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RecensioniNovitàDonare la propria morte. "Vivere" di Ugo Bertotti

Donare la propria morte. “Vivere” di Ugo Bertotti

Nel 1918 due fratelli, Thomas e Heinrich Mann, si scontravano duramente su una delle più annose dispute relative all’arte: l’artista deve essere impegnato politicamente o preservare la purezza del gesto? Deve perseguire il giusto o il bello? Il suo obiettivo, insomma, è la civiltà o la cultura? Si tratta di domande alle quali è impossibile rispondere con leggerezza, e che tuttavia definiscono un campo nel quale, con sfumature e peculiarità assolutamente individuali, qualsiasi artista è in qualche modo destinato a collocarsi. Vivere, l’ultima opera di Ugo Bertotti pubblicata da Coconino Press, ci permette di porci ancora una volta questa domanda.

Leggi l’anteprima di Vivere

bertotti vivere

Andiamo con ordine, e dunque partiamo dalla fine. Bruno Gridelli, direttore del centro ISMETT (Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione) e docente di Chirurgia presso l’Università di Pittsburgh, scrive una postfazione al volume in cui racconta di aver letto un libro di Remo Bodei sul pensiero di Hegel. Il libro si intitola La Civetta e la Talpa, e ruota intorno a queste due immagini: la talpa è lo spirito che produce e avanza senza conoscere il suo percorso, la civetta invece è la filosofia, che comprende il mondo solo sul far della sera, a cose già fatte. Cosa c’entra tutto questo con il fumetto? Tantissimo, pare: l’idea di proporre a Ugo Bertotti un’opera d’arte sul tema dei trapianti e della donazione d’organi nasce, dopo decenni di lavoro sul campo, dall’esigenza di comprendere meglio la natura umana ed esistenziale dell’esperienza del dono, tanto dal punto di vista del donatore che del ricevente.

Il risultato di questa collaborazione è un graphic novel a episodi che ci racconta storie in cui il drammatico, indissolubile legame tra vita e morte emerge con grande forza espressiva. Il filo rosso che unisce le vicende dei protagonisti è la speranza di una nuova vita creata dalla morte altrui, dalla possibilità per il morente di farsi donatore di vita. Così, l’autore – già autore nel 2012 di Femmes du Yemen (in Italia Il mondo di Aisha, Coconino Press 2013), un reportage a fumetti sulla condizione femminile nello Yemen – gioca sui contrasti e sulle sfumature, descrivendo i diversi momenti di questa esperienza liminale: la decisione dei familiari del morente di donare gli organi, i sensi di colpa del ricevente, incapace di vivere la possibilità della vita senza chiedersi se è degno di riceverla, e infine la serena gratitudine di chi è ancora qui tra noi, ricco di un atto di generosità non dovuto.

Il bianco e nero dello stile di Bertotti risponde perfettamente a questa dinamica narrativa, restituendo il gioco di contrasti emotivi con un tratto deciso, senza toni sfumati, in cui i due colori si contendono la pagina in diverse misure a seconda della tavola. Uno stile essenziale, in cui le tavole seguono con naturalezza la linea narrativa accompagnano il lettore attraverso preziosissimi momenti di silenzio, necessari al ritmo del racconto e alla solennità del tema.bertotti vivereAlla varietà dei momenti descritti corrisponde la varietà dei personaggi, tutti reali (pur con nomi fittizi). Una migrante, un sacerdote, un soldato, una donna malata di HIV: la varietà delle esperienze tenta di offrire uno sguardo globale sull’esperienza del fine vita come condizione umana universale, e di offrire la possibilità della rinascita come un miracolo che non appartiene a nessuna cultura o categoria particolare, ma che può investire chiunque. Qui, forse, le scelte narrative di Bertotti mostrano un principio di leziosità: il bisogno di completezza potrebbe dare l’impressione di obbedire a una superficiale esigenza di par condicio, in cui non si scontenta nessuno e si mostrano il soldato e la straniera, la donna e il prete. Anche alcune piccole incursioni politiche – tra cui l’onnipresente e frainteso versetto del Corano secondo il quale chi salva una vita salva l’umanità intera – rischiano di essere piuttosto discutibili, dando una tonalità dolciastra a un’opera che per il resto riesce a mantenere un equilibrio quasi perfetto.

Infatti, tornando ai fratelli Mann, il merito principale di Vivere è la capacità di mantenersi fedele all’esigenza artistica pur nell’impegno sociale. Più precisamente, Bertotti ci mostra che una buona opera è quella in cui l’impegno sociale può nutrire l’ispirazione artistica, e che l’arte può a propria volta svolgere una determinante funzione civile senza per questo trasformarsi in pamphlet. Le tavole di Vivere raggiungono quell’universalità che ci si aspetta dall’arte (fumettistica), usando come strumento una coralità che – al di là di qualche sbavatura – incanala perfettamente la grande esperienza di chi da decenni si trova a lavorare nel mondo dei trapianti.

Se questo basti, e quale sia il reale impatto di uno sforzo artistico del genere sull’opinione pubblica, non è dato saperlo. Da quando Christopher Nolan ci ha regalato il suo Cavaliere Oscuro, tutti siamo al corrente di una verità ineluttabile: ciò che meritiamo non è sempre ciò di cui abbiamo bisogno. Vivere è senz’altro ciò che l’ISMETT merita. Si tratta di un’opera dalla grande immediatezza comunicativa, che mostra nel modo migliore le possibilità espressive del fumetto. Per questo, è anche ciò di cui la causa dei trapianti e della donazione organi ha bisogno, pur nella limitata diffusione del fumetto in Italia, nella misura in cui riesce a focalizzare l’attenzione sulla ricchezza della pratica del trapianto dal punto di vista esistenziale, morale e sociale.

Vivere
di Ugo Bertotti
Coconino Press, 2016
151 pagine, 17,00 €

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