Zanardi, l’eredità del 77 e la dissonanza cognitiva

In occasione dei 60 anni dalla nascita di Andrea Pazienza, che ricorrono il 23 maggio, Fumettologica dedica al fumettista una settimana di articoli, interviste, ricordi e approfondimenti. L’iniziativa si può seguire sui social tramite l’hashtag #pazweek.

zanardi andrea pazienza

Il 16 giugno del 1988, moriva Andrea Pazienza. Una quindicina di giorni più tardi, io nascevo. No, non credo certo che i due fatti siano collegati in alcun modo. Ma quello che si può desumere da questa breve nota biografica è che io e Pazienza apparteniamo a due generazioni diverse. E che la sua opera ha per me – per quelli della mia età, e per i più giovani – un altissimo valore storiografico. Ha la capacità, in altre parole, di far rivivere un preciso momento storico, attraverso le immagini, le parole e i segni di un’Italia che non esiste più.

Di questo, però, si può dire di un po’ tutta la letteratura, arte, cinema – e ovviamente fumetto. La particolarità di Paz, così come degli altri ‘Cannibali’, consiste nell’aver fotografato un periodo storico di vitale importanza per il nostro paese e l’Occidente tutto: la controcultura, l’onda lunga del ’68, il movimento convulso ed eterogeneo del ’77, la Bologna del DAMS. La mia è nostalgia per procura, nei confronti un momento storico e artistico che non ho vissuto, per ovvi motivi anagrafici, e di cui sopravvivono i fumetti, i libri, le canzoni. Gli autori un po’ meno. Chi è morto giovane (Pazienza, Stefano Tamburini), chi meno giovane (Freak Antoni), chi c’è ancora ma è irriconoscibile (Giovanni Lindo Ferretti).

zanardi andrea pazienza giallo scolastico

Apparso su Frigidaire nel 1981 con Giallo Scolastico, il liceale bolognese Zanardi è una delle più sorprendenti invenzioni di Pazienza. Inseparabile dai compagni di merende Colasanti e Petrilli, incarna il fascino di un übermensch dal vitalismo quasi dannunziano, privo di etica – o forse dotato di un’etica tutta propria – e dall’aspetto luciferino. In un’ormai celebre intervista a Linus nel 1981, Paz ne dettagliava la vacuità in termini tanto semplici quanto efficaci:

La sua caratteristica principale è il vuoto. L’assoluto vuoto che permea ogni sua azione.

Un personaggio enorme, che nel suo essere ‘altro’ e ‘oltre’ assume caratteristiche dal sapore conradiano. Come Kurtz supera le barriere della civiltà, addentratosi nel continente oscuro fino ad identificarsi col cuore nero dell’imperialismo occidentale, così Zanardi diventa il volto distorto della ribellione nichilista di fine anni settanta. Le analogie tra Cuore di Tenebra e Zanardi sembrano quasi essere suggerite dallo stesso Pazienza nella citazione che apre Giallo Scolastico: «Perché il freddo, quello vero, sa essere qui. In fondo al mio cuore di sbarbo». E non dimentichiamo il revival che ebbe il testo di Conrad nei primi anni Ottanta, a seguito dell’uscita del quell’“Apocalipsi Nau”, già oggetto dello sgangherato esame di semiotica al DAMS di un’ altra indimenticabile creatura pazienziana, Enrico Fiabeschi.

In una delle storie successive, Zanardi costringe il proprio demiurgo a una contorta e metatestuale folie à deux, quando nel racconto La prima delle tre creatore e creatura si incontrano in un cinema e finiscono per prendersi a pugni. Quella de La prima delle tre mi sembra una variazione esplicita del meccanismo narrativo che sottende le vicende di Zanardi, e che prendendo a prestito un termine proprio degli studi sulla sci-fi possiamo chiamare “straniamento cognitivo”.

zanardi andrea pazienza

L’espressione fu coniata da D. Suvin in Le metamorfosi della fantascienza (1979), riarticolando la nota verfremdungseffekt Brechtiana. Semplificando, descrive quel processo per cui la speculazione fantascientifica lavora attraverso l’inserimento di qualcosa di “nuovo” (una nuova tecnologia, razza aliena, dimensione spaziale) all’interno di un contesto tutto sommato possibile o verificabile. In altre parole, descrivere quello che dovrebbe essere ‘strano’ e ‘diverso’ come se fosse famigliare; e in questo modo, di riflesso, farci riflettere sulla nostra percezione del mondo ‘reale’.

Per quanto Zanardi sia tutto tranne che un testo di fantascienza, mi sembra che gli antieroi di Pazienza siano assimilabili a quel ‘nuovo’ di cui parlava Suvin. Ci viene descritto quindi un contesto realistico e conoscibile, la Bologna di quegli anni, all’interno del quale si muove una scheggia impazzita che non riusciamo a comprendere fino in fondo. E soprattutto, le vicende ci vengono narrate con una tale semplicità che quasi dimentichiamo l’efferatezza degli atti compiuti. Violenza, stupro, omicidio assumono la gravità di innocenti marachelle tra amici, anche quando sfociano nell’irrappresentabile: “Zanna colpisce l’impiccato con un mattone sulla testa” recita infatti la celebre didascalia che sostituisce la vignetta finale di Pacco. E proprio qui sta la dissonanza cognitiva, nel sapere che quello che stiamo leggendo è orribile, ma nel volerlo accettare con leggerezza e goliardia.

Nel 2002, quattordici anni dopo la morte di Andrea, esce il film Paz!. Il regista è Renato De Maria, al suo secondo lungometraggio, con un passato da videoartista e documentarista, più qualche esperienza su Frigidaire. Oggi, quattordici anni dopo l’uscita di Paz!, possiamo guardare alla pellicola come un esperimento, non perfettamente riuscito, comunque in grado di fotografare un’epoca. Di raccontarci quei giovani che non studiano, non lavorano, non guardano la TV, non vanno al cinema e non fanno sport. E, con qualche difficoltà, di tradurre su schermo del materiale decisamente resistente a ogni forma di trasposizione. È forse proprio nell’implicita ammissione dei propri limiti che risiede il valore principale dell’opera. Nell’aver infatti scisso cosa è possibile adattare su schermo (i luoghi, la musica, la sessualità libera pre-AIDS) e quello che non lo è (le volgarità, la violenza gratuita, l’eroina), ma di averci provato lo stesso.

Il film ha una struttura episodica, in cui tre diverse vicende si snodano e si sfiorano, senza mai sovrapporsi. Seguiamo così Pentothal, Zanardi e Fiabeschi nell’arco di una lunga, interminabile giornata Bolognese. Sembra paradossale, ma il film sembra funzionare meglio quando si distacca maggiormente dall’opera di Pazienza, ossia nella vicenda dello scapestrato Enrico Fiabeschi, interpretato dal bravo Max Mazzotta. Anche qui, però, la scena madre dell’esame al DAMS risulta una versione slavata e imborghesita dell’originale a fumetti, per ovvi limiti legati al contesto produttivo di riferimento. Con questo non voglio dire che un buon adattamento deve essere per forza fedele, per carità, ma che il problema principiale di Paz! consiste proprio nell’impossibilità manifesta di rappresentare la violenza e il disagio emotivo legato a un certo tipo di esperienza sociale.

Un po’ per tutto questo, un po’ per una prestazione attoriale poco memorabile, il nostro Zanardi è quello che ne esce peggio. La storia scelta è Giallo Scolastico, e mi sembra una scelta piuttosto obbligata. Le altre sarebbero state troppo: brevi, complesse, violente, metanarrative, oniriche (anche se metterci Zanardi Medievale avrebbe avuto un suo perché). Zanna è interpretato da un untissimo Flavio Pistilli (siamo dalle stesse parti di Foggy in Daredevil), che fatica a rendere la sfuggente malignità del modello fumettistico. Soprattutto, l’egoismo irrazionale che rende Zanardi grottesco prototipo del ‘riflusso nel privato’. Ma forse, di nuovo, più che di un limite di sceneggiatura e di interpretazione, possiamo parlare di un calderone narrativo assai poco adatto ad adattamenti e rimasticature. (Piccola nota da fanboy: non si sarebbe potuto scegliere Luca Marinelli? La sua fisionomia lo rende praticamente perfetto, e avrebbe inoltre avuto l’età giusta per interpretare Zanna).

La scena più riuscita del film si trova versi i tre quarti, quando uno spaesato Fiabeschi si aggira per il DAMS alla disperata cerca di una ‘canna’ (l’aspetto onirico dell’università occupata ma deserta, nonché la fisionomia di Mazzotta, mi hanno fatto venire in mente lo zio Teo di Amarcord). Salendo le scale, gli appare a mo’ di visione Giovanni Lindo Ferretti, che sta divorando una mela. Alla domanda “C’è nessuno qui?”, risponde “Ci sono io, che mastico, e medito nell’ombra”, per poi chiudersi in religioso silenzio.

È questa è l’eredità del ’77? Di quegli anni di contestazione, violenza, eccessi, ci rimane una scuola deserta, e uomo solo, con una mela, passato da Lotta Continua ad Atreju? Ci hanno davvero preso tutto? Non ho risposte a questi interrogativi. Quello che so è che almeno, tra gli altri, Pazienza resiste. La straordinaria vivacità della forma e dei contenuti lo rendono un autore tanto attuale quanto necessario, a ricordarci che una volta le cose si potevano fare diversamente. In quella zona d’ombra tra impegno politico e nichilismo, tra contestazione e autodistruzione, si muovono personaggi profondi e complessi, veicolo della straordinaria capacità di un autore di lavorare sulle potenzialità espressive del medium. Zanardi, Colas, Petrilli, ma anche Pompeo, Penthotal e tutti gli altri. Figure che finiscono per essere ben più del ritratto di un’epoca. Con buona pace dei miei – e nostri – voli nostalgici.