsay. Se avevi voglia di camminare potevi scendere verso gli Champ de Mars e, arrivato a metà del Quai de Grenelle, girare in rue du Théâtre. Qui potevi infilarti nella libreria Futuropolis, dei coniugi Robial. In quella libreria Dionnet, Moebius e Druillet ci fondarono e realizzarono i primi numeri di Metal Hurlant.
Da una libreria all’altra, insomma. Il fumetto: da organismo di confine a struttura del futuro.
Lone Sloane – L’integrale
di Philippe Druillet
Magic Press, 2016
320 pagine, 30,00 €