Microfisica della crisi. Il fabbricante di buste di Chris Oliveros

Il tratto che contraddistingue l’epoca moderna sembra essere la ripetizione. Da L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin fino all’esilarante ma al tempo stesso agghiacciante Tempi moderni di Charlie Chaplin, il nostro tempo è segnato dal gesto meccanico e dalla moltiplicazione dell’identico (poco importa se si tratta di bulloni o selfie, di strette di chiave o colpi di pollice su uno smartphone). Chris Oliveros, già fondatore della storica casa editrice canadese Drawn & Quarterly e da 25 anni una delle figure più significative del fumetto nordamericano, ha deciso di esordire come autore facendo di tutto questo un graphic novel, tradotto in italiano e pubblicato da Coconino Press.

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fabbricante di buste oliveros

Il fabbricante di buste è una storia di fabbrica, e non solo nel senso che la fabbrica ne è l’ambientazione e il tema. Piuttosto, sono i suoi ritmi e la sua atmosfera a dominare ogni vignetta dell’opera, imponendo al lettore un ritmo serrato che fa venire voglia di leggere la storia muovendo meccanicamente la testa da un riquadro all’altro, guardando senza vedere e leggendo senza capire.

La storia gravita intorno a tre personaggi: Mr. Cluthers è il proprietario di una piccola azienda che produce buste, Hershel è un suo operaio e Patsy la sua segretaria. L’azienda va male, i macchinari sono usurati e i fondi scarseggiano in vista dei fornitori da pagare, ma Mr. Cluthers continua caparbiamente la sua attività, immaginando ogni giorno un nuovo inizio imminente. Le cose si fanno sempre più difficili, in un lento ma inesorabile declino verso la disfatta finanziaria ma anche sentimentale, emotiva, esistenziale. Il fallimento dell’azienda riassume in sé una vita allo sfascio: un matrimonio agli sgoccioli, una piccola rete di rapporti umani in dissoluzione, i giorni trascorsi senza uno scopo, nell’autistica reiterazione di discorsi e gesti vuoti. Il personaggio di Mr. Cluthers incarna perfettamente quel misto di eroismo e idiozia che caratterizza il medio imprenditore in un periodo economico difficile: la certezza quasi autistica con cui egli ignora tutto, dai semplici consigli alla realtà più dura, ha qualcosa dello Hitler di La Caduta, che continua a pianificare una vittoria schiacciante mentre ormai tutti sanno che la guerra è persa.

Tutto questo viene esperito dal lettore stesso, mentre scorre con lo sguardo attraverso vignette simili, muovendosi freneticamente tra edifici e oggetti inanimati che rimangono del tutto indifferenti alle sventure dei protagonisti. Il fumetto si apre con il silenzio della città attraversato dal piatto ta-tlak dei macchinari, e si conclude con la stessa città, immobile, identica a se stessa come se nulla fosse accaduto nelle cento pagine precedenti. Questa stretta sinergia tra il tema della narrazione e le scelte stilistiche fa dello sforzo di Oliveros qualcosa di particolarmente rilevante e capace di comunicare quasi sotto pelle, manifestandosi nella forma di un vago disagio e di opachi sguardi sul presente. Il tratto è erede dell’estetica underground americana, una linea decisa e irregolare, quasi tremolante, che aumenta ulteriormente il senso di incertezza e contrasta nettamente con i soggetti dei disegni, dominati da una regolarità al limite dell’alienante.

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Sia chiaro, Il fabbricante di buste non è un dramma tragico. Niente di catastrofico, disperato o definitivo viene offerto allo sguardo del lettore, e questo è il principale merito di Oliveros. Gran parte dell’atmosfera è dovuta al clima di sospensione, all’idea sempre più forte che una fine non può esserci, che tutto è in fin dei conti irrilevante. Si tratta insomma di un libro sordo e assordante, in cui la catastrofe si raggiunge a ritmi serrati e rincorrendo vorticosamente le strisce zig-zaganti dei balloons, pieni a loro volta di dialoghi per lo più insignificanti. Dietro l’apparente leggerezza dello stile si nasconde una generale atmosfera allucinatoria, con rari momenti di amara ironia e un umorismo che sembra sempre imminente, ma non arriva mai.

In effetti, il valore de Il fabbricante di buste risiede principalmente in ciò che riesce a non essere: non è un’opera tragica, non è un graphic novel umoristico ma nemmeno un pamphlet politico o un’opera ‘impegnata’, né tantomeno pedagogica. Oliveros non cede alla tentazione di essere didascalico e, ai toni iperbolici di molte narrazioni critiche o catastrofiste, sceglie la strada opposta. Quella di Oliveros è dunque un’opera sulla crisi come stato globale, materiale ed emotivo, esistenziale e sociale.

A colpire nel segno, in particolare, è la scelta di rappresentare tutto su piccola scala: una piccola azienda che produce prodotti marginali, piccole somme, piccoli problemi, piccole persone. Tutto sembra insignificante, e proprio questo effetto di rifrazione permette di esperire un impatto del tutto diverso rispetto alle apocalissi hollywoodiane o ai resoconti sulla crisi a base di innumerevoli zeri. La crisi di Oliveros è la crisi dell’uomo medio e mediocre, la disfatta di un individuo che potrebbe essere ciascuno di noi e che solo per questo, per il fatto di non essere affatto speciale, assume una valenza simbolica decisamente più dirompente rispetto al CEO di qualche multinazionale.

Con il suo formato compatto e la sua angosciante semplicità, Il fabbricante di buste proietta una piccola storia della metà del secolo scorso nel nostro immediato futuro. Mostrandoci il paradosso di una società che riesce a fondarsi sul binomio di ripetizione e precarietà e a trasformare l’eterno ritorno dell’uguale in ciò che vi è di più inquietante e pericoloso.

Il fabbricante di buste
di Chris Oliveros

Coconino Press, 2016
102 pagine, 17,00 €