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FocusFulvia Serra: l’incontro e la ‘scelta’ di Andrea Pazienza

Fulvia Serra: l’incontro e la ‘scelta’ di Andrea Pazienza

In occasione dei 60 anni dalla nascita di Andrea Pazienza, che ricorrono il 23 maggio, Fumettologica dedica al fumettista una settimana di articoli, interviste, ricordi e approfondimenti. L’iniziativa si può seguire sui social tramite l’hashtag #pazweek.

andrea Pazienza

Abbiamo tutti, anche quelli che non l’hanno conosciuto, un ricordo da raccontare su Andrea Pazienza. Il mio – che non l’ho mai incontrato – riguarda una delle prime volte che saltavo la scuola e, per caso, incappai con un amico nel bel mezzo di una mostra di suoi lavori, in un freddo mattino di ormai tanti anni fa a Milano. Passammo il tempo in mezzo ai suoi disegni, estasiati. C’era più da imparare lì, pensai, che in tante lezioni in classe.

Ovviamente ci sono persone che hanno ricordi più interessanti dei miei. Una di queste è senza dubbio colei che decise di pubblicare, per prima, le tavole di Andrea. Era l’aprile 1977 e la storia si intitolava Le straordinarie avventure di Pentothal, il giornale Alter Alter. La persona era Fulvia Serra, storica art director e poi direttrice di Linus, della rivista Corto Maltese e di tanti altri progetti.

Fulvia, mi racconti un po’ di Andrea Pazienza? Oggi avrebbe 60 anni. Quando l’hai conosciuto?

La nostra redazione (Linus, Alter Alter, libri, supplementi) era continuamente meta di disegnatori, autori che chiedevano di far vedere le proprie opere, i propri progetti per essere pubblicati o semplicemente ascoltati. Allora scegliemmo di incontrarli tutti i martedì di ogni mese. Nel 1977, ogni martedì era una ormai interamente dedicato all’autore. Giornata intensa quella in cui appare Andrea. Ha con sé una cartella porta disegni di ragguardevoli proporzioni. La apre e ci sciorina grandissime tavole dipinte di paesaggi, montagne, io gli spiego un po’ stupita che quelle opere sarebbero state benissimo in una galleria d’arte. – Capii più tardi di aver involontariamente toccato un suo tasto debole e d’orgoglio – Ma che noi pubblicavamo storie, vignette, articoli, racconti. Per i lettori.

Allora con aria tra il furbo e il timido estrasse un fascio di fogli un po’ sbertucciati e li ricompose stirandoli con la mano sul tavolo di redazione. Erano 10 pagine, un episodio intero delle Straordinarie Avventure di Pentothal! Una meraviglia di disegno e scrittura che mi e ci catturò a prima lettura. Una storia pazzesca di bellezza e contorsioni. Una storia tanto vera quanto incredibile.

Detto e fatto bloccai la stampa di Alter Alter a cui avevo dato il visto nella mattinata e chiesi di sostituire 10 pagine da…a… (ora è arduo ricordare chi e cosa tolsi e voglio restare imprecisa) e sostituirle con quelle che la Sagdos, lo stampatore, avrebbe  dovuto ritirare al più presto in redazione. E così fu e su Alter di aprile esplose l’avventura di un autore nuovo giovane, bello e irripetibile: Andrea Pazienza. Era il ’77. Il movimento. La ribellione. Gli scontri di piazza. La lotta contro le Istituzioni, contro lo Stato. E i patimenti dello stato d’animo tormentato di un giovane immerso e sommerso dalla vita. A Bologna.

pentothal andrea pazienza

Che reazioni ebbero gli autori storici di Linus, come Pratt o Crepax, con cui lavoravate nel 1977, rispetto allo stile di Pazienza? Fu da subito recepito come qualcosa di innovativo?

Non ho mai sentito commenti su Andrea da parte di nessuno, se non dai lettori. Non ricordo che commenti abbia fatto Hugo. Solo mi disse «me par ben’» delle storie di Andrea. Non capivo se le avesse lette davvero. Crepax, poi, non credo che si sia interessato a lui. Tranne forse quando lo pubblicai su Corto Maltese… Ricordo una certa resistenza da parte di Guido, perché  riteneva il segno un po’ “sporco”. Ma lo capisco, se paragonato al nitore dei suoi bianchi e neri da incisione! Non era però questo il punto. Capivo che con le proprie contorsioni psicologiche, la “pancia” del segno di Paz gli potesse sembrare poco intima. Forse destabilizzante – persino per Crepax??

Si racconta spesso che Andrea conobbe Pratt in ascensore, nella redazione di Linus…

Sì, Andrea raccontò di un suo fantasioso viaggio in ascensore con Hugo Pratt quando decise di venire a Milano a presentare le sue opere in redazione, quel martedì del ‘77. Semplicemente, l’incontro non ci fu. Pratt non c’era. E non ci fu neppure una lettera di Umberto Eco. Tutto ciò mi racconta di un Andrea insicuro e un po’ ‘vantone’, che voleva arricchire la favola del suo ingresso. La verità, tuttavia, la sapete da me: ero lì.

Questa domanda mi aiuta a fare chiarezza sul perché Andrea portò con sé, la prima volta, quei grandi dipinti di paesaggi – tele(?): non ricordo che la dimensione e i paesaggi, colline, monti di un verde cupo. Lo fece perché a suo modo doveva dimostrare al papà noto acquerellista di talento di non essere artista da meno. In realtà era venuto per sciorinare a sorpresa (coup de théâtre?) il suo Le Straordinarie Avventure di Pentothal. Invasive. Questo il vero incontro il resto è chiacchiera, memoria, vanteria, bugia e rischia di diventare leggenda.

Così iniziò la collaborazione.

Proprio così. Alter Alter diede il là ad “APaz” e la scelta fu responsabilmente mia e di Nicoletta (Pardi – Ndr) che l’aveva incontrato sulla soglia e anche capito: «Fulvia, vieni a vedere…» mi disse. Ricordo perfettamente.

alter alter 4 1977 andrea Pazienza linus
alter alter , aprile 1977 – Primo episodio de “Le Straordinarie Avventure di Pentothal”

Invece, quali furono le reazioni dei lettori alle tavole di Pazienza? Una nuova generazione cresceva con le sue tavole, alla fine degli anni Settanta, i gusti cambiavano…

I lettori furono i primi a reagire, come cartine al tornasole. Andrea era entrato direttamente dalle pagine di Alter nelle loro teste, passando per le loro viscere, con un impeto nuovo. Niente fu più come prima. E tra i lettori metto anche Oreste del Buono. Andrea ha raccontato un mondo brutalizzato aggrovigliato, contorto, evaporato e così vicino almeno in parte a ciascuno di noi razionalmente e irragionevolmente. In conclusione, pochi lettori rimasero indifferenti al suo irrompere nelle pagine di Alter prima e di Corto Maltese e Linus dopo. Al suo modo di percepire la storia minuscola intorno e tanto pervasiva da condannarlo con noi ‘fino allo stremo’.

Andrea, però, lo sento, chiede di uscire da questo recinto di memoria e io lo capisco. Via dal museo. Il suo spirito libero, limpido, a suo modo indipendente, credo sia stanco di essere indagato. Pace? Si dovrebbe smettere di osservarlo come anatomopatologi non solo del segno ma anche dell’invenzione. Circolano un sacco di ‘storie’ (eufemismo) nella rete. Io ricordo di suo con particolare affetto da lettrice una sturiellèt, quasi una vignetta che ho pubblicata su Linus. Imprudentemente la racconto. Ci provo. Lui sul pattino, forse un pedalò, i piedi sulla scia della ‘velocità’ nell’acqua che gli ‘spettina i diti’. Poesia. Anche questo è Paz.

Che rapporto ebbe con OdB?

Il mio direttore, che ne cadde invaghito alla prima lettura già ormai stampata… A mio ricordo, dopo la pubblicazione a sua insaputa forse Odibì incontrò occasionalmente una volta Andrea. A Lucca? Non ne sono certa. Posso solo intuire il suo impaccio, un po’ simile all’imbarazzo di non averlo scoperto lui. Neppure Andrea l’ha mai raccontato, che io ricordi e forse l’incontro non ci fu? Altrimenti ne sapremmo tutti un po’.

Infatti Andrea scriveva a me per chiedere informazioni e certezze (a esempio sulla pubblicazione indebita da parte di Città Futura mai autorizzata da nessuno di immagini di Pentothal a corredo di ‘altro’ loro) ma gli rispose lui per l’istituto del direttore responsabile. Io ci ho pensato allora sotto sotto forse era stato il suo modo di esserci accanto ad Andrea. E questo mi era piaciuto.

andrea Pazienza linus

Arrivarono poi Cannibale e Frigidaire. Come cambiarono le cose?

La nostra collaborazione non finì mai. Cannibale e Frigidaire trovarono una propria collocazione di lettura e lettori. Più arrabbiati, più nella linea della protesta e della grande voglia di sfasciare anche il benpensiero borghese. Cannibale e Frigidaire conobbero un Andrea un po’ troppo oltre le righe. Forse più insicuro, senz’altro più indagato. Non è una critica, ma una constatazione dell’influenza che possono avere i luoghi su coloro che si esaltavano di esserci. Una grande fucina rovente, quella della Traumfabrik, in cui tutto si teneva e tutto poteva sparire.

La voglia di provare tutto e di più già si era manifestata in Alter nel primo approccio di Andrea. O meglio più che un approccio fu un approdo al mondo della storia contemporanea vicina ma importante come ciò che stava accadendo a Bologna in quel 1977. Storia anche personalissima di situazioni indagate con furia attraverso il suo segno/fumetto sporco e pieno di correzioni. Quasi inesistenti, le nuvole. Ricordo che lui le chiamava corsivi, scolasticamente, le sue scritte e attribuiva alla loro forma quel senso di inquietudine che la parola scritta oltre alle immagini trasferiva nel lettore. La sua era una grande e nuova forma narrativa che spezzava tutti i ritmi noti e arrivava come un pugno allo stomaco per trasferirsi al cuore anche del sistema fumetto.

Poi tu fondasti la rivista Corto Maltese.

Sì, mi imbarcai nell’Ammiraglia. La presenza di Andrea a bordo di Corto Maltese fin dal primo numero, creò non poco dissenso interno. Ma a me piaceva avere voci dissonanti. E soprattutto, nella quasi totale “linea chiara” che caratterizzava la mia rivista, il segno disinibito di Andrea figurava benissimo, così come il suo contenuto e il linguaggio bene azzardati. A me piacevano, e piacquero anche ai lettori. Questo era importante. I racconti di Andrea entravano perfettamente nell’avventura di leggere che è stato il claim della campagna di Corto Maltese.

Ricordo la copertina azzurra del numero di Corto con Zanardi che significava che dentro c’era un suo racconto. Ed era Lupi. Un evento  davvero sonoro. Come dicevo, la nostra collaborazione non finì mai. Perché sempre Andrea mi chiamava, mi chiedeva se poteva raccontare una storia che gli era venuta in mente e me la anticipava con dovizia di particolari e incisi e allusioni e sottintesi. Poi non la mandava mai disegnata. Se io avessi avuto l’accortezza di prendere appunti per tutte le moltissime sturiellét che mi raccontava, ora potrei scrivere un’infinità di racconti suoi che ancora farebbero un terribile effetto di simpatia nel lettore. Ma dei tanti brandelli che mi tornano alla mente con la sua voce, tutto è mescolato, visionario, indistinto. Quasi impossibile. Le telefonate non solo con lui, ma con la sua mamma, con i suoi amori, persino con il suo pusher. Si perché ci fu un tempo quando lui era già a Montepulciano che mi si presentò alla cornetta come agente dell’artista Andrea Pazienza… ma questo me lo tengo per me perché fu un momento non troppo esaltante dei miei rapporti con Andrea. Anzi, fu un momento in cui non riuscivo a trovarlo per parlargli. Non c’era ancora il cellulare… Poi ci ritrovammo e lui mi chiarì anche di mandarlo al diavolo il supposto agente. Io non lo mandai al diavolo. Ricordo che gli dissi compunta (lui aveva anche la voce ignorante) gli dissi che se voleva potevo dargli consigli su come si valuta il lavoro di un Autore che viene pubblicato e resta proprietario delle sue tavole e un Artista che espone le proprie opere in una galleria d’arte per essere acquistato da collezionisti o estimatori. Non lo sentii più. L’ ‘agente’! Ma per prudenza allertai la vigilanza Rizzoli.

Andrea poi ci regalò (è anche un modo di dire ma quello fu) come allegato a Linus del 1986 un numero di Avaj dal Brasile. Ricordate? Un fascicoletto di viaggi col punto metallico con una striscia per pagina coloratissimo e inconfondibile: come il primi albi dell’infanzia di quasi tutti noi e come anche il primo Tex. Una chicca.

Allora Andrea stava molto bene sembrava aver riconquistato una serenità di spirito imprevedibile. Avaj è l’acronimo per Angese, Vincino, Andrea, Jacopo. E per chi non ricorda perfettamente, Angese la prima A, è la feroce e tenera matita surreale (su Linus fra le tante bellissime storie di satira, chiamò D’Alema sempre Minimo) la seconda A appartiene ad Andrea Pazienza, Vincino è sempre Vincino e Jacopo cela Jacopo Fo.

kendo andrea pazienza

Il tuo personale ricordo di Andrea qual è?

Eravamo in un teatro di Torino che non ricordo, in occasione di un incontro tra Arte e Fumetto. Ci ritrovammo accanto. Aveva un’aria disarmata. Non so bene perché, gli chiesi come stesse e d’improvviso, con gli occhi lucidi, mi confidò di stare malissimo: Betta. Era stata la sua donna, un amore che solo Marina successivamente gli avrebbe fatto dimenticare, ma allora non lo sapeva ancora. Gli parlai con affetto, con quella stessa preoccupazione e pena quasi materna che avevo sempre quando lo vedevo in affanno. Per questo si confidava. Stette in silenzio, un po’ troppo. Poi si alzò tirando fuori dalla tasca dei jeans una scatoletta tipo porta occhiali. Lo stesso gesto che aveva fatto quando aveva estratto dalla tasca posteriore le tavole della prima puntata di Pentothal. Ma quella lì non fu una bella storia. Andò in bagno e ritornò dopo un po’: aveva un’aria strana, quasi assente e gli occhi, quei suoi occhi irridenti e sorprendenti, erano spenti e puntuti. Nerissimi, fondi. Non servirono parole, anzi erano di troppo.

Il giorno dopo, io ero rientrata in anticipo a Milano per una riunione aziendale, mi raccontarono che Andrea si era messo un paio di occhiali rossi, una parrucca rossa a frangia e si era presentato in teatro scusandosi come Fulvia Serra per non so che… fece divertire tutta la platea con la mia imitazione. E mi dispiacque di non esserci stata. Davvero.

Chissà come la racconterebbe Andrea, oggi.

Avrebbe sessanta anni?… Non riesco a pensarci. Non riesco a immaginarlo. La sua fine terribile, maledetta e dolorosa è stata a suo modo perfetta. Il segno di una resa invincibile. Tanti anni dopo ne sono ancora convinta.

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