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FocusAndrea Pazienza e la Golden Age di “Frigidaire”

Andrea Pazienza e la Golden Age di “Frigidaire”

In occasione dei 60 anni dalla nascita di Andrea Pazienza, che ricorrono il prossimo 23 maggio, Fumettologica dedicherà al fumettista una settimana di articoli, interviste, ricordi e approfondimenti. L’iniziativa si può seguire sui social tramite l’hashtag #pazweek.

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andrea pazienza frigidaire

Nel novembre del 1980 avvengono due fatti destinati a entrare nei libri di storia: il repubblicano Ronald Reagan diventa il 40° presidente degli USA; l’Irpinia viene devastata da un terremoto di intensità pari a 6,9 gradi della scala Richter.

Fatte le debite proporzioni, negli stessi giorni si fa anche la storia del fumetto, almeno quello italiano: arriva nelle edicole il primo numero di “Frigidaire”.

La rivista nasce dalle ceneri di “Cannibale”, l’(a-)periodico inventato nel 1977 da Stefano Tamburini con la complicità di Massimo Mattioli, sulle cui pagine erano poi approdati per cooptazioni successive Filippo Scòzzari, Andrea Pazienza e Tanino Liberatore. “Cannibale” chiude i battenti nel 1979, a causa dalla totale insipienza commerciale degli autori, geniali creatori di mondi narrativi, ma del tutto inadeguati a gestire un’impresa editoriale, per quanto piccola. Per sbarcare il lunario – con l’eccezione di Mattioli, autore del coniglio foto-reporter Pinky per “Il giornalino” delle Edizioni Paoline – gli ex-cannibali iniziano a collaborare a “Il male”, il settimanale satirico allora sulla cresta dell’onda, nella cui redazione conoscono il giornalista Vincenzo Sparagna.

Dai colloqui tra Sparagna, Scòzzari e Tamburini, un po’ sulla scorta di “Actuel”, un almanacco francese di stranezze da tutto il mondo, e un po’ osservando quel che accade nel mondo della trasgressione e della devianza giovanile, pian piano si precisa la formula della rivista: un contenitore in cui stivare materiali presi dai luoghi più disparati e sorprendenti, quasi alieni e perturbanti, come fosse un frigorifero. Coerentemente, Tamburini propone “Frigidaire” come nome di lavorazione, passibile di eventuali modifiche (in seguito dirà con cinica schiettezza romanesca che avrebbe potuto suggerire “Cassetta de frutta” e per lui sarebbe stato lo stesso).

Il nome proposto esercita un’immediata fascinazione su Sparagna, che vi coglie echi della fenomenologia e dell’oggettivismo del nouveau roman. Inoltre, nel termine stesso “Frigidaire”, che da nome proprio della prima casa produttrice di frigoriferi è divenuto per antonomasia una categoria merceologica, vede la parodia delle marche pubblicitarie in un mondo sempre più mercificato. E quindi “Frigidaire” rimane.

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Tanino Liberatore (a sinistra) e Massimo Mattioli (a destra) ai tempi di “Frigidaire”
Tanino Liberatore (a sinistra) e Massimo Mattioli (a destra) ai tempi di “Frigidaire”

Non starò qui a ricordare i meriti di “Frigidaire” e dei suoi autori, tutti consegnati giustamente alla storia del fumetto. Più interessante mi pare ricordarne le vicissitudini editoriali.

La rivista parte col botto e si caratterizza fin dal primo numero per la ricerca di una fortissima carica autoriale, non solo nella parte a fumetti, e per la cronaca delle realtà molteplici del mondo, anche le più inaspettate, sorprendenti, minoritarie. Subito però iniziano anche i problemi economici: la società filo-socialista – ovvero filo-craxiana – Quadratum, che ha messo il capitale iniziale per pagare i collaboratori e si è fatta garante presso cartiere e stampatori del credito necessario per far partire l’avventura, si accorge subito che la rivista non ha nulla a che spartire con il proprio milieu sociale e politico di riferimento. Pretende pertanto la monetizzazione immediata delle quote azionarie in suo possesso, più il rientro dei soldi già anticipati.

La Quadratum viene liquidata con una montagna di soldi dell’epoca, 200 milioni di lire, in parte reperiti in maniera illegale, come racconterà lo stesso Sparagna quasi 30 anni dopo, nel suo libro “Frigidaire. L’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo” (Milano, Rizzoli, 2008).

È un brutto colpo, soprattutto perché sferrato immediatamente dopo l’approdo in edicola. In realtà, tutto ciò sarebbe ancora sopportabile, grazie al buon successo della rivista, che si stabilizza oltre le 20.000 copie vendute (numeri oggi fantascientifici, va da sé). Purtroppo però in quegli anni il prezzo della carta viene tenuto artificialmente altissimo per legge, al fine di favorire le cartiere. L’assurdità della situazione è così evidente che ogni anno, come stabilito dalla “Disciplina delle Imprese Editrici e Provvidenza per l’Editoria”, lo stato rifonde una parte dei costi dovuti alla carta consumata.

A decidere chi merita lo sgravio e chi no, è la “Commissione per l’Editoria”, che in teoria dovrebbe basare il proprio giudizio soltanto sulla base dell’effettivo consumo di carta e del carattere culturale, politico, religioso, economico, sportivo o sindacale della pubblicazione che lo richiede. In realtà non è così. La Commissione ovviamente non è altro che la longa manus del potere politico, che in questo modo può decidere chi far vivere e chi no.

“Frigidaire”, che non ha padrini politici di alcun genere, né li ha mai cercati, viene tenuta sotto schiaffo: anche se ottiene il diritto al rimborso di alcune decine di milioni, che salgono a centinaia con il passare del tempo, lo stato ritarda i pagamenti: il credito sarà saldato solo in parte e comunque dopo diversi anni, col risultato di strangolare economicamente la rivista.

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Andrea Pazienza (a sinistra) e Filippo Scòzzari (a destra) ai tempi di “Frigidaire”
Andrea Pazienza (a sinistra) e Filippo Scòzzari (a destra) ai tempi di “Frigidaire”

Nel 1986 arriva il colpo di grazia: la Commissione, presieduta dal socialista Giuliano Amato (sì, quel Giuliano Amato), prende a pretesto la pubblicazione in due dispense del paradossale “Manuale del killer” e la presenza di alcune bestemmie nelle lettere pubblicate nelle pagine della posta per affossare definitivamente la rivista.

Come rivelato da un’inchiesta del giornalista Pino Cimò, Amato si produce in una notevole performance leggendo con trasporto teatrale, e “per puro caso”, una tra le lettere incriminate, per poi concludere chiedendo retoricamente se anche le bestemmie sono cultura. Una funzionaria del Ministero dei Beni Culturali sostiene addirittura che “Frigidaire” mina alla base i valori della civiltà occidentale. Niente meno.

A questo punto, anziché limitarsi a valutare la veridicità del consumo di carta dichiarato o la presenza di pubblicità, come dovrebbe fare, per poi stabilire l’ammontare del rimborso spettante, la Commissione entra invece nel merito dei contenuti e revoca a maggioranza lo status di rivista culturale. I 150 milioni spettanti per legge come contributo carta per gli anni 1982-83 vengono dunque negati. Per la cronaca, Amato si astiene, forse pago della sua prova d’attore, o forse perché il suo voto è ininfluente. Sempre per la cronaca, nella medesima sessione la Commissione dà invece parere favorevole a “Playmen”, evidentemente considerata rivista culturale e perciò meritevole, essa sì, del rimborso statale.

La Commissione stessa, forse rendendosi conto dell’infamia perpetrata, suggerisce ufficiosamente di chiedere il contributo in qualità di rivista non già culturale, bensì politica. Viene rifatta completamente la trafila burocratica e per la prima volta la Commissione si trova a riesaminare una rivista già respinta in passato. Forse anche per le roventi polemiche seguite alla bocciatura precedente, questa volta il rimborso viene concesso, ma si tratta di meno della metà dei soldi spettanti, per di più liquidati due anni dopo, e in due tranches a distanza di diversi mesi.

Beffa finale: nel 1987 la legge sull’editoria verrà cambiata e a potere accedere ai rimborsi saranno i soli mensili culturali; per i mensili politici, più niente da fare.

La mancata concessione dei rimborsi è la posa della prima pietra tombale sull’avventura frigidairiana per come era stata pensata nel 1980: finiti i soldi per pagare gli autori, i collaboratori, l’affitto della redazione, la stampa, finito tutto.

Ma il 1986 è un annus horribilis non solo per quanto accade in Commissione: in aprile, nel suo appartamento a Roma, muore Stefano Tamburini. Le circostanze sono agghiaccianti: il padre di Tamburini telefona alla redazione, preoccupato perché da alcuni giorni non ha notizie del figlio, gli viene risposto che per quanto se ne sa è in vacanza e dovrebbe anzi tornare a breve; il padre insiste che è già tornato, lo sa per certo, e chiede a Sparagna di informarsi presso gli amici del figlio; viene fatto un giro di telefonate che però non porta a nulla.

Nel pomeriggio il padre chiama di nuovo, allarmato, perché i condòmini del figlio si lamentano per la puzza che esce dall’appartamento. Quando il padre, Sparagna e Pazienza arrivano a casa di Tamburini, ancor prima di entrare è già chiaro a tutti quel che troveranno: un cadavere in avanzato stato di decomposizione.

Vincenzo Sparagna (a sinistra) e Stefano Tamburini (a destra) ai tempi di “Frigidaire”
Vincenzo Sparagna (a sinistra) e Stefano Tamburini (a destra) ai tempi di “Frigidaire”

La morte per overdose risale a una decina di giorni prima e decreta di fatto lo scioglimento del gruppo. Quasi fosse un segnale precedentemente convenuto, la dipartita di Tamburini dà il via agli abbandoni in serie: Liberatore si trasferisce a lavorare a Parigi, Mattioli approda lui pure ad altri lidi editoriali che lo possano pagare, proprio come fa Pazienza (che peraltro ha già diradato le collaborazioni da tempo). Anche Scòzzari abbandona, almeno momentaneamente, e va a guadagnarsi da vivere con la pubblicità. Resta il solo Sparagna, che cerca di salvare il salvabile ricorrendo a ogni contributo purché gratuito o quasi, al fine di riempire le pagine della rivista, con il risultato di diminuirne la qualità e perdere copie e introiti, in una spirale negativa senza fine.

“Frigidaire” nel 1986 è dunque oramai moribonda, benché non abbia ancora cessato le pubblicazioni (e in realtà non cesseranno mai del tutto, nemmeno oggigiorno). E la tragica morte di Andrea Pazienza per overdose nel giugno 1988 non sarà che il suggello della fine: l’età dell’oro della rivista si è compiuta per sempre.

“Frigidaire” è morta. Viva “Frigidaire”.

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