Siamo entrati nello studio di Elena Guidolin, giovane fumettista residente a Bologna, che presto debutterà col suo primo graphic novel per Becco Giallo Editore e sarà inoltre protagonista di una mostra personale durante il festival BilBOlBul.
A che progetti stai lavorando attualmente?
Al momento sono alle prese con la mia prima storia lunga, uscirà per Becco Giallo con me ai disegni e Andrea Antonazzo al soggetto e ai testi. Il tema, la tortura, è complesso: da un lato perché la tortura, in determinati contesti, sembra essere intesa come pratica “necessaria”, addirittura giustificabile e legittimabile. Qui penso, per esempio, alle “tecniche di interrogatorio non convenzionali” applicate ad Abu Ghraib: c’entra lo scontro di civiltà, una retorica realmente conservatrice cui si appoggia un pensiero realmente aggressivo. Dall’altra parte, esiste il pericolo di cadere in una retorica uguale e contraria che non tenga conto delle ambiguità e finisca per semplificare le dinamiche nella stessa monolitica dicotomia “vittima – aggressore” in senso auto-assolutorio: “noi”, sempre innocenti, contro gli “altri”, sempre mostri da condannare (e punire).
In tutto ciò si inserisce l’elemento della “festa”, cioè della sospensione totale dello stato di diritto (vedi i fatti del G8 di Genova), e il suo godimento. La domanda è: quanto, e in cosa, sono diversa dal torturatore? Quanto e cosa ci separa?
Sto cercando di rispondere a questo, con il segno e il disegno, nella maniera più brutale e onesta possibile. Spero di riuscirci.
Che strumenti e tecniche usi per disegnare?
Uso china, pennelli (più rovinati sono meglio è), pennino di bambù e qualsiasi cosa poi mi capiti sottomano: spazzolini, tessuti, spugne, cartoncini, spago… Ho anche un archivio in cui conservo monotipi “sbagliati” e altri scarti che mi possono essere utili per creare delle texture. Le (poche) volte in cui uso il colore, lavoro invece in digitale.
Hai delle abitudini da rispettare prima di metterti al lavoro?
Non ne ho una o più in particolare, devo però essere assolutamente certa di aver assunto quantità soddisfacenti di caffeina.
Quali sono per te gli autori e le opere di riferimento?
Sergio Toppi, Guido Crepax, José Muñoz, gli ukyio – e di Tsukioka Yoshitoshi (soprattutto la serie “Cento aspetti della luna”), la fotografia – per esempio – di Sarah Moon, Francesca Woodman, Masao Yamamoto e Mario Giacomelli, 2666 di Roberto Bolaño, Giulietta degli Spiriti di Federico Fellini.
Nello studio tieni un oggetto a cui sei particolarmente affezionata?
Una cartolina, la rielaborazione di una foto (credo dei primi del Novecento) della chiesa del Sacro Cuore, stampata in occasione del festival BAUM a cui lo spazio in cui lavoro, il Checkpoint Charly, ha partecipato con un progetto collettivo e aprendo al pubblico i laboratori. Il prato antistante la chiesa pare esistesse davvero, la palma purtroppo no. La mia oasi in città, però, non credo abbia bisogno di palme: è lo stesso Charly, un luogo di condivisione e ricerca del quale sono felice di fare parte.