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FocusIntervistePaz e gli anni della Traumfabrik. Intervista a Renato De Maria

Paz e gli anni della Traumfabrik. Intervista a Renato De Maria

In occasione dei 60 anni dalla nascita di Andrea Pazienza, che ricorrono il 23 maggio, Fumettologica dedica al fumettista una settimana di articoli, interviste, ricordi e approfondimenti. L’iniziativa si può seguire sui social tramite l’hashtag #pazweek.

paz film

Come immaginerete, non è facile parlare dell’opera di Andrea Pazienza. Gli elementi che rendono sfaccettato il discorso sono tanti e si intersecano tra loro: Pazienza era una personalità geniale ed era in grado di raccontare immediatamente quello che viveva non solo con grande abilità visiva, ma con una sorprendente profondità di analisi. Ha vissuto in un lampo e disegnato – ma meglio dire narrato – un momento irripetibile, nel bene e nel male, della storia culturale del nostro paese. Lo ha fatto peraltro in un’età, fra l’uscita dall’adolescenza e l’ingresso nell’età adulta, che è essa stessa difficile, complessa, portatrice di drammatiche contraddizioni.

Andrea Pazienza è morto giovanissimo e, come per tutti gli artisti morti giovani, la sua opera e il suo immaginario sono rimasti congelati tra il passato e un ‘futuro potenziale’ che possiamo esplorare solo parzialmente. Anche per questo motivo abbiamo parlato con un non-fumettista che lo ha conosciuto bene, ovvero Renato De Maria, amico di Pazienza negli anni bolognesi e regista del discusso film Paz!, che ha messo su pellicola (per dire, perché il film fu girato in digitale) alcuni racconti e frammenti di Andrea:  Penthotal, Zanardi, in qualche modo Pompeo e vari appunti, vignette, pensieri sparsi.

Hai conosciuto bene Andrea. Come vi siete incontrati?

Era il 1979, avevo 17 anni quando l’ho conosciuto, Andrea qualcosa di più. In quel momento pubblicava già Pentothal ed era veramente, lo posso dire, “quasi una rockstar”, come lui stesso si definiva. I suoi fumetti erano molto conosciuti, e lui anche. Frequentavamo tutti e due un appartamento occupato a Bologna…

Vuoi dire la Traumfabrik? (De Maria sembra sorpreso di scoprire che la stessa Traumfabrik, e non solo Pazienza, sia ancora oggi conosciuta e ricordata)

Sì, esatto, in via Clavature. Era un appartamento diviso su due piani, una casa occupata dove passava tantissima gente, chi voleva poteva ovviamente dormirci… lavoravamo tutti assieme, c’erano Pazienza e Scozzari, Liberatore, Tamburini… al piano superiore stavano sempre i Gaznevada, all’epoca ho girato video per loro, per gli Stupid Set… Andrea andava e veniva, era sempre in movimento, si portava dietro spesso la Lettera 22 della Olivetti e il suo set di pennarelli. Scriveva i testi di Pentothal, era sempre in ritardo con le consegne. Me lo ricordo così, pennarelli e macchina da scrivere, sempre attivo. Io lo consideravo, e lo considero, uno scrittore, molto più che un disegnatore.

Quanto contava nel rapporto con tutti voi il fatto che Andrea fosse già molto noto?

Diceva di essere appunto “quasi una rockstar” e la sensazione era quella… ma in realtà era soprattutto una persona che portava sempre leggerezza, entusiasmo. Di tutti noi lui era quello che riusciva meglio ad incarnare il linguaggio che tutti utilizzavamo, quel misto di letteratura alta e parlata “bassa”.

Come è nato il film Paz! ?

Volevo fare un film su quegli anni, su quella Bologna e sul ’77. Volevo raccontare anche il momento in cui si cresce e sembra che tutto il mondo ti rifiuti, ti sia contrario. Ho pensato molto a come realizzarlo e poi mi sono reso conto che avevo i fumetti di Andrea che raccontavano già tutto. Ad oggi il mio film è anche uno dei pochissimi che abbia messo in scena dei fumetti, in Italia.

Come è stata accolta la tua proposta di progetto?

Male! Mi dicevano tutti che era impossibile trarre un film da Pazienza. Mi ricordo la reazione stupita di Domenico Procacci. Gli attori invece hanno fatto la fila per interpretare i personaggi di Andrea. Gino Castaldo de La Repubblica, che conoscevo da anni e che conosceva bene Andrea, mi suggerì di produrlo da solo. In seguito incontrai un giovane produttore che credette nel progetto, Matteo Levi. Girammo tutto con pochissimi soldi e praticamente una handycam! Ivan Cotroneo e Francesco Piccolo, all’epoca emergenti, scrissero con me il film.

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Come avete affrontato la trasposizione in film di fumetti che a volte erano anche episodici, quando non frammentati: singole tavole, vignette… ?

Siamo partiti da due opere in particolare. Pentothal, che era proprio il personaggio che volevo raccontare, lo studente, il giovane che affronta la vita e la Bologna di quei giorni, e Zanardi (in particolare nel racconto Verde Matematico) che è la sua evoluzione negli anni seguenti, il disincanto e il disimpegno degli anni Ottanta. C’è anche una parte di Pompeo: alcuni dialoghi di Pentothal (interpretato da Claudio Santamaria), sono presi da quell’opera che però ha rappresentato il momento finale, la chiusura di quell’epoca, per Pazienza. Non ci volevo arrivare, nel mio film. C’è poi un terzo personaggio, Fiabeschi (Max Mazzotta), che in qualche modo è “inventato”. È presente in una sola striscia di Andrea e nel film racconta tutta quella parte appunto frammentaria dell’universo narrativo di Andrea: le vignette, le tavole singole, le illustrazioni…

Abbiamo scansionato tutta l’opera di Pazienza e analizzato vignetta per vignetta. Non ho ripreso solo personaggi e dialoghi, ho anche a volte citato la regia di Andrea, portandola dalle singole vignette all’inquadratura. È uscito, dopo il film, un libro di Arcana Edizioni che riporta affiancate alla sceneggiatura tutte le vignette e le tavole che abbiamo utilizzato. Diverse persone che conoscevo dagli anni di via Clavature mi hanno aiutato. La ricostruzione della casa in cui abbiamo girato riproduce fedelmente i luoghi che noi vivevamo, come la Traumfabrik: la moquette verde, l’arredamento… Nel film ha lavorato con me alla scenografia Giampiero Huber (con lo scenografo Giancarlo Basili). Era stato il bassista dei Gaznevada, e mi ha aiutato a ricostruire tutto.

Credo che ciò di cui parlava Andrea fosse qualcosa di riconoscibile a livello universale, che poi è ovviamente quello che fa grande un’opera. Tutti si possono riconoscere in quella sensazione di lotta contro il mondo. Ancora adesso molti giovani che incontro mi dicono che si riconoscono nel mio film.

Quindi non concordi con quanti descrivono l’opera di Pazienza come troppo italiana e legata ad un momento?

Alcuni temi sì, raccontano proprio quel momento e il nostro paese. Il 1977 è stato un unicum nella Storia, e già nel resto dell’Europa è difficile raccontarlo, soprattutto dopo il 1968 che aveva accomunato invece diversi paesi. Noi eravamo distaccati dalla politica, erano anni di esplosione dell’immaginazione, dell’arte, amavamo gli avanguardisti, i situazionisti… Guarda ad esempio il gruppo Valvoline. Nasce pochissimi anni più tardi e già l’aspetto puramente politico era assente. Pochi anni, in quel periodo, erano un tempo lunghissimo. Noi sperimentavamo, tutti facevano tutto: video, musica, anche fumetti. Si disegnava tutti assieme. Proprio Andrea mi ha spinto a fare con lui un fumetto tratto da frame di un mio video, per Alter Linus. Leggevamo tantissimo, anche fantascienza: pensa alla nascita di Ranx Xerox…

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Fantascienza? E i testi più politici o di attualità?

Ricordati che il 1977 nasce in contrapposizione al ’68. Eravamo antileninisti, punk, l’avanguardismo e il situazionismo erano accuse che ci venivano rivolte … Philip K. Dick era uno dei nostri autori di culto: la Traumfabrik era piena di numeri di “Urania”. Cercavamo linguaggi nuovi e mischiavamo alto e basso. I nostri insegnanti all’università erano Umberto Eco, Gianni Celati… e da quella cultura alta sono nati Tondelli, Pazienza, Freak Antoni e tanti altri.

Andrea disegnava davvero in continuazione, anche per scherzare in situazioni tra amici o in pubblico?

Certo, tutti producevamo tantissimo in continuazione. Comunque ripeto che per me Andrea era soprattutto uno scrittore, che poi si esprimeva nel linguaggio del fumetto. Ma la scrittura era quello a cui teneva di più. Posso dire che era come una sintesi della grande abilità di Tamburini nella scrittura e di Liberatore nel disegno. Ho scelto apposta un monologo di Pompeo da far recitare a Santamaria: «L’alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo. Il simpatico, l’antipatica. Lo scemo naturale, due più due fa quattro, e sveglia alle otto!…». C’erano talenti alla Traumfabrik, molti hanno preso strade diverse: pubblicare regolarmente, all’epoca non ci si pensava. Mi ricordo inoltre di un grande amico di Pazienza, Nicola Corona. Andrea aveva un’ammirazione profonda per lui.

Cosa pensi avrebbe fatto Pazienza negli anni successivi a quel periodo? Stava già lavorando su un fumetto storico, di argomento mitologico…

Avrebbe continuato a scrivere. Non l’avrei visto cimentarsi col cinema o altro. Ma naturalmente è una domanda assurda purtroppo, senza risposta. Dopo il trasferimento a Montepulciano ho visto molto poco Andrea: lui si muoveva più verso Roma per Frigidaire, il Male… Sono stati anni incredibili ma anche dolorosi e alla fine tutti abbiamo lasciato Bologna. Agivamo, non pensavamo al futuro. A trent’anni saremmo stati vecchi, pensavamo.

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