È certamente una notizia interessante che una casa editrice come Einaudi pubblichi (nella collana Stile Libero Extra) una raccolta di storie create da autori appartenenti storicamente alla scena cosiddetta indipendente del fumetto italiano. In particolare, il volume La Rabbia raccoglie i contributi di figure cresciute attorno ai Festival di cultura underground che da 30 anni hanno come sede il Forte Prenestino a Roma (culminati dal 2003 ad oggi nel Crack!).
Il pregio dell’iniziativa è, ovviamente, quello di dare ampia visibilità a una dimensione artistica spesso confinata ai margini della società di massa. Il rischio è, altrettanto chiaramente, quello di confezionare un prodotto autocelebrativo, in cui la miccia della protesta si ritrovi ad essere disinnescata dal meccanismo chiuso e compiaciuto dell’autoreferenzialità.
Questa è la sfida di qualsiasi modello alternativo alla cultura dominante: cercare l’equilibrio tra la fortificazione della propria identità e il rischio inevitabile del fanatismo (o, per citare Lenin, della “malattia infantile“ nota come estremismo), evitando la trappola per cui chi ha l’ambizione di cambiare il mondo, invece di aprirsi al mondo che vuole cambiare, finisce per chiudersi nel circolo chiuso di “coloro che vogliono cambiare il mondo”. Gli artisti, si sa, meglio dei sociologi sono in grado di cogliere ed esporre le contraddizioni, i contrasti, la dialettica tra l’ebbrezza degli alti slanci ideali e la ferita dei bruschi fallimenti pratici che ogni movimento culturale “rivoluzionario” inevitabilmente porta con sé.
Sgombriamo perciò il campo da ogni equivoco: l’accostamento al gruppo di Gioventù Cannibale, utilizzato come gancio in quarta di copertina, è fuorviante. La generazione degli scrittori etichettata come “cannibale“ – come nel titolo della fortunata e discussa antologia Einaudi curata da Daniele Brolli – nasceva artisticamente a fine anni Ottanta, dopo che il sogno di un cambiamento epocale era tramontato nel sangue degli scontri a fuoco fra adolescenti e nelle fredde strategie di un Potere che aveva ancora le fattezze riconoscibili di un Moloch culturale contro cui scagliarsi. La generazione (di cui io faccio parte) successiva, ha vissuto il brusco risveglio dall’illusione del benessere, confrontandosi con l’incubo culturale di un modello politico palesemente falso, fittizio, costruito a tavolino.
La rabbia per così dire “precedente” era figlia di una tradizione che aveva come avversari lo Stato, la Chiesa, L’America, il Partito, “nemici” ideologici che nella loro ovvia semplificazione rappresentavano obiettivi chiari e distinti, in grado di compattare milioni di ragazzi in un rifiuto generico e condiviso. La rabbia che si racconta in questo volume, invece, si scaglia contro l’omologazione (invano profetizzata), l’indifferenza, l’abulia, il finto benessere, la precarietà, mostri senza volto che si annidano nelle coscienze prima di assumere forma nella realtà esterna. Una rabbia che non può essere dirompente, allegra, goliardica come quella che poteva rivolgersi contro la gobba di Andreotti o la statura di Fanfani. Una rabbia strozzata in gola dopo la vergogna incancellabile del G8 di 2001 o disarmata dall’evidenza pornografica di un premier che racconta barzellette blasfeme e viene difeso dalla Chiesa, o che frequenta prostitute minorenni e viene sostenuto dai “moderati”.
Dunque gli autori (Bambi Kramer, Filosa/Noce, Hurricane, Nomisake/Trapani, Ratigher, Sonno, Tso/Primosig e Zerocalcare) che raccontano la rabbia odierna ne rifrangono l’esposizione su variazioni e sfumature totalmente differenti e contrastanti. Primo punto a favore: il libro non è monotono e gli autori, benché figli dello stesso calderone controculturale, non sono certo “allineati” fra loro, almeno sul piano narrativo ed estetico.

Ratigher (su testi di Alberta Ernesta) in HORDAK 128 sceglie il campo più fertile per la sua ispirazione: il disturbante, il deviante, la perversione come sfogo ferino di frustrazione sociale. Lo fa con la sua ormai collaudata abilità narrativa e uno stile ormai perfettamente controllato e riconoscibile, rendendo convincente e autentico uno scenario in sé per sé non del tutto inedito.
Bambi Kramer sceglie la via del racconto per antinomia: ‘Krash-sindrome di schiacciamento associa la freddezza di testi medico-descrittivi (con richiami a Carl Schmitt) all’angoscia delle sue immagini da delirio onirico. Al termine, il lettore comprende che si tratta dell’ennesima (e mai superflua) denuncia del massacro di Genova 2001.
Annalisa Trapani e Laura Nomisake decidono, invece, in Almeno un’ora in più di narrare la rabbia accumulata nella frustrazione quotidiana dei “lavoretti” schiavizzanti, delle pressioni sociali subite da una generazione che la crisi ha congelato in un perenne ritardo sulle aspettative esistenziali.

Giusy Noce e Vincenzo Filosa, in Torrespaccata, si concentrano sull’esperienza di immersione quotidiana nella follia che è la frequentazione dei mezzi pubblici, il tran-tran quotidiano, la “via del ritorno a casa” che per il filosofo Gilles Deleuze era uno dei momenti kafkiani in cui la macchina sociale si faceva sentire nella sua oppressione micidiale.
Sonno in Ballate in Ritardo usa un antico accorgimento narrativo (l’attore che si presenta, monologante, sul palco) per aprire il sipario su un percorso interiore fatto di ricordi, riflessioni, gag improvvise, riflessioni amare, in uno zibaldone di pensieri e immagini attorno al tema della raccolta.
Zerocalcare (che in realtà affronta da tempo il tema della rabbia, sia individuale che sociale, pressoché in ogni sua storia) esemplifica in Così passi dalla parte del torto l’esperienza comune della gestione della collera, in una città come Roma in cui fin da ragazzi la capacità di reazione aggressiva (dialettica e fisica) equivale al libretto di circolazione.
In Oggetti Smarriti, Tso e Primosig incorniciano in un racconto di poeti provenzali erranti la descrizione di giornate tipo nell’ambito dell’organizzazione del Crack! (e le riflessioni che queste ispirano).
In conclusione, Hurricane Ivan mette a nudo ne L’attesa (con uno stile grottesco chiaramente ispirato all’underground storico) la diffusa condizione sociale di perenne paralisi, e la macelleria sociale a cui sono sottoposti i ragazzi che si approcciano al mondo del lavoro.
A lettura conclusa, crediamo che le storie più riuscite siano quelle di Ratigher e Zerocalcare. So che può sembrare una scelta facile: in fondo sono gli autori più affermati del gruppo. Ma il motivo non risiede nella loro popolarità o nella loro riconoscibilità stilistica (molti autori perfettamente ‘riconoscibili‘ non sono necessariamente interessanti). Il motivo è nel possesso del medium fumetto, nell’equilibrio e nella simbiosi tra testo e immagine: Ratigher nell’esposizione della perversione e della follia, Zerocalcare in quella della rabbia quotidiana usano, in maniera diversa ma accostabile, il racconto fumettistico in maniera matura. Parlo di pause, ritmi, potenzialità narrative.
Nelle altre storie abbiamo riscontrato sicuramente testi interessanti (molto incisivi quelli di Bambi Kramer; molto centrato lo “spiegone” sul concetto di erranza di Primosig) ma, almeno in alcuni casi, soluzioni fumettistiche non dico solo già viste, ma quasi giustapposte al testo. Come se le immagini fossero una mera illustrazione delle parole, o come se fossero semplicemente al servizio di esse, in un contributo narrativo che rischia di cadere in un approccio “a tesi”.
La raccolta espone in sostanza tutti i pregi del mondo del fumetto indipendente (sguardo corrosivo di critica sociale, passione ed operatività, libertà espressiva), ma anche i suoi limiti (autoreferenzialità, come dicevamo, un indugio reiterato in stilemi diversi graficamente ma in cui si respira la stessa atmosfera mentale).
Ora, un libro del genere probabilmente non vuole essere consumato come una lettura da spiaggia, ma vuole suscitare riflessioni, domande, anche critiche. Il contributo che vorrei offrire – a chi lo riterrà interessante – è forse qualcosa di più che una vaga impressione: ci sembra che, al di là del valore delle singole storie, ci sia un patrimonio artistico chiuso in cassaforte. Ovvero, chiuso in un linguaggio (pur declinato in diverse forme) ormai anacronistico.
Ratigher e Zerocalcare, pur in maniera molto differente, riescono a raccontare il presente perché si nutrono, certo, di dichiaratissimi modelli passati, ma hanno trovato una loro forma nuova, riconoscibile, immediata. Possono non piacere, ma sanno cosa vogliono raccontare e sanno come raccontarlo.
Ciò che emerge da questa raccolta, come quadro generale, è che nella scena del fumetto indipendente c’è talento, intelligenza, capacità di analisi. Ma la ricerca per la forma “nuova” in molti autori è ancora in fieri. Per dirla con una battuta: amiamo tutti Pentothal, ma è un libro uscito quasi 40 anni fa. Consapevoli di essere nani rispetto ai giganti del passato, dobbiamo salire sulle loro spalle e guardare avanti. Non rifugiarci alla loro ombra.
La rabbia
di autori vari
Einaudi, 2016
329 pagine, 18,00 €