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Raccontare l’immigrazione ai bambini. Intervista a Marco Rizzo

Dopo La mafia spiegata ai bambini, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso (autori in coppia anche di Peppino Impastato, un giullare contro la mafia) tornano a realizzare per BeccoGiallo un libro illustrato rivolto alle fasce di età più piccole, nel tentativo di sensibilizzare su questioni che solo in apparenza, sembrerebbero “da grandi”. Questa volta, hanno deciso di dedicarsi a un tema di bruciante attualità: l’immigrazione.

L’immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio di Amal arriva in libreria oggi, il 21 luglio, e noi abbiamo scelto di farcelo raccontare da Rizzo, che ha scritto il romanzo prima di lasciare a Bonaccorso il compito di arricchirlo con i suoi disegni.

Sfoglia l’anteprima di L’immigrazione spiegata ai bambini

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In La mafia spiegata ai bambini avevate utilizzato la metafora dell’invasione di scarafaggi per descrivere gli effetti della mafia sulla società, qui come hai gestito invece l’argomento? Sempre tramite uso di metafore così forti?

Questa volta sono stato ancora più diretto. In sintesi, è la storia di quattro animali che si trovano tutti sulla stessa barca (letteralmente) al seguito dei loro padroni: un gatto, una capra, un cane e un falco. Ognuno di questi racconta agli altri e al lettore le cause che li hanno spinti a viaggiare e le peripezie affrontate… forse l’unica vera metafora è nel finale. Sono storie vere e più o meno comuni, che vengono mediate dal racconto degli animali ma che servono per narrare con un approccio apparentemente più leggero quelle tragedie e soprattutto i motivi per cui qualcuno decide di attraversare il mare (o la rotta balcanica) rischiando la vita e abbandonando la propria casa.

Chi è Amal, il personaggio citato nel titolo? Nel promuovere il libro hai detto che hai attinto a diverse esperienze dirette che ti sono state raccontate. È da queste che nasce Amal?

Amal è la gatta, uno dei personaggi del libro, oserei dire la protagonista. Amal è un nome proprio, in arabo, e significa speranza. Mi piaceva giocare con il concetto di “viaggio della speranza” (termine ormai abusato dai media) suggerendolo senza dirlo esplicitamente. Ho attinto a diverse storie vere, come ricordi, raccontatemi da alcuni richiedenti asilo o da colleghi giornalisti. Le ho mescolate un po’ e le ho “messe in scena” nel corso dello stesso viaggio.

È del tutto vero, ci tengo a dirlo, che alcuni migranti arrivano in Europa con animali al seguito: spesso sono contadini che hanno in capre o galline tutta la loro ricchezza, altre volte si tratta di animali di compagnia. Due anni fa una bambina sbarcò in Sicilia con un gattino, che le venne inizialmente tolto per ragioni sanitarie e rischiava di essere soppresso. L’anno scorso una famiglia, sempre dalla Siria, portò con sé il proprio gatto. Può sembrare assurdo che tra gli animali ci sia un falco: invece un’attivista e scrittrice bravissima, Marta Bellingreri, mi raccontò tempo fa che quando si occupava di accoglienza a Lampedusa nel 2011 arrivò un tunisino che di mestiere faceva il falconiere. E aveva con sé un falco…

La difficoltà maggiore del parlare ai bambini sta nel trovare la giusta via di mezzo: bisogna mettere le cose in modo semplice, ma non tanto da farli sentire stupidi. Qual è il giusto compromesso, secondo te?

Innanzitutto cerco di non trattarli da stupidi. Partendo da questo spunto, si capirà che la semplificazione può riguardare il linguaggio, non i concetti. Un buon compromesso, nella mia esperienza finora breve, è il raccontare fatti universali e complessi con temi e similitudini che i bambini possono trovare nella loro esperienza quotidiana.

Ad esempio, il parallelismo creato tra mafia e bullismo in La mafia spiegata ai bambini o alcuni elementi inseriti anche in L’immigrazione spiegata ai bambini. Il fatto che ci siano bambini che vengono da altri paesi insieme ai loro genitori in cerca di pace o fortuna non è poi così distante dal punto di vista dei più piccoli, visto che le classi delle scuole di tutta Italia sono sempre più piene di bimbi da ogni provenienza.

Un’ulteriore complicazione, forse, in questo caso sta nel fatto che il tema dell’immigrazione quasi sempre divide in modo acceso (anche se non dovrebbe), al contrario di un argomento come quello per esempio della mafia, in cui di solito è più facile schierarsi in modo aperto?

Spero che chi leggerà le storie di cui ci siamo fatti portavoce io e Lelio capisca che non è l’immigrazione in sé a dover essere un tema divisivo ma come viene gestito il flusso di persone in fuga. Dovrebbero essere motivo di discussione come viene gestito il sistema dell’accoglienza (troppe volte e ormai quasi sistematicamente un business malato) o quali sono le responsabilità di guerre civili e nascita di gruppi terroristici. Non è neppure così scontato, ti garantisco, che in tema di mafia sia semplice capire non tanto chi sono i buoni o i cattivi ma da quale parte conviene stare. Spero, ripeto, che queste storie parlino da sé e che non ci sia dibattito su cos’è quel dolore e di quali tragedie stiamo parlando.

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L’importanza di trattare certi argomenti con un tipo di pubblico così piccolo è evidente, ma quali reazioni ti aspetti, anche magari in base alle tue esperienze passate con i libri precedenti?

Ogni libro prende vita e si muove a sé, specie questi libri che diventano facilmente uno strumento per insegnanti ed educatori. Più che le reazioni generali, che mi interessano poco, sono curioso di scoprire se questo libro possa insegnare qualcosa a quei bambini che hanno le idee poco chiare sul perché il compagno di banco è afgano e si chiama Mohamed.

La mafia spiegata ai bambini è finito nelle mani giuste ed è stato usato come mezzo per discutere in alcune classi non solo di mafia ma anche di bullismo, aiutando in almeno un paio di casi che mi sono stati riferiti e porre fine a certi comportamenti sbagliati. Spero che anche L’immigrazione possa avere una ricaduta positiva “reale” anche in piccole storie di provincia, sarebbe la dimostrazione più grande che stiamo facendo bene.

Questo libro può avere un secondo fine, ovvero quello di mostrare anche agli adulti che non dovrebbero fidarsi delle prime verità snocciolate sui social ma cercare di capire le cose a fondo?

Il mio timore è che certi adulti, che siano analfabeti funzionali o semplicemente imbecilli razzisti e fascisti, cerchino conferme alle proprie convinzioni e quindi finirebbero per non toccare nemmeno con un bastone un libro come L’immigrazione spiegata ai bambini. Che i social siano pieni di bufale e che l’informazione oggi in Italia abbia serissimi problemi di credibilità e parzialità è solo parte del problema.

Propongo ai genitori nelle cui vite dovesse finire per caso questo libro, magari tramite le scuole, di armarsi di pazienza e chiedere ai propri figli di invertire i ruoli: potrebbero essere i bambini a leggerlo alle mamme e ai papà e a spiegare dove necessario.

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