Il fumetto è un rompicapo

Chi parla e scrive di fumetti vive in balia di un dramma paradossale, che mi piace chiamare “la disgrazia del teorico”. Questo dilemma ha un’ingestibile nature bifronte. La prima delle due facce ha l’aspetto sgradevole dell’autore mediocre che, sollevando un sopracciglio, sentenzia: «chi è capace fa, chi non è capace critica!»

Cul De Sac, di Richard Thompson
Cul De Sac, di Richard Thompson

Per quanto poco possa valere l’esperienza personale, posso affermare che chi si lascia andare a un giudizio tanto inconsapevole, di solito, oltre a qualificare le ristrettezze della propria sensibilità, difficilmente realizza storie che sopravvivranno al suo raffreddore. Ti guarda di sottecchi, sorride, cerca un’alleanza informandoti che chiaramente non sta riferendosi a te, che sei l’unico che sa parlare con cognizione di causa e che magari un giorno recensirai con sguardo complice le sue pochezze. Poi affonda: «Se sapessero raccontare lo farebbero. Invece criticano, loro. La facilità delle chiacchiere di chi non conosce la fatica del lavoro. Ah… Ma tra il dire e il fare…»

La disgrazia del teorico ha però una seconda faccia ed è molto più sgradevole di quella del fumettista che ha subito una critica di troppo. Per quanto calzanti siano le tue recensioni, per quanto belli i modelli che hai costruito per spiegare il mondo, per quanto ampio il tuo sapere e per quanto estesa la tua consapevolezza delle narrazioni che mescolano parole e immagini, sappilo: non sarai mai in grado di raccontare il fumetto come fanno alcuni autori.

Già. Perché quell’autore spocchioso e poco dotato che indica l’incapacità del critico di capire il fumetto oltre gli effetti di superficie, pur dimostrando inconsapevolezza assoluta e insicurezza urticante, ha ragione: la migliore critica del fumetto è stata fatta dai suoi autori migliori.

Penso a Rodolphe Töpffer che ha inventato una misura del racconto visuale e poi la ha anche teorizzata, usando le parole, spiegando che se fosse stato solo uno scrittore o solo un disegnatore sarebbe stato mediocre in entrambi i campi, ma che mescolando i due codici otteneva un’innovazione dirompente. Il ginevrino aveva buone qualità tanto nella scrittura quanto nel disegno e, quando attenuava le proprie doti prese singolarmente, poneva enfasi alla propria grandezza di narratore che combina immagine e parola, figura e verbo.

Rodolphe Töpffer
Rodolphe Töpffer

Penso a Winsor McCay che ha mostrato che la pagina è una mappa piena di luoghi oscuri, contrassegnati da Hic Sunt Leones, su cui ci si può muovere con piglio da turista, da colono o da esploratore. Lo ha fatto, tutte le settimane, cartografando la Slumberland in cui si muoveva il piccolo Nemo. Ha scoperto che il racconto non è liquido, come vorrebbero alcuni, e non si adagia sul fondo del contenitore, assumendone la forma e assecondando la dittatura della forza di gravità. Il racconto è un gas: occupa tutto lo spazio che gli concede. E, allora, McCay ha lasciato che le sue narrazioni spaziassero altrove: nelle magnifiche illustrazioni editoriali, nell’animazione che ha contribuito a inventare e sul palco di quei teatri su cui recitava, interagendo con i suoi disegni.

Penso ad Antonio Rubino e alla normalizzazione delle pagine del Corriere dei Piccoli per costruire un’idea di racconto nazionale; a Harvey Kurtzman e al completo controllo sul movimento dello sguardo del lettore; a Jean Claude Forest e alla teoria del tempo e dello spazio che innerva tutti i suoi fumetti…

Penso a Guido Crepax che ha chiarito che sulla pagina tutto succede in un tempo di cui nessuno è padrone; a Gianni De Luca che ha mostrato che le vignette non sono le stanze di una casa da cui entrare o uscire; a Richard McGuire che ha spezzato la freccia del tempo e ci ha detto che “qui” può essere disaccoppiato da “ora”, in qualsiasi momento…

Penso a Paolo Bacilieri.

more fun bacilieri fumetto

Una lettura distratta del dittico composto da Fun e More Fun potrebbe indurci a pensare a un gioco di recuperi. Un autore con grande unità narrativa e con un segno che sintetizza la storia del fumetto (là dentro c’è proprio tutto), che decide di recuperare le decine di storie brevi, distribuite ovunque negli ultimi anni; per farlo, inventa una cornice che contenga tutte le sue storie, proprio come succedeva nei Classici Disney che leggeva da bambino (come faccio a saperlo? Io è Paolo siamo, oltre che amici, coetanei… Va be’, quasi: lui è più anziano).

Il dittico di Bacilieri racconta l’incredibile storia dei cruciverba e lo fa meglio di qualsiasi saggio che ti sia mai capitato di avere tra le mani. La storia, nella sua struttura più banale e banalizzante, è il concatenarsi di eventi salienti. L’antica maledizione che recita “ti auguro di vivere momenti interessanti” si riferisce proprio a quello: guerre, crisi, carestie, … Tutta roba che ha impatto sull’umanità e che trasforma la vita di tutti e di ognuno.

Bacilieri si occupa di una cosa apparentemente effimera. Il cruciverba è un oggetto pensato per rimediare all’insopportabile noia del vivere, persone che scavano nella propria esistenza mortifera un momento da dedicare completamente a un oggetto che le faccia sentire vive, una sfida che le allontani dalle preoccupazioni del mondo (dalla morte, appunto, ma anche dalle tasse) e che consenta loro, finalmente, uno spazio in cui sentirsi intelligenti perché stanno giocando con (contro) un individuo intelligente, che si è nascosto dietro una distesa di caselle bianche e nere e non vuole sopraffarle.

Raccontare la Storia, dice il sommo Carlo Ginzburg, è anche e soprattutto raccontare “una” storia. Paolo lo sa bene: è il suo mestiere. E allora decide di fornire un contesto narrativo che dia il senso dell’evento. Non è uno sbrodolone, non si perde in didascalie. Decide di giocare con le competenze del lettore e le pagine in cui succede tutto si riempiono di informazioni visuali. La vita quotidiana dei compilatori di cruciverba diventa una tassellatura di eventi, di facce, di fatti, di piazze, di odori… E la Storia entra con prepotenza nel racconto.

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bacilieri fumetto

Il cruciverba è il testo più incompleto che esista. Gioca con i buchi narrativi più di ogni altro, ma lo fa violando tutto quello che sappiamo sulla cooperazione interpretativa. Il cruciverba non lascia ampi spazi di manovra al lettore, che può decidere di usare il testo (o di abusarne), facendolo entrare in risonanza con i racconti che già conosceva. Il cruciverba vincola l’esecutore come nessuna altra narrazione farà mai: indifferente all’enciclopedia del suo lettore, esige un’unica lettura. Però spezza la freccia del tempo e la sequenza di soluzione – e quindi di lettura – dipende dalla vita del lettore, dalle sue esperienze.

Bacilieri lo sa. Entra nel racconto indossando i consueti panni di Zeno Porno e osserva la relazione fortissima che esiste tra chi racconta un fumetto e chi compone un cruciverba perché divenga il gioco con cui un solutore più o meno esperto si possa confrontare. Il racconto di Fun si compone dei tasselli eterogenei che Paolo ha pubblicato su giornali, riviste, guide, antologie… Ma perché questi frantumi assumano un senso narrativo compiuto, essi devono essere incrociati: fabula e intreccio; orizzontale e verticale. La logica del racconto diventa così un elemento narrativo ineludibile e tutto si tiene.

E, allora, quando penso alla pochezza delle mie analisi del fumetto, ho un nuovo nome da aggiungere all’elenco.

Penso a Paolo Bacilieri, che mi ha spiegato che il fumetto è un rompicapo, una sfida tra autore e lettore, un manufatto narrativo che non deve essere solo attualizzato nella lettura, ma deve anche, e forse soprattutto, essere risolto.